Il Concilio plenario australiano mostra che cosa diventerà la “chiesa sinodale” voluta da Francesco

Vitis Vera

L’immagine qui sopra è il logo del quinto Concilio plenario della Chiesa cattolica d’Australia che si è concluso il 9 luglio scorso.  Si noti che l’immagine stilizzata dell’Australia è una evidente ripresa dei colori dell’arcobaleno, ovvero del massimo simbolo Lgbt. Ma significativo è anche il motto posto sotto l’intitolazione: “Ascoltare ciò che lo Spirito sta dicendo…”, espressione in perfetta sintonia con lo stile pastorale di Francesco, alla quale è sottesa l’idea centrale del modernismo, ovvero che il dogma possa mutare, che le verità che la Chiesa custodisce vengano concepite come storicamente caratterizzate e immerse in un processo in continuo divenire.

Tutti i più tipici cliché propri della teologia di Bergoglio sono presenti nelle proposte e nelle deliberazioni del Concilio plenario: i pastori devono seguire il gregge, acritica sottomissione sulla questione abusi, cancel culture e odio per l’Occidente e la Chiesa rispetto al rapporto con gli indigeni australiani, modernismo e creatività liturgica, ecologismo, pressione verso il diaconato (e il sacerdozio) femminile, assemblearismo e “democrazia” nella Chiesa.  Per capire la gravità della crisi della Chiesa australiana che il Concilio plenario ha mostrato è importante il seguente articolo tratto da fsspx.news.

Il quinto Concilio plenario dell’Australia è iniziato con una consultazione generale nel Paese, dalla quale è stato preparato un instrumentum laboris, un testo di lavoro. Secondo un commentatore, ci sono stati 17.500 suggerimenti presentati da 220 mila persone consultate.

Questo documento di lavoro contiene diverse questioni, come la corresponsabilità nella missione e nel governo, una risposta alla Commissione reale sulle risposte istituzionali agli abusi sessuali sui minori, la solidarietà della Chiesa con i primi australiani e coloro che sono ai margini della società e la promozione di un’ecologia integrale per la nostra casa comune, la Terra.

Il Concilio ha tenuto una prima assemblea plenaria dal 2 al 10 ottobre 2021 ad Adelaide. Poi una seconda dal 3 al 9 luglio 2022 a Sydney. Otto testi sono stati approvati al termine di quest’ultima assemblea, che ora dovrà essere esaminata a Roma prima di essere approvata.

Ogni testo è accompagnato da un decreto. Il primo testo tratta della riconciliazione: si tratta di fare atto di pentimento nei confronti delle popolazioni aborigene dello Stretto di Torres. Il decreto prevede di sviluppare una liturgia con “un uso culturalmente appropriato di simboli e rituali aborigeni e isolani dello Stretto di Torres”. Un’inculturazione con riti pagani…

Un secondo testo riguarda il pentimento per gli abusi e il decreto prevede una liturgia per esprimerlo. Il terzo testo evoca la missione: educazione, apostolato sociale, relazioni ecumeniche e dialogo interreligioso.

Forte polemica sul diaconato femminile

Il quarto testo, “Testimoniare la pari dignità della donna e dell’uomo”, ha dato luogo a un episodio molto interessante e rivelatore. Una mozione ha impegnato la Chiesa in Australia a “considerare le donne per il ministero del diaconato, se papa Francesco autorizza tale ministero alla luce dei risultati della ricostituita Commissione di studio sul diaconato femminile”.

La mozione ha ottenuto la maggioranza qualificata – due terzi o più degli elettori presenti – tra i partecipanti presenti in veste consultiva. Ma non ha raggiunto la maggioranza qualificata tra i membri con voto deliberativo, in altre parole tra i vescovi.

Di fronte a questo risultato, una sessantina di delegati si sono rifiutati di tornare ai loro posti dopo la pausa mattutina. Hanno iniziato a fioccare commenti pungenti: “Dovremmo essere qui per ascoltare lo Spirito, questo è quello che tutti continuano a dire. Ma sembra che almeno alcune persone siano arrivate con un’idea abbastanza chiara di ciò che lo Spirito avrebbe dovuto dire”.

Alla fine i vescovi hanno ceduto e hanno introdotto la mozione respinta in forma condizionale: “Che, se il diritto universale della Chiesa viene modificato per autorizzare il diaconato per le donne, il concilio plenario raccomanda ai vescovi australiani di considerare il modo migliore per implementarlo nel contesto della Chiesa in Australia”.

Questo episodio richiede diverse osservazioni. Da un lato, l’inconcepibile pretesa di pensare che i fedeli uniti possano portare una sorta di nuova rivelazione: la Chiesa docente resta l’episcopato; i fedeli rappresentano la Chiesa discente. D’altra parte, mettere ai voti la verità è un’aberrazione: non è la maggioranza che fa la verità.

Vi è poi la codardia dei vescovi davanti al loro sacro dovere di insegnare la rivelazione di Gesù Cristo. Allo stesso modo, l’episodio ci mostra il futuro della Chiesa sotto il regime della sinodalità verso cui tende con tutte le sue forze papa Francesco.

Infine, la negazione di una verità rivelata nel testo di un concilio plenario è il coronamento di questo atteggiamento. Il diaconato femminile è un’aberrazione per diversi motivi. Una ragione storica: nella storia della Chiesa non c’è mai stato un diaconato donato alle donne per ordinazione, anche se la storia conosce diaconesse che forniscono vari aiuti. Ora, nella tradizione, la pratica ha un valore capitale.

Ma c’è una ragione più profonda. Il Concilio di Trento ricorda che il sacramento dell’Ordine è composto da almeno tre gradi: episcopato, sacerdozio e diaconato, non volendo decidere per gli altri gradi conferiti nella Chiesa. Se sono dei gradi essenziali – e lo sono – sono soggetti alla stessa legge.

Tuttavia, è sempre stato ammesso, e lo hanno ricordato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che il sacerdozio può essere conferito solo agli uomini. La proposizione quindi si applica necessariamente anche all’episcopato e al diaconato. Nessun teologo degno di questo nome, nessun vescovo può ignorare una cosa del genere. Ma l’episcopato australiano, che aveva bloccato questa proposta erronea, ha ceduto ai numeri.

Altre disposizioni

Un decreto chiede di rivedere le direttive sulla partecipazione dei laici alla predicazione, secondo il canone 766 del nuovo codice, che l’ammette in “determinate circostanze”. I vescovi hanno rifiutato di approvare una proposta più ampia. Un altro decreto prevede l’ampliamento dell’uso delle cerimonie penitenziali.

Infine, in connessione con l’ottavo e ultimo testo che tratta del governo, il distico sinodale è ampiamente intonato: “Possano le diocesi e le eparchie aiutare le parrocchie a stabilire e rafforzare strutture sinodali adeguate, sviluppando linee guida e fornendo risorse per lo sviluppo dei consigli pastorali parrocchiali (…) e altri enti parrocchiali”.

“Che i rappresentanti della Conferenza episcopale cattolica australiana, della Catholic Religious Australia e dell’Association of Ministerial Public Juridic Persons formino un gruppo di lavoro (…) per stabilire una struttura di tavola rotonda, per promuovere, valutare e riferire periodicamente sullo sviluppo della leadership sinodale in tutta la Chiesa d’Australia.”

Con tali risultati, non è nemmeno necessario considerare il sinodo sulla sinodalità: la fede è già messa all’asta dalle voci del “Popolo di Dio” che si sente animato dallo Spirito per evacuare tutto ciò che imbarazza il moderno spirito apostata”.

Fonti:

profmatteodamico.com

sspx.news

 

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