Maria Corredentrice per via di «degnazione»

di Silvio Brachetta

Mi sono già occupato di Maria Corredentrice nel breve studio pubblicato su Duc in altum [qui]. Vorrei ora continuare con qualche considerazione successiva.

Potrebbe suonare strano il poderoso apparato di titoli che il popolo cristiano ha, nei secoli, attribuito alla Beata Vergine Maria: Madre di Dio, Immacolata Concezione, Sede della Sapienza, Tempio dello Spirito Santo, Assunta e molti altri. Fosse stato per una certa teologia contemporanea, sarebbe stato del tutto sufficiente il titolo di Santa Maria, madre di Gesù. Il resto è nulla più che zavorra medievale.

Stesso destino si avvia ad avere il titolo di «Corredentrice»: un orpello inutile, avesse anche un senso. La preoccupazione non è di farsi una qualche idea della corredenzione, ma di evitare l’incremento numerico dell’elenco di titoli mariani, già troppo lungo. Quelli che ci sono ingombrano la mente del cattolico moderno, più vicina al vuoto dello zen e alle semplificazioni buddhiste. Perché mai perdere tempo coi concetti di «de congruo» e «de condigno»? Perché mai insistere con la divinizzazione di Maria, che il semplicismo teologico attuale vede come unica ragione del titolo mariano che le si vorrebbe applicare?

Ecco: divinizzazione. Un concetto intollerabile per il semplicista. La sola idea di uscire dall’orizzonte terra-terra fa delirare. Si assiste al fenomeno incredibile del mantenimento in essere delle istituzioni: il semplicista facilone (al comando della Chiesa) odia le summe e l’enorme speculazione teologica attorno alla Rivelazione, che considera inutili e ingombranti, eppure mantiene in essere le cattedre di teologia, i seminari e gli istituti di scienze religiose, come se nulla fosse. Non rinuncia alla barra del timone, al desiderio di sentirsi chiamare teologo. Egli è convinto che la sua faciloneria sia la nuova via teologica. Non può contestare un sant’Agostino: può, però, ignorarlo o alleggerirne i contenuti, che ritiene vasti come il mare. A lui basta uno stagno.

Ma la divinizzazione dell’uomo è al centro della volontà di Dio e al centro della teologia. È da subito avversata da Satana, che confonde la verità. Dice Satana: «Sarete come Dio» – «Eritis sicut Deus» (Gen 3, 5) – mescolando verità e menzogna. Lo corregge Dio: «Voi siete dèi» – «Dii estis» (Sal 82, 6). Non «sarete», al futuro. Non «come», cioè della stessa sostanza. Ma «siete» adesso, se lo volete, conformi alla mia santa realtà. Non «eritis» (futuro), ma «estis» (presente).

Per questo motivo, ogni accenno alla Beata Vergine Maria non può che essere sbilanciato verso la divinità. E non perché a Maria competa la sostanza divina e l’adorazione, ma perché Gesù Cristo, uomo e Dio, ha assunto la natura umana e l’ha unita per sempre a quella divina.

Come dunque non confondersi? Come interpretare al meglio il mistero della venerazione e dell’adorazione? Con un sistema semplicissimo, ma non semplicista: ricorrendo a sant’Agostino d’Ippona, ad esempio. È connaturale, per l’uomo, la familiarità con il divino. È la sua peculiare vocazione. «Ognuno – dice Agostino – è tale e quale il suo amore. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che dirò? Sarai Dio? Non oso dirlo, ma ascoltiamo la Scrittura che dice: “Io ho detto: Siete dèi e figli dell’Altissimo”» (In Io. Ep. tr. 2, 14).

Agostino non osa dire che l’uomo è Dio e, allora, spiega meglio. Se l’uomo segue Satana, pretende la divinità, liquidando Dio. Cosa, infatti, Satana «disse agli uomini? Mangiate e vi si apriranno gli occhi e sarete come dèi. […] Questa presunzione è rapina, è usurpazione e non degnazione» insegna Agostino (Discorso nel martedì di Pasqua, n. 229/g). Ma c’è una via alla divinità che non è rapina: è, appunto, «degnazione». In cosa consiste? «Se non usurperemo, saremo per grazia quel che non potremo essere per superbia. Appartiene infatti all’ordine della grazia quel che è scritto: “Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo”».

Che significa essere come dèi? In che senso «gli uomini saranno dèi? Come dèi»? Nel senso di «uguali agli angeli di Dio. Questa è la promessa, di più non cerchiamo. Non saremo infatti uguali a Dio, ma, resi uguali agli angeli, come qui in terra crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, così anche li vedremo». Non è quindi possibile alla creatura l’uguaglianza con Dio secondo natura, ma certamente l’uomo è stato creato per la «dignità» divina (la «degnazione» di Agostino), concessa per grazia, a seguito del pentimento e della conversione.

Maria, per via della sua volontà rivolta completamente al bene, è sommamente degna (per grazia) della divinità e tutta la storia della mariologia ha rimarcato questo fatto. E non solo la mariologia, ma pure la devozione della Chiesa. È sorprendente come un tale sbilanciamento mariano verso la divinità non abbia minimamente scalfito l’unicità della divinità sostanziale di Dio, eppure le cose stanno così. La venerazione di Maria ha sempre avuto l’esito di aumentare la fede dei credenti e, di conseguenza, l’adorazione nei confronti dell’unico Dio, della Santissima Trinità.

Non si è posto mai il problema sollevato dai protestanti, ovvero quello di confondere l’«usurpazione» satanica della divinità con la «degnazione» mariana. L’errore è di prospettiva e nel dimenticare che noi tutti siamo esortati alla medesima «degnazione». L’uomo, maschio e femmina, ha come vocazione l’adesione volontaria e libera alla grazia, che prevede l’eredità della figliolanza e della dignità divina.

È inclusa, in tale dignità, anche la redenzione, la cui fonte unica è in Gesù Cristo, in Dio, nella Ss. Trinità. Se Maria è Madre di Dio (e lo è) è anche Madre della Redenzione. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Dottore della Chiesa, sostiene che Dio ebbe «compassione» verso noi uomini e non ci fece vedere le croci che ci attendevano, «acciocché se le abbiamo a patire, almeno le patiamo una sola volta» (Le glorie di Maria, n. 526). Non così per Maria, verso la quale «non usò questa compassione»: per il fatto che «Dio la volle regina de’ dolori e tutta simile al Figlio», Ella «ebbe a vedersi sempre avanti agli occhi e a patire continuamente tutte le pene che l’aspettavano; e queste furono le pene della Passione e morte del suo amato Gesù».

Su questa volontà di Dio – della somiglianza totale al Cristo di Maria – è fondata la dottrina della corredenzione, definita con questo termine (felice o infelice che sia) solo in epoca moderna, ma presente nella Chiesa dal principio. Non vanno, in ogni caso, né banalizzate, né sottovalutate le croci dell’uomo comune, che sono pur sempre una partecipazione alla passione e morte di Nostro Signore. L’uomo, infatti, non si salva senza merito personale e senza portare la sua croce, nonostante i meriti infiniti del Crocifisso.

Sant’Alfonso è ancora più chiaro e fa parlare san Giovanni Crisostomo, altro gran Dottore: «Chi dunque si fosse allora trovato sul Calvario avrebbe veduto due altari, dove si consumavano due gran sacrifizi: uno nel corpo di Gesù e l’altro nel cuore di Maria» (ibid., n. 559). Chiarissimo: due altari, due sacrifici, per una medesima redenzione.

E di nuovo sant’Alfonso dà spazio all’ennesimo Dottore: san Bonaventura da Bagnoregio, il quale vede «un solo altare» e, cioè, «la sola croce del Figlio, nella quale insieme colla vittima di questo Agnello divino vi è sacrificata ancora la Madre» (ivi).

Tutti i santi citati da sant’Alfonso sono concordi. «Dirò che voi [o Maria] state nella stessa croce a sacrificarvi crocifissa insieme col vostro Figlio» (sempre san Bonaventura). «Quel che facevano i chiodi nel corpo di Gesù, operava l’amore nel cuore di Maria» (san Bernardo). «Nello stesso tempo che ‘l Figlio sagrificava il corpo, la Madre sagrificava l’anima» (san Bernardino). Tutto questo è più di una semplice cooperazione.

Quanto dolore – scrive sant’Alfonso – fu «il vedere questo Figlio agonizzare sopra la croce, e sotto la croce veder agonizzar la Madre, la quale soffriva tutte le pene che pativa il Figlio»! Se, allora, la divinità c’entra qualcosa con l’amore (come infatti c’entra), non può non esservi una figliolanza divina della creatura che ama e soffre assieme a Dio. Eppure Dio resta Dio e la creatura resta creatura.

Anche tutti gli altri titoli mariani non devono trarre in equivoco. Quando diciamo che Maria è Mediatrice di tutte le grazie, non si vuole sostenere che è una divinità accanto a Gesù Cristo, unico Mediatore della grazia. Si sostiene invece che Maria, cooperando all’unica Mediazione del Figlio, compie la volontà di Dio (“Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo”) per via di «degnazione».

Allo stesso modo, nessun uomo può pretendere una consustanzialità con Dio Santo per il fatto che Egli ci vuole santi. Dio è Santo, eppure ci vuole santi come lui. Su questo i semplicisti moderni non hanno nulla da dire?

 

 

 

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