Intervista / Giuseppe Moscati, il santo medico, raccontato da Paolo Gulisano

Come annunciato da Duc in altum (qui), la casa editrice Ares ha avviato una nuova collana, intitolata Un santo per amico, e il volume che la inaugura, dell’amico medico e scrittore Paolo Gulisano, è dedicato a san Giuseppe Moscati, santo medico napoletano, nato nel 1880 e morto nel 1927 a soli quarantasette anni, che nell’ambito del suo lavoro, o meglio, come scrive Gulisano, della sua missione di medico esercitò in modo eroico le virtù cristiane.

Caro Paolo, immagino non sia un caso che tu abbia scritto un libro su un medico, un tuo collega, che la Chiesa già da anni annovera tra i santi…

Esattamente. In un momento in cui la Medicina, e non solo i servizi sanitari, si trova da quasi tre anni protagonista della scena sociale e politica, tanto che da più parti si è parlato addirittura di “dittatura sanitaria”, e in un momento in cui questa antica arte (giacché la Medicina non è solo professione, ma in primo luogo l’arte del prendersi cura) è coinvolta anch’essa nel progetto del Grande Reset, ho pensato che non ci fosse migliore rimedio (è il caso di dirlo) di mostrare una figura esemplare di medico che spese la sua intera vita dedicandosi alla cura dei malati, visitandoli, guarendoli.

Un intento polemico nei confronti della attuale “Medicina dei protocolli” e delle direttive ministeriali, come abbiamo visto nel corso della “pandemia”?

Il mio primo intento non è stato quello di polemizzare, ma di mostrare un esempio positivo di come si debba esercitare l’arte medica. Nel corso della storia abbiamo avuto tante figure di santi medici, dall’evangelista Luca a Gianna Beretta Molla, ma credo che Giuseppe Moscati sia quella più attuale. Chi ha avuto già modo di leggere il libro mi ha confessato che ha visto in Giuseppe Moscati il medico ideale, quello che ognuno vorrebbe avere: competente, premuroso, attento, sollecito, e straordinariamente bravo nel fare diagnosi e scegliere le terapie giuste.

Tuttavia Moscati non è stato proclamato santo solo perché era un genio della clinica…

Certamente. Egli fu un cristiano autentico, la cui fede profonda aveva salde radici nella preghiera, nella devozione mariana e in quella eucaristica. Le sue giornate, che lo vedevano impegnato a curare per 10, 12 ore, iniziavano invariabilmente con la Santa Messa. Non fu solo “il medico dei poveri”, come da qualche parte si è voluto raffigurarlo, ma fu il medico di tutti, perché in ogni persona malata e sofferente vedeva il volto di Cristo. L’uomo è un essere fragile. Lo è fin da quando cresce nell’utero di sua madre. È una meraviglia, ma è fragile, a volte indifeso dalle aggressioni delle malattie. Da sempre ha bisogno di cure, di assistenza quando è malato. La Medicina è nata come una risposta a questo bisogno. Curare significa anzitutto “servire” una persona, averne sollecitudine. Nessuno, nel corso della storia umana, ha dato miglior prova del prendersi cura che Gesù Cristo, e Moscati praticò nei fatti nel suo operare una vera e propria imitazione di Cristo.

Tu nel libro racconti anche del periodo in cui Moscati fu docente all’Università di Roma. Non un “barone”, ma un vero e proprio maestro.

Moscati intraprese il percorso accademico che lo avrebbe portato a ottenere due libere docenze, in Chimica fisiologica e in Clinica medica generale. I suoi corsi di Clinica medica, che svolgeva presso l’Ospedale degli Incurabili di Napoli, lo vedevano continuamente attorniato da una schiera di allievi entusiasti delle sue straordinarie capacità cliniche, della non comune cultura medico-scientifica e delle eccezionali doti di umanità.

Era un clinico dotato di geniale intuizione e di una mirabile attitudine alla diagnosi. Riusciva sempre a individuare il segreto delle varie malattie pur nella complessità dei sintomi. Le sue straordinarie doti cliniche e didattiche, unite alla testimonianza cristiana generosa e coerente, ne fecero rapidamente crescere la fama fra gli ammalati, che a lui si affidavano sempre più numerosi, e tra i giovani medici e studenti di Medicina, che in lui riconoscevano un modello da seguire, ma anche un amico e un consigliere. Fu proprio la consapevolezza del bene che poteva fare ai malati e ai giovani colleghi a spingerlo a dedicarsi prevalentemente all’attività di corsia. Maturò così, non senza una comprensibile sofferenza, la rinuncia alla carriera universitaria, nonostante gli fosse stata offerta la cattedra di Chimica fisiologica, disciplina che tanto gli stava a cuore. La notevole fama non era per lui motivo di superbia né di vanagloria; al contrario, egli si mantenne sempre umile.

Ci stai raccontando un uomo, un medico, un cristiano che faceva della pratica delle virtù il fondamento della sua vita…

Esattamente. Per questo, il calore umano con cui il Moscati visitava premurosamente i malati, specie i più poveri e abbandonati, avvicinandoli in ospedale e nelle loro stesse abitazioni, era tale che la gente lo cercava; il suo tratto era ricco di quella bontà rispettosa e delicata, che lo stesso Gesù Cristo diffondeva intorno a sé quando andava per le strade della Palestina facendo del bene e sanando tutti.

Amava ricordare spesso ai suoi allievi che non solo del corpo si dovevano occupare, ma delle anime, con calore umano anziché “con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”. Nel costante rapporto con Dio, il Moscati trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e il calore per poter essere vicino a coloro che, soffrendo, attendevano dal medico chi li servisse con partecipazione sincera.

Fu quindi un esponente di quella umanizzazione della medicina, avvertita oggi come condizione necessaria per una rinnovata attenzione e assistenza a chi soffre? 

Certamente. Da questo profondo e costante riferimento a Dio egli trasse tratto la forza che lo sosteneva e che gli permise di vivere con integra onestà e assoluta rettitudine nel proprio delicato e complesso ambiente, senza scendere ad alcuna forma di compromesso.

Uomo integro e cristiano coerente, non esitava a denunziare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a danno della vera professionalità e della scienza, a danno degli infermi come pure degli studenti ai quali sentiva di dover trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti sono i medici del domani. Conscio di ciò, il Moscati pensava alla qualità dei futuri medici, prendendo anche pubblicamente posizione affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione e formazione. Preparazione e formazione che seppe incarnare con l’esempio.

Qual è il messaggio forte che ci dà questo santo medico oggi?

Credo che stia in una frase da lui scritta, eccezionalmente attuale: “Ama la verità, mostrati qual sei senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; e se il tormento, tu sopportalo; e se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, tu sii forte nel sacrificio”.

Moscati amò la verità appassionatamente. Lo fece con spirito di sacrificio e con dedizione instancabile, resistendo anche ad attacchi personali, alle invidie, all’ostilità ideologica. Non si arrendeva mai alla stanchezza, né al pessimismo. Era un realista cristiano, consapevole del male che c’è nel mondo e della forza del Maligno, che è comunque sempre inferiore a quella di Cristo Salvatore.

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Paolo Gulisano, Giuseppe Moscati. Il santo medico, Ares, 164 pagine, 15 euro

 

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