L’incredibile storia (e la sua lezione) di Lou Tseng-Tsiang, da primo ministro cinese ad abate benedettino

di Aurelio Porfiri

A volte la storia ci sorprende con vicende che sembrano uscite da un romanzo ma sono invece reali e forse nessun romanziere avrebbe potuto immaginarle. Pensate per esempio a un diplomatico e politico cinese di religione protestante che sposa una donna europea e cattolica, si converte al cattolicesimo e alla morte della moglie entra in monastero e dopo qualche anno è nominato abate. Storia un po’ troppo rocambolesca? Eppure è proprio quello che è successo a Lou Tseng-Tsiang (1871-1949), nativo di Shanghai, cresciuto in una famiglia anglicana praticante. Da giovane, durante i suoi anni di formazione per la carriera diplomatica, un suo superiore gli parla del cattolicesimo e di come ne trarrà beneficio se lo studierà. In seguito Lou ha una buona occasione per approfondire l’argomento: il matrimonio con una giovane belga, Berta Bovy, cattolica, conosciuta all’ambasciata cinese a Pietroburgo. Inizia così un lungo percorso di avvicinamento alla Chiesa cattolica.

La carriera politica di Lou è di primissimo piano: presidente del Consiglio cinese, ministro degli Esteri e ambasciatore, ma sullo sfondo resta sempre l’attrazione per il cristianesimo. Si dice che un giorno leggendo gli scritti di Elisabetta Arrighi Leseur, mistica francese, Lou sia colpito dal fatto che alla morte della donna il marito, Félix, un tempo ferocemente anticlericale, si è fatto domenicano.

La moglie Berta, che lo ha sempre incoraggiato a seguire la stessa strada, dopo più di venticinque anni di matrimonio muore. E così Lou Tseng-Tsiang, sull’esempio di Félix Leseur, divenuto padre Maria Alberto, il giorno stesso della morte della moglie si presenta in monastero in Belgio e chiede di dedicarsi totalmente a Dio. Dopo gli studi, nel 1935, viene consacrato sacerdote dall’ex delegato apostolico in Cina, Celso Costantini, e alla cerimonia è presente anche padre Leseur.

Ora Lou è sacerdote e monaco nell’abbazia di Sant’Andrea a Bruges, in Belgio, con il nome di Pietro Celestino. A proposito dei suoi compatrioti cinesi dirà: “Vorrei dire ai miei compatrioti: leggete il Vangelo, gli Atti degli Apostoli, le lettere di Paolo. Leggete la storia delle persecuzioni dei primi secoli della Chiesa e gli atti dei suoi martiri. Prendete tutte le pagine della storia della Chiesa, comprese quelle che portano l’impronta della debolezza umana. Prendete pure quelle innumerevoli in cui la carità cristiana si è profusa con una sollecitudine materna e spesso eroica. Tenete conto delle cose e arriverete a concludere che si tratta di una realtà assolutamente superiore e unica. Allora vi porrete il quesito: nella Chiesa cattolica abita davvero il Dio vivo e vero, l’unico Dio?”.

Nel 1946 dom Pietro Celestino è nominato da Pio XII abate onorario dell’abbazia benedettina di San Pietro a Gent. Sul letto di morte le sue ultime parole saranno: “Affido il mio paese, la Cina, a Gesù: è in buone mani”.

Autore di numerose opere, dom Pietro Celestino in alcune cercò di armonizzare confucianesimo e cattolicesimo. Sosteneva che la forza dell’Europa non è nelle sue armi o nella scienza, ma nella religione. Un’idea che ci invita a riflettere su come questa forza sembri oggi del tutto dissolta.

 

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