Santa Eucaristia sulla lingua/ Ma chi abusa chi?

di Fabio Battiston

Il contributo della signora Mariana Timpone sul tema degli abusi eucaristici, pubblicato su Duc in altum il 25 febbraio, ripropone un atteggiamento che – in altre ma simili forme –  caratterizza alcuni interventi di cattolici “non allineati” (per non usare l’ormai trito e ritrito termine di tradizionali) che non di rado compaiono sul blog. È una sorta di autoflagellazione con la quale costoro sembrano voler accusare il mondo antimodernista, quindi anche se stessi, di comportamenti che, nella sostanza, non sarebbero quelli di un buon credente. È del tutto evidente che nessuno di noi è depositario della verità come pure che esistono, innegabilmente, posizioni del conservatorismo cattolico non esenti da critiche, anche forti. Tuttavia, con il rispetto dovuto, vorrei sottolineare una serie di punti sui quali mi trovo in totale disaccordo con le posizioni espresse nell’articolo in questione. Non voglio convincere nessuno, per carità; l’obiettivo è solo quello di offrire una visione “altra” su un tema (quello degli abusi eucaristici) che mi pare si vada ormai incancrenendo in maniera piuttosto preoccupante. Io penso che le responsabilità di tale aggravamento – a parte alcuni casi sporadici che non nego possano essersi verificati – siano da ricercare nella pervicace ottusità di un clero (meglio, di una parte comunque non banale di esso) sempre più asservito ad un modo di fare ed essere Chiesa; un modo che – almeno per il sottoscritto e coloro che condividono la mia visione – non aiuta né ci guida nel nostro cammino di salvezza.

Chiedo anticipatamente scusa alla signora Mariana se troverà nelle mie contro-valutazioni qualche nota che potrà forse apparire un po’ sopra le righe; la prego di separare tono e sostanza delle mie affermazioni. La ringrazio, invece, per aver presentato posizioni così chiare e decise, le uniche in grado di generare un confronto proficuo, anche se talvolta aspro.

Le osservazioni che propongo si basano su alcuni estratti (in corsivo) dell’articolo in questione. Di volta in volta faccio seguire le mie considerazioni.

Rifiutare la Santa Eucaristia e girarsi di spalle per andarsene è forse un modo per rispettarla?

Sì, se questo viene fatto per evidenziare e denunciare quanto la Chiesa temporale di oggi sta facendo nei confronti di tutta la liturgia ed i Sacramenti. Aggiungo che, allo stesso modo, si rispetta la sacralità della Santa Messa: uscendo da una Chiesa dove si sta celebrando il Sacrificio di Cristo adorando feticci amazzonici; dove, stonando e strimpellando alla meno peggio, si fa musica che nulla ha a che vedere con quella sacra perché ormai….la musica ed i canti servono solo per “animare” la liturgia; dove il celebrante, magari calzando scarpe da jogging, incita i fedeli a batter le mani e muovere le braccia come se si stesse assistendo a un concerto di musica pop. E potrei andare avanti con molti altri esempi.

Non credo che l’Eucaristia venga rispettata solamente tramite il modo in cui viene presa (in ginocchio? sulla lingua? in mano?).

Non solamente, certo. Ma se la forma, nella liturgia, non deve rivestire più alcuna importanza stiamo letteralmente buttando a mare oltre 15 secoli di tradizione. Tutto ciò che è sempre stato presente nella liturgia come atti, preghiere, simboli, posture, musiche e canti, paramenti sacri, silenzi, atteggiamenti, ecc. ha un suo preciso ed univoco significato rispetto alla triade Tradizione, Scritture e Magistero. Se questo per alcuni credenti (ed anche per molti sacerdoti) non significa nulla – e magari sono gli stessi che esaltano la grandezza del Concilio Vaticano II – non sarebbe male rileggere i contenuti (brutalmente traditi e travisati in questi sessant’anni) della Sacrosanctum Concilium.

Domande, non rimproveri. Domande, non prediche!

Mi pare che coloro i quali, da anni, stanno ricevendo rimproveri e prediche – ma anche insulti e dileggio – siano invece quelli che cercano di difendere quel poco di cattolico che c’è rimasto nella liturgia. Quanto poi alle domande…domande…dialogo, rispondo (con un’ironia che spero sia perdonata) come spesso faceva il grande Totò nei suoi film: “Ma mi faccia il piacere!” Infatti, a partire dai Dubia dei quattro cardinali su Amoris laetitia – ai quali il sommo(?) pontefice non ha mai ritenuto di dare uno straccio di risposta – mi sembra che vescovi ed alti prelati facciano a gara nell’ignorare, quando non apertamente insultare, coloro che cercano spiegazioni su ciò che la Chiesa è ormai diventata, non solo sul piano della liturgia. E se vogliamo sbizzarrirci con le domande, suggerisco un interessante esperimento: chiedete a dieci sacerdoti, sparsi qua e là nelle vostre diocesi, dove si può partecipare ad una liturgia Vetus Ordo e prendete nota della risposta (quand’essa sia qualcosa di più che non uno sguardo allucinato di chi non sa di cosa stiate parlando). Chiedete anche cosa sono le Quarant’ore, dove si può partecipare all’Ufficio delle Tenebre o gli orari per seguire l’Ottavario dei defunti. Quando avrete raccolto le risposte, ne riparliamo.

A che serve mandare ai vescovi delle lettere in cui si racconta la storia dell’Eucaristia? Pensate forse che non abbiano studiato teologia?

Se dobbiamo tener conto delle amenità che da molti anni vengono insegnate nei seminari e nelle Università pontificie, credo che la risposta non possa essere che: Sì! Molti di loro sono infatti cresciuti a pane e Nouvelle Théologie dalla quale, fortunatamente e con buona pace di chi lo nega, Joseph Ratzinger si distaccò in tempo quando ne percepì lo stravolgimento ed i frutti malefici che avrebbe prodotto negli anni.

Non trovo frutto dello Spirito Santo mettersi apertamente in contrasto con i nostri pastori, mi sa tanto di ribellione eretica.

Il contrasto – finanche la disubbidienza dei credenti verso i loro pastori – non può essere considerato eresia o apostasia, quando si pone come argine a situazioni manifestamente devianti. Riprendo, a riguardo, un concetto che don Mattia Tanel mi ha recentemente illustrato in una sua lettera e che ho già presentato in un mio precedente contributo (una risposta alle considerazioni di Paolo Gulisano sullo zelo amaro):

La teologia cattolica prevede la disobbedienza lecita, o meglio il rifiuto del peccato di oboedientia indiscreta (san Tommaso), anche nei confronti del Romano Pontefice. La disobbedienza materiale (che non è il peccato di disobbedienza, né di scisma: San Tommaso distingue bene queste fattispecie) è una risorsa lecita e, secondo il cardinale Torquemada, san Roberto Bellarmino e altri, persino doverosa quando i Pastori della Chiesa deviassero gravemente dalla fede e si trasformassero in aggressori spirituali del gregge loro affidato. È ciò che avviene oggi.

In sintesi, non ci sono due scelte possibili, ma tre: obbedienza servile, obbedienza soprannaturale (= disobbedienza materiale) e apostasia.

Si può sempre sostenere che quella di don Mattia non sia la Bibbia; vero. Tuttavia è la seria argomentazione di un giovane, profondo e preparato sacerdote che, l’ho riscontrato in altre occasioni nelle quali ho avuto la possibilità di ascoltarlo, non va raccontando di giorno ciò che si sogna di notte. Chiedo solo di riflettere su queste parole.

Tanto meno mi sembra rispettoso rifiutare il Nostro Gesù perché non ci viene dato come vogliamo noi! È sbagliato, da parte dei gruppi che vogliono proteggere la Santa Eucaristia, veicolare il messaggio che si può sostituire la Santa Eucaristia con la Comunione spirituale. 

Primo: nessuno qui sta chiedendo di prendere l’Eucaristia secondo una propria scelta individuale o un capriccio personale. Si intende soltanto rivendicare il sacrosanto diritto di accedere al Sacramento nei modi, mai abrogati, che fanno parte della liturgia della Chiesa da un robustissimo numero di secoli.

Secondo: quanto alla presunta insignificanza (o scarso valore) della Comunione spirituale, che sembra trasparire dalle parole della signora, mi permetto di inserire nel seguito un breve ma significativo testo. È un estratto di quanto affermato da Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, nel libro-intervista del 1985 Rapporto sulla fede:

«La messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l’ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane […] è la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti ed assenti, vivi e morti. Dobbiamo riprendere coscienza che l’Eucaristia non è priva di valore se non si riceve la Comunione».

«Se l’Eucaristia è vissuta solo come banchetto di una comunità di amici [come vuole il protestantesimo, aggiungo io], chi è escluso dalla ricezione dei sacri doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della messa (pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede), allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri».

Aggiungo, su questo tema, un altro interessante contributo offerto dal cardinale Angelo Scola nel 2015. L’allora arcivescovo di Milano (dal 2017 arcivescovo emerito), in un articolo sulla rivista Communio, si esprimeva in questi termini:

«La comunione spirituale, cioè la pratica di comunicare con il Cristo eucaristico nella preghiera, di offrire a lui il proprio desiderio del suo corpo e sangue, assieme al dolore per gli impedimenti alla realizzazione di questo desiderio è tra i gesti che la spiritualità tradizionale ha raccomandato come un sostegno per coloro che si trovano in situazioni che non permettono di accostarsi ai sacramenti».

Leggendo su Duc in altum le diverse testimonianze di chi ha patito abusi eucaristici, non ho mai trovato l’idea che la Comunione spirituale possa o debba divenire l’abituale surrogato di quella materiale. A me pare che, al contrario, vi sia stata fino a qualche anno fa una totale e colpevole sottovalutazione (quando non, addirittura, una completa non conoscenza) del significato e del valore della Comunione spirituale nella liturgia cattolica. Non dimentichiamo che su di essa troviamo preziose testimonianze nell’Imitazione di Cristo (scritto nel XV secolo) e sui testi di santa Caterina da Siena e sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Chissà, forse un benefico effetto gli abusi perpetrati nell’Eucaristia lo hanno avuto: quello di far riscoprire questo antico tesoro.

Inoltre trovo scorretto mettere i sacerdoti nella condizione di sgridare un fedele davanti all’Eucaristia e davanti all’assemblea, come ho letto in alcune lettere di persone che si sono fatte rimproverare e umiliare perché volevano ricevere la Santa Eucaristia in ginocchio e sulla lingua. È certamente sbagliato il comportamento del sacerdote, ma è anche sbagliato indurre il sacerdote a peccare ulteriormente con la collera e con gli insulti.

Col massimo rispetto, ma qui si sta un po’ esagerando! Ma come, un fedele chiede soltanto di prendere la Comunione come può e deve essergli data e viene accusato di indurre al peccato il sacerdote? Un sacerdote che, in quello stesso momento, sta consapevolmente violando ogni regola poiché da tempo non vi è più nessun impedimento ufficiale alla somministrazione del Sacramento in bocca ed in ginocchio? È proprio lui che, prevaricando tutto e tutti, vuole dare la Comunione in base ad una sua personale (e illecita) decisione!

O forse vogliamo pensare che esista – da parte dei soliti cattolici provocatori e oscurantisti – una sorta di autolesionistico piacere per, da un lato, provocare la collera altrui e, dall’altro, vedersi pubblicamente umiliati e offesi? (caro Dostoevskij, chissà che splendide pagine avresti potuto scrivere su una tematica come questa).

Non dobbiamo essere occasione di inciampo per nessuno dei nostri fratelli.

Perdoni signora ma, ancora una volta, non sono d’accordo. Lei dovrebbe essere ben consapevole che la “famiglia” di coloro che nella Chiesa temporale sono considerati credenti scomodi – e per ciò stesso marchiabili con i peggiori epiteti dai seguaci dell’attuale papa – si ritrova spesso dispersa in una strabordante maggioranza avversa, per nulla silenziosa. Quest’ultima è composta da una moltitudine di “fratelli” (alti prelati, parroci e sacerdoti, teologi, laici più o meno impegnati, esponenti dell’intellettualismo e della cultura cattolicamente corretti, mondo dell’informazione e comunicazione, ecc.) tutti schierati agli ordini del loro condottiero argentino per vincere la battaglia che porterà alla Nuova Religione Universale. E noi, superstiti di un cattolicesimo che si vuole distruggere – e che a quanto pare ogni domenica corriamo festanti alle messe Novus ordo al solo scopo di farci umiliare ed offendere – saremmo gli ostacoli in grado di far inciampare tali fratelli e disturbare questa gioiosa macchina da guerra? Al tempo stesso dovremmo anche evitare, con le nostre prese di posizione, di indurre all’inciampo (e quindi all’errore, secondo la sua visione) altri fedeli? Quelli, ad esempio, che non comprendono più questa Chiesa ma che non hanno la forza di contrastarla in nome di quell’obbedienza servile di cui ci parla don Mattia? No, per favore! Che almeno ci sia consentito di esistere per continuare a dar voce e corpo ad una speranza. Il nostro modo di manifestare la fede nel Dio trinitario non è, non può essere una minaccia per nessuno. E che ciascun peccatore possa combattere la sua battaglia terrena per la Vita Eterna come può, con i limiti ma anche i talenti che Nostro Signore gli ha dato.

Un cordialissimo saluto, signora Mariana. Continuiamo, sine mora, a confrontarci su questi e tanti altri temi che ci stanno a cuore.

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