Signora Meloni, le scrivo. Lettera aperta (senza rancore, ma sincera) di un ragazzo degli anni Settanta

di Fabio Battiston

Io sono Fabio… no, no stia tranquilla, non è mia intenzione ironizzare sul suo libro che peraltro non ho letto (ma questo, giustamente, non importa a nessuno). Dunque, questa vuole essere una sorta di lettera aperta che, tramite Duc in altum, le invio da vecchio ragazzo degli anni Settanta qual sono. È la prima volta che mi cimento in una missiva del genere e, per di più, diretta all’attuale presidente del Consiglio. Speriamo bene.

Chi le scrive è da sempre un cattolico (scomodo), politicamente schierato a destra. Essendo del 1956, ho avuto il privilegio di vivere in prima persona quegli splendidi e al tempo stesso tragici anni Settanta. L’ho fatto con la passione e la voglia di esprimersi sulle grandi questioni che era tipica dei ragazzi di allora, qualunque fosse la loro “barricata”; sentimenti che fatico non poco anche solo a intravedere nelle attuali giovani generazioni. Ho vissuto anche quel 1977 che l’ha vista nascere e che fu solo l’antipasto dei lutti che certa sinistra (e la sua mortifera ideologia) avrebbe provocato negli anni successivi, strumentalizzando e tradendo tutti coloro che, in buona fede, vi avevano aderito. Analoga considerazione può esser fatta nei confronti di alcuni cattivi maestri che, anche a destra, blandirono e quindi abbandonarono alla lotta armata non pochi ragazzi e ragazze. Ci pensarono poi la partitocrazia Dc-Pci e la teoria degli opposti estremismi a dare un “tocco di classe” a quella stagione. Come può ben capire, vivevo quelle esperienze non solo con grande passione ma anche, per citare Kierkegaard, con timore e tremore. Già, perché in quel decennio essere un giovane di destra, per di più cattolico praticante e senza mai nascondere la propria appartenenza, costituiva per molti un ottimo viatico non solo per l’isolamento e l’oltraggio ma, sovente, anche per il pronto soccorso.

Ho creduto utile questa premessa per meglio arrivare al nocciolo della questione ed ai motivi che mi hanno spinto a buttar giù questa lettera. Chi le scrive, nelle ultime elezioni politiche (poiché alle regionali non ho nemmeno partecipato) non l’ha votata e non lo ha fatto convintamente. In questi anni ho seguito con attenzione la sua presenza e la sua crescita nell’agone politico. Venivo da una serie di delusioni che mi avevano progressivamente allontanato dalla politica di centro-destra, senza mai traslocare altrove. La riprovevole vicenda di Gianfranco Fini fu il primo atto di un’insulsa commedia. Il pervicace supporto berlusconiano ai governi tecnici, cui seguì la rapida parabola della Lega, rese di fatto l’alleanza conservatori-moderati sempre più simile a un utile servo sciocco di quei poteri che, dalla caduta del comunismo dell’Est in poi, avrebbero trasformato l’Occidente nel mostro laicista euro-americano che è divenuto oggi (e del quale la famiglia ex Pci, nei suoi molteplici cambiamenti post ‘89, è in gran parte una strenua e attiva sostenitrice). Ma andiamo con ordine. Dicevo, Giorgia, della sua crescita e, aggiungo, del suo modo di dar corpo a un “animale” politico i cui tratti mi facevano tornare indietro a quegli anni Settanta di cui ho parlato all’inizio. Nessuna romantica nostalgia, beninteso, piuttosto il ritrovare – finalmente – chi aveva l’energia e la fierezza di presentare alternative forti, non per velleitario partito preso ma per rivendicare che l’appartenenza a un diverso sistema di valori poteva trasformarsi in un progetto politico credibile e realistico. E ancora, la sua capacità di argomentare in modo non banale che esistono visioni e ideali per concepire una prospettiva di sviluppo al di fuori di quella melma che, oggi, è efficacemente descritta con i termini Deep State, Great reset, Mainstream, Pensiero unico, Religione Universale e così via. Ricordo suoi interessanti interventi su temi quali la difesa dell’identità (anche cattolica) di una nazione, l’affrancamento dal giogo europeo, i valori della famiglia tradizionale, e altro ancora. In essi lei manifestava apertamente quell’essere di destra che, a bellimbusti stagionati come me, faceva venire la pelle d’oca; e le assicuro che non era solo una sensazione epidermica. Ricordo anche le sue prese di posizione durante la crisi del Donbass del 2014 (con i massacri perpetrati dagli ucraini nei confronti della minoranza russa nella totale e vergognosa acquiescenza dell’Europa e degli Usa); quale nettezza, quale chiarezza di argomenti, allora, nei confronti delle vili prese di posizione dell’Italia e dell’Ue!

Ma tutto questo, ormai, appartiene al passato. Già, perché con l’avvicinarsi delle elezioni politiche la sua linea ha iniziato progressivamente a mutare. Cambiava il suo atteggiamento verso l’Europa, l’Euro e – più in generale – si assisteva a un riposizionamento nei confronti di quel nuovo ordine mondiale di cui da oltre vent’anni si sta pianificando l’attuazione. È un disegno, quest’ultimo, che vede all’opera una “famiglia” multinazional-globalista molto ben assortita, i cui componenti sono conosciuti in tutto il mondo e specialmente tra gli abitanti di Cologny e nelle vicinanze di Borgo Pio, qui a Roma. Conseguentemente, l’intera sua campagna elettorale ha assunto una configurazione del tutto in sintonia col concetto base di non disturbare il manovratore, indipendentemente da chi fosse – di volta in volta – il personaggio o l’organizzazione coinvolti (Draghi, Von der Leyen, la Nato, la Bce, Biden o il Wef). Ecco perché io non sono d’accordo con quelli che sostengono la tesi della sua “mutazione genetica” una volta giunta al governo; nient’affatto! Era tutto chiaro già prima che l’esito elettorale certificasse la vittoria della destra-centro. I suoi primi atti, signora, sono stati emblematici:

ha subito reso omaggio all’Unione europea, alla sua moneta ed alla sua sacerdotessa tedesca;

la sua prima telefonata internazionale è stata fatta al capo (comico) ucraino che, con la decisiva complicità euro-americana, sta guidando il suo paese al massacro;

non ha fatto trascorrere un minuto per dimostrare, a chi nel mondo attendeva queste parole, il totale e solido allineamento – suo, del suo governo e del suo paese – con chi sta strangolando la nostra economia e le nostre imprese; sta facendo a pezzi i valori della tradizione greco-giudaico-cristiana italiana ed europea e, non ultimo, sta attivamente aggravando una già pericolosissima guerra attraverso il modo più vile e mostruoso di combatterla: per procura! Una guerra provocata, in particolare, da trent’anni di assurda espansione dell’Occidente (Ue, Euro e Nato) verso Est e che ha come obiettivo ultimo quello di annientare la Russia post sovietica e ortodossa sui piani finanziario, militare e, soprattutto, etico.

Ma insomma, quest’esordio sulla scena internazionale potevano benissimo interpretarlo i Giuliano Amato, i Monti, il si fa per dire Super Mario o un qualunque leader piddino addestrato a svendere il suo paese ai padroni di Strasburgo e Bruxelles. Non c’era bisogno di lei, Giorgia! Lei è sempre stata qualcosa di ben diverso rispetto a una politica nazionale fatta solo di inchini, sissignore e obbedisco al padrone di turno. Queste mie considerazioni non sono frutto di un’opinione personale. Basta analizzare le reazioni che, a qualunque livello, il mondo occidentale sta esprimendo nei confronti della sua Amministrazione e delle sue prime decisioni. Se l’esecutivo avesse realmente espresso una discontinuità, un seppur minimo cambio di rotta su almeno alcuni degli aspetti citati, l’Italia sarebbe stata immediatamente oggetto di avvertimenti e attacchi, in puro stile euro-mafioso. Invece niente. Nessuna ritorsione finanziaria (come aumenti dello Spread o strumentali valutazioni economiche dalle famigerate agenzie di rating); posizioni di grande apprezzamento espresse da autorevoli quotidiani internazionali e opinion leader; giudizi positivi, non formali, in ogni consesso mondiale cui sta partecipando. Al netto di qualche scaramuccia col ridicolo bulletto transalpino, direi che la luna di miele tra lei e gli euro-oppressori è ancora in pieno svolgimento. Ed io, ingenuo esponente di una destra che forse esiste solo nella mia mente, ancora un anno fa vagheggiavo la possibilità di dar corpo a un sogno. Quello di un’Italia realmente identitaria e sovranista, capace di dire no a quest’Europa, ai suoi disvalori, alle sue folli politiche e alla sua fetida moneta, strumento di dominio franco-tedesco su di noi. Di un’Italia vera mediatrice di pace in un conflitto che solo apparentemente vede un Golia contro Davide, ma che in realtà nasconde un progetto di potere (occidentale) in cui etica, valori e morale devono essere completamente rovesciati rispetto, ad esempio, a ciò che avevano in mente i padri fondatori – molti dei quali ferventi cattolici – della prima Comunità europea. Quello di un’Italia non più schiava del politicamente, bergoglianamente ed eticamente corretto, capace di dire NO ad aborto, eutanasia, eugenetica, scientismo LGBTQIA++XYZ, ecologismo catastrofista, green economy e altre mostruosità del genere. Già percepisco l’obiezione di molti: “Ma come si può pretendere che l’Italia esca dall’Ue e dall’Euro, che imponga la sua sovranità/identità in un contesto di leggi e norme nelle quali deve prevalere l’interesse sovranazionale e in cui i ‘diritti civili’ da tempo legalizzati (come l’omicidio premeditato volontario tramite aborto) devono considerarsi intoccabili? È assurdo il solo pensare di uscire da queste logiche. L’Italia verrebbe stritolata!”. Benissimo, ma se le cose stanno così, se dobbiamo prendere atto che non c’è – e non ci sarà mai – alcuna alternativa al restare sudditi di un governo mondiale, accettando tutto ciò che la nuova politica, finanza ed etica planetaria ha stabilito essere irreversibile per tutti – pena l’annientamento degli oppositori – mi chiedo, cara Giorgia: ma che mostruosa democrazia avete contribuito a creare? Quale volontà popolare ha mai dato fiducia a una simile oscenità tramite libere elezioni? Infine, a che accidenti serve andare ancora a votare? A che pro esprimere una visione di destra, sinistra, centro, su, giù o di lato, gestita poi da un esecutivo che è solo uno squallido fantoccio? Le ricordo, Giorgia, che questi sono concetti a lei molto cari; più volte li ho sentiti esprimere – con forza e indignazione – in diverse sue dichiarazioni. Ma tant’è, tutti abbiamo il diritto di dire: tengo famiglia; quindi possono farlo anche un governo, un premier, finanche un’intera nazione che – ormai sconfitta – ha deciso di rassegnarsi alla frusta del proprio padrone. Ecco allora, in ordine sparso:

la Signora Roccella (e prima ancora Salvini) assicurarci che la 194 e i “diritti acquisiti delle donne” non si toccano;

l’assenza totale di attacchi verso l’ideologia gender in tutte le sue forme. ma non solo. È notizia fresca che il ministero del Lavoro ha ufficialmente patrocinato un corso di formazione per docenti, a Brescia, ove si parlerà di “superamento del binarismo” sessuale, e del “processo di transizione e ricadute sulla scuola, nome di elezione, carriere alias”;

il cavaliere che non perde occasione per dire che finché c’è Forza Italia i legami dell’Italia con l’Europa (capitanata dalle tre Grazie Lagarde, Von der Leyen e Metsola) resteranno saldi e inscindibili;

“nessuno” che, nella vostra coalizione, promette di azzerare quei famigerati diritti civili che consentono matrimoni e adozioni tra persone dello stesso sesso;

le navi Ong che prima, almeno, sbarcavano clandestini e scafisti a Lampedusa e in Sicilia, mentre oggi ogni pertugio d’Italia è diventato porto sicuro per questi alleati dei trafficanti di morte.

Ed ecco, infine, Crosetto – che ho sempre stimato e altamente apprezzato, come persona seria, capace e misurata – assumere nella crisi russo-ucraina atteggiamenti di un’incomprensibile bellicosità, apparendo così poco consapevole dell’equilibrio fragilissimo che connota l’attuale scenario. Evidentemente ciò che conta è il plauso e l’approvazione dello stolto Stoltenberg (in questi giorni più aggressivo che mai, nel volere a tutti i costi l’immediato ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza; altra benzina sul fuoco). Ma attenzione, perché di Nato si può morire.

Vede signora, può essere certamente comprensibile – direi anzi doveroso sul piano di un’intelligente strategia politica sul medio termine – avviare la propria governance per gradi, per non “spaventare” chicchessia. In particolare ciò appare sensato se si sapeva di avere, come nel caso del suo nuovo governo, i fucili puntati (in Italia e all’estero) per i diversi motivi che sappiamo. Tuttavia sarebbe stato lecito aspettarsi, nella prospettiva di un reale cambiamento di visione e di scelte, almeno un embrionale cambio di direzione. Ciò per far capire a quella parte d’Italia che l’ha votata (e a un’altra che proviene dalla sua stessa storia ma non le ha dato fiducia) che sarà possibile, progressivamente certo, liberarsi da un giogo che ci opprime e che può rendere buio il nostro futuro, quello dei nostri figli, nipoti e pronipoti. Il punto è proprio questo, Giorgia: il cambio di direzione non si vede né nelle piccole né nelle grandi decisioni. E, all’orizzonte, segnali di una qualche resipiscenza non ne appaiono. Lei con l’applauso di quasi tutti i poteri forti (sa molto bene a cosa e a chi mi riferisco) sta garantendo una continuità pressoché totale con le scelte delle precedenti amministrazioni italiane. Infatti, da Draghi a Monti, da Letta a Gentiloni – per non parlare dei gauleiter che comandano questa Unione europea e questa Nato – le giungono quasi unicamente elogi e apprezzamenti. Addirittura la satanica area liberal Usa pare favorevolmente impressionata. Speravo sinceramente che l’epoca dei Seyss-Inquart e dei Quisling nostrani fosse definitivamente terminata con l’eclissi (permanente?) di Mario Draghi. A quanto pare, devo rassegnarmi a ritenere questa speranza solo un’illusione.

Tutto ciò, per chi condivide la mia visione e la mia idea di destra, è estremamente doloroso. Ma è probabile che, senza rendermene conto, io rappresenti una destra che non c’è più o che, forse, non c’è mai stata. Al massimo faccio parte di una corrente minoritaria in una già esigua minoranza. La cosa in fondo non mi sorprenderebbe più di tanto poiché, anche come cattolico, appartengo a una cerchia talmente ristretta che tra poco si ritroverà a dir messa nelle catacombe. O forse aveva ragione Prezzolini, che nel corso di una lunga conversazione con Claudio Quarantotto, pubblicata su Il Borghese nel 1978, a proposito della grande articolazione (e spesso frammentarietà) del luogo politico chiamato “destra”, affermava: “Le destre sono tre, trentatré, trecentotré!”.

Chissà a quale numero appartengono le nostre due destre, signora Meloni.

Senza rancore, ma sempre con grande sincerità.

 

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