Lettera / Sulla “divinizzazione” del papa

di Antonio Polazzo

Caro Valli,

vorrei invitare Aurelio Porfiri a rimeditare sopra alcune cose che ha detto nel suo recente intervento apparso su Duc in altum circa la tentazione di “divinizzare” il Papa [qui].

1) Porfiri dice:

Il leader terreno della Chiesa, il papa, non è il capo della Chiesa, che è Cristo. Al papa un tempo venivano cantate, alla sua entrata in San Pietro, le parole che Gesù disse al pescatore di Galilea, Tu es Petrus. Gli viene detto “Tu sei Pietro”, non Dio o Gesù Cristo. Tu sei il successore dell’apostolo che Gesù scelse per guidare la Chiesa, non per sostituirsi a Lui. Sei il successore non di un grande sapiente, ma di un umile pescatore, di colui che dopo aver passato tanto tempo accanto al Signore e aver ricevuto un così grande compito non poté fare a meno di rinnegarlo. Questo equivale a un colossale bagno di umiltà per ogni papa nel corso dei secoli ed è anche un avvertimento per i fedeli, perché combattano la tentazione di “divinizzare” il papa“.

Il capo della Chiesa è certamente Gesù Cristo. Ciononostante anche un vero papa, in uno specifico senso, lo è. Non che ci siano due capi, nel senso di due “teste” autonome l’una rispetto all’altra (ed è importantissima contro la preoccupazione di Porfiri questa unità tra Cristo e il papa). Della Chiesa infatti, come insegna il catechismo, il Signore è il capo invisibile, il papa quello visibile. Il Signore ha voluto che fosse il papa (“ponte misterioso gettato sul vuoto immenso che separa il mondo visibile dal mondo invisibile” diceva monsignor Andrea Scotton) a “renderlo visibile” sulla terra dopo la di Lui gloriosa ascensione in Cielo.

Il Tu es Petrus non va letto come volontà del Signore di evidenziare la differenza e la distanza tra Lui e Pietro (cioè per sottolineare che Pietro non è Dio). Tutto al contrario, va letto come volontà di evidenziare la speciale vicinanza di Pietro a Dio rispetto agli altri discepoli, tra i quali è scelto dopo splendida confessione di fede per essere la roccia su cui edificare la Chiesa. Soltanto a Pietro verranno date le chiavi del regno dei Cieli, simbolo di suprema autorità.

Nessun papa (e penso anche nessun antipapa) ha mai pensato di essere Gesù Cristo. Ciascun papa, invece, è consapevole di esserne il rappresentante terreno, di farne le veci qui sulla terra durante la Sua fisica assenza, di esserne il vicario, munito del potere divinamente assistito di custodire e insegnare la dottrina da Lui rivelata.

È vero che i rinnegamenti di Pietro richiamano all’umiltà, ma non sono rinnegamenti di un papa, perché quando Pietro li fece aveva sì già ricevuto dal Signore la promessa del papato, ma non ancora l’autorità pontificia.

Assolutamente fuorviante dunque identificare, sotto il profilo dell’essenza del papato, la condizione di Pietro all’atto dei rinnegamenti con quella dei papi che si sono succeduti nel corso dei secoli, così suggerendo in qualche modo che l’autorità papale può ingannarsi e ingannare nell’insegnamento a tutti i fedeli delle cose concernenti la fede e la morale.

2) Dice ancora Porfiri:

Gli stessi titoli che la tradizione riserva al papa, servus servorum Dei, vicario di Cristo, successore di Pietro, ne indicano certamente l’alta funzione, ma nello stesso tempo ricordano come non sia lui l’oggetto ultimo della nostra devozione. Dobbiamo seguirlo nella misura in cui egli ci porta a Cristo. E questo vale per ogni papa. Se un papa un giorno ci chiedesse di non credere alla risurrezione, dovremmo seguirlo? Certamente no. Questo protegge lui da manie di grandezza e protegge noi dallo sbagliare l’oggetto della nostra fede“.

Se siamo disposti a seguire un vero papa “nella misura in cui egli – nell’esercizio della sua alta funzione – ci porta a Cristo” è evidente che non sarà mai il papa colui che seguiamo, ma noi stessi o qualcun altro che ci convince che il papa ci porta a Cristo.

Se nell’esercizio della sua alta funzione, che lo fa servo dei servi di Dio, il papa potesse farci sbagliare nelle cose della fede allontanandoci dalla salvezza, che senso avrebbe tale funzione? Di un papa così si può fare tranquillamente a meno.

3) Dice infine Porfiri:

Tutti, il papa, i cardinali, i vescovi, i fedeli, siamo giudicati alla luce della Scrittura e della tradizione e dobbiamo confrontarci continuamente con l’ammonimento di san Paolo (Galati 1, 8): “Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!”“.

Dice sempre il catechismo che la regola prossima della nostra fede è il papa. La Scrittura e la Tradizione ne sono la regola remota. Anche l’ammonimento di san Paolo dà lo stesso insegnamento, essendo chiarissimo che il suo è un parlare “per assurdo” (dunque un affermare che la cosa ipotizzata non potrà mai succedere), non certo un affermare che la Chiesa può ingannare nelle cose della fede. Anzi, è fondamentale osservare come l’Apostolo ingiunga di attenersi a quello che la Chiesa -in quel contesto rappresentata da lui stesso- ha predicato, senza ascoltare nessun altro (sia anatema se qualcuno vi predicasse un vangelo diverso “da quello che vi abbiamo predicato“).

Il Papato è un tesoro preziosissimo. Anzi, è molto di più. Pietro è per volontà di Gesù Cristo la roccia sopra cui la Chiesa stessa è stata elevata e si regge. Senza il papato, dunque, la Chiesa non sarebbe come Dio l’ha fatta e come deve rimanere sino alla fine del mondo.

Non bisogna avere alcun timore di conoscerne e difenderne la vera natura e le reali prerogative. Che sono grandissime. Ancor meno questo timore deve sussistere qualora per disgrazia sul trono di Pietro sieda chi non è un successore di Pietro, essendo proprio del papato un feroce nemico.

 

 

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