Lettera / Vescovi: vogliamo parlarne?

di Sequere Deum

Gentile Valli,

la ringrazio per lo straordinario lavoro comunicativo che fa con il suo blog in difesa della Tradizione della Chiesa. Le faccio i complimenti per aver apportato il suo contributo al libro, da poco uscito, Parole chiare sulla Chiesa, edito da Radio Spada sulla situazione (drammatica) della Chiesa cattolica. Condividendo tutto o quasi del libro, scritto da un sacerdote della Fraternità sacerdotale San Pio X, le propongo qui sotto un breve spunto su un tema che, a mio avviso, dovrebbe essere trattato con competenza teologica e senza pregiudizi di alcun genere. Un tema che fino ad ora non è mai stato oggetto di discussione approfondita, mi sembra, sui blog cattolici, ma la scorsa settimana è stato sfiorato dall’articolo, apparso in Duc in altum, dal titolo La rinascita della Chiesa e i nuovi tradizionalisti. Ma i vescovi dove sono? di don Claude Barthe.

Sul tema dei vescovi è opportuno aprire un dibattito. Per questo mi permetto di seguito alcune riflessioni con un breve accenno storico sulla questione.

A seguito dell’approvazione della Costituzione apostolica Sacrosantum Concilium (la prima del Concilio Vaticano II), è stato avviato un processo di riforma (alias rivoluzione) non solo della Santa Messa, ma – ed è qui il tema da affrontare – delle formule legate ai sacramenti, abbandonando i riti tradizionali in uso da secoli. Non solo il rito del Battesimo, della Santa Comunione e della Confermazione, ma anche quello degli Ordini Sacri.

Pio XII con la Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis  ha puntualizzato le questioni del Sacramento dell’Ordine disciplinandone i requisiti di materia, forma e significato degli effetti sacramentali, con la specifica finale per cui “a nessun uomo sarà permesso violare questa Costituzione, o contravvenirla con un’impresa sconsiderata”. Si trattò allora di definire gli elementi essenziali del rito di ordinazione che fino a quel momento storico trovavano delle differenze tra il rito latino e quello greco cattolico. Secondo Pio XII, “la materia dei Sacri Ordini del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato è l’imposizione delle mani; ma la forma e anche le parole determinano l’applicazione di questo materiale, con il quale sono inequivocabilmente significati gli effetti sacramentali, cioè la potenza dell’Ordine e la grazia dello Spirito Santo, e che sono ricevuti e usati dalla Chiesa”. La forma necessaria indicata per l’ordinazione episcopale prevede l’invocazione dello Spirito Santo (“Ricevi lo Spirito Santo”) cui aggiungere le parole volute da Pio XII: “Compi nel tuo Sacerdote la somma del tuo ministero, e santifica con la rugiada del celeste profumo gli ornamenti di ogni glorificazione che sono stati forniti”.

Necessari quindi per Papa Pacelli per quanto riguarda l’ordinazione episcopale sono: l’imposizione delle mani da parte del vescovo ordinante, l’invocazione dello Spirito Santo e gli effetti del sacramento esplicitati sull’ordinato (la pienezza del sacerdozio con l’ordine episcopale). Ovviamente la formula doveva essere letta in lingua latina, così come prescriveva il Pontificale romano.

Paolo VI, a seguito del Concilio, ha voluto il 18 giugno del 1968 promulgare una nuova versione del Pontificale Romano, valida per il rito latino (non per il rito greco cattolico e quelli orientali in generale che non hanno subito modifiche) che per il vescovo recita: “Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida, che desti al Tuo diletto Figlio Gesù Cristo, che Egli stesso donò ai santi Apostoli che costituirono la Chiesa nei singoli luoghi come tuo santuario, a gloria e lode imperitura del Tuo nome”.

L’imposizione delle mani prescritta dalla Costituzione di Pio XII è presente, l’invocazione dello Spirito Santo anche (per onore della verità nel testo ufficiale in latino si usa la dicitura “Spiritum principalem”, che nelle varie lingue al momento dell’ordinazione viene tradotto in diversi modi -Spirito che regge e guida, Spirito egemonico, Spirito principe eccetera – perdendo quel carattere di universalità proprio della Chiesa cattolica). Quello che non sembra puntuale è il significato inequivocabile degli effetti sacramentali che esso dovrebbe comportare: se nella precedente formulazione era esplicitato il suo fine, quello del ruolo di vescovo come completezza del sacerdozio, ora è molto vago e non ben definito. Con questo non voglio dire che le ordinazioni con questa formula siano invalide (e conseguentemente tutti i sacramenti che da essa ne deriverebbero), ma che la sua validità è legata alle intenzioni di chi amministra l’Ordine sacro. Come la Messa con il nuovo rito di per sé non è invalida, ma tende in questa direzione – vedasi le molteplici profanazioni che quotidianamente vengono raccontate sul suo blog, caro Valli – la stessa cosa si può dire per il rito episcopale voluto da Montini. Per capirci meglio, racconto un episodio che ha per protagonista monsignor Lefebvre.

In occasione della consacrazione dell’arcivescovo di Bruxelles, a fine anni Settanta, furono pubblicati piccoli libretti che vennero posti sui posti a sedere della basilica dove si sarebbe svolta la cerimonia. Ecco quanto vi si diceva per le preghiere pubbliche, che dovevano essere ripetute dalla folla: “Sii apostolo come Pietro e Paolo, sii apostolo come il patrono di questa parrocchia, sii apostolo come Gandhi, sii apostolo come Lutero, sii apostolo come Luther King, sii apostolo come Helder Camara, sii apostolo come Romero…”. Apostolo come Lutero? Ma quale intenzione avevano i vescovi quando consacravano il vicario di Bruxelles? (monsignor Lefebvre, conferenza a Nantes, 5 febbraio 1983). Il vescovo in questione era Godfried Danneels, conosciuto per essere stato, per sua stessa ammissione, parte di un gruppo di cardinali chiamato Mafia di San Gallo.

Per questo penso sia necessario tornare alla Tradizione, in tutti i sacramenti. Per i sacerdoti e i vescovi che vogliono aderirvi, provenienti dalla Chiesa conciliare, diventa quindi fondamentale ripetere l’ordinazione sotto condizione come misura prudenziale, per la salus animarum.

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