Scoprire l’Eucaristia con san Giovanni Bosco / 7. La santa Comunione: difetti da cui guardarsi

di don Marco Begato

Come mai la Comunione, fonte di ogni santità, non produce sempre effetti visibili e dirompenti nei fedeli? Questa la domanda che si pone don Bosco, e la risposta sta nell’analizzare tutti i difetti con cui noi ci accostiamo al Sacramento, mortificandone i frutti.

“Fa assai maravigliare che la Comunione, azione sì grande, sì santa, sì meritoria e capace di produrre i più grandi effetti, operi in molti di noi sì poco bene e produca troppo spesso sì poco frutto nell’anima nostra. Una sola Comunione ben fatta basterebbe a farci santi. Come va dunque che, sebbene ci comunichiamo così spesso, siamo nondimeno ancora così imperfetti? Il perchè si è che noi vi mettiamo ostacoli, e mille difetti rechiamo nelle nostre comunioni. Ecco i principali e più comuni; conosciamoli, piangiamoli e nulla omettiamo per evitarli per l’avvenire”.

In primis don Bosco denuncia la scarsa fede con cui ci si accosta al Sacramento Eucaristico. Rispetto ai primi tempi della Chiesa, sembra che la fede nell’Eucaristia si sia fatta flebile.

“Primo difetto si è la poca fede, colla quale noi ci accostiamo a questo divino mistero. E qui io parlo di quella fede vivissima, la quale dovrebbe farci scorgere appieno la grandezza del mistero che noi adoriamo e la santità che noi siamo per compiere. Si crede, ma con una fede debole, languida, quasi morta, la quale poco o niente operando lascia l’anima nell’insensibilità ed in una specie d’indifferenza. Ah! erano ben diverse le disposizioni dei primitivi fedeli, quando si accostavano a questa mensa celeste! e quindi essi ne ritraevano quei frutti mirabili, di cui ci fa testimonianza la storia ecclesiastica. A misura che diminuisce la fede, si rallenta la pietà, la grazia non trova più le medesime disposizioni, e l’eucaristico sacramento, sebbene sempre egualmente efficace, non produce più i medesimi effetti”.

La soluzione è dunque quella di ravvivare tale fede, con metodo teresiano don Bosco suggerisce di ricorrere anche all’immaginazione per stimolare il nostro giusto rapporto con la Divina Eucaristia.

“Eccitiamo in noi questa fede, e vedremo rinnovarsi fra noi i medesimi effetti, e se fia d’uopo, gli stessi prodigi. Perciò quando ci accostiamo a questo divin Sacramento, riflettiamo un momento che andiamo a ricevere quel medesimo Bambino Gesù che Maria stringeva al suo cuore, e sopra il cui volto divino stampava i più affettuosi baci; quel Gesù che era sì bello nell’aspetto, sì affabile e grazioso che si guadagnava il cuore di tutti; quel Gesù che di soli dodici anni fece stupire nel tempio i dottori della legge; quel medesimo Gesù che trattava così famigliarmente co’ suoi discepoli, che riempì la Giudea della fama de’ suoi miracoli; quel medesimo Gesù che, messo a morte dalla Sinagoga, risuscitò dal sepolcro glorioso e trionfante, e salì al Cielo, dove forma la delizia degli angeli e dei santi tutti; quel Gesù, per amor del quale tanti milioni di martiri soffersero i più atroci tormenti, pel quale tante castissime vergini in mezzo alle lusinghe del mondo serbarono illeso il loro verginal candore; quel Gesù che è pure oggidì la gioia di tutte le anime pie; quel Gesù che ci ama con amore sì grande che da mente umana immaginare non si può; quel Gesù in fine che ci attende pietoso onde coronarci di gloria e di onore nel suo regno. Con questi ed altri simili riflessi procuriamo, o cristiano, di eccitare in noi sentimenti di viva fede, ed allora le nostre comunioni opereranno in noi i più felici cangia menti”.

Conseguente alla scarsa fede è la tiepidezza, la mancanza di ardore interiore, l’insufficiente trasporto interiore che caratterizza le nostre comunioni.

“Secondo difetto è la tiepidezza colla quale noi ci accostiamo alla SS. Eucaristia. Questo è un sacramento di amore, nel quale noi riceviamo un Dio, che è qual fuoco che abbrucia quanto trova disposto a ricevere le sue fiamme. Egli vuole perciò trovare in noi un cuore che gli corrisponda onde versarvi dentro i ricchi tesori delle sue grazie. Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra un fuoco celeste, ed altro egli non desidera, se non di accenderlo nei nostri cuori; ma se noi colla nostra tiepidezza e languore impediamo la benefica azione di questo fuoco divino, non è a stupire se dalle nostre comunioni ricaviamo poco o nissun miglioramento. Disponiamo dunque l’anima nostra con un santo fervore, e noi proveremo ben tosto gli ardori di quel fuoco celeste”.

Da un punto di vista più pratico, un difetto abituale è quello di non fare adeguata preparazione. È molto interessante leggere cosa intenda il Santo dei giovani parlando di preparazione, quale impegno, quale tensione suggerisca. E ricordiamo che la propone non a un coro di monaci, bensì a semplici fedeli, giovani e adulti che siano.

“Terzo difetto è la mancanza di preparazione. Quando ci accostiamo a ricevere Gesù sacramentato, ci prepariamo noi convenientemente? Facciamo noi quanto possiamo per accostarvici più degnamente che ci sia possibile? Il giorno avanti la santa Comunione ci prepariamo noi con qualche riflessione, con qualche opportuna lettura? Allo svegliarci al mattino ci richiamiamo noi alla mente il pensiero, eccitiamo nel nostro cuore il desiderio di questa grande azione? Procuriamo noi eccitarci ad un vero pentimento dei nostri peccati? Li detestiamo noi con una sincera confessione? Abbiamo noi sollecitudine di raccogliere lo spirito, di eccitare il cuore, di risvegliare in noi buoni sentimenti? Ci proponiamo noi il fine per cui vogliamo fare la comunione, le grazie speciali che vogliamo domandare? Le anime fervorose vi si dispongono col digiunare il giorno avanti, altre col fare una visita a Gesù sacramentato, altre con atti di mortificazione e di penitenza interna od esterna, ed altre facendo a Dio qualche offerta particolare. In questo modo può un’anima prepararsi a a ricevere degnamente la grazia di questo augusto Sacramento, sorgente di ogni bene. Ma quando vi ci accostiamo quasi senza preparazione, come se dovessimo fare un’azione ordinaria; quando vi ci accostiamo quasi per usanza, per abitudine, senza riflettere alla grandezza, alla santità, all’importanza della cosa, qual frutto possiamo noi aspettarci dalle nostre comunioni? Facciamo d’ora innanzi quanto possiamo dal canto nostro, e poi siamo sicuri che Gesù non verrà a noi colle mani vuote, ma da Re generoso lascierà nel nostro cuore segni visibili della sua venuta”.

Il penultimo difetto presentato è la convivenza con i peccati veniali. A dire che la fruttuosità del sacramento è strettamente legata al sincero sforzo di vivere e agire con coscienza immacolata. Se i peccati mortali impediscono la Comunione, che altrimenti sarebbe sacrilegio e fonte di castighi, i peccati veniali ne smorzano l’effetto e il beneficio spirituale.

“Quarto difetto, che s’incontra nelle nostre comunioni, è la moltitudine dei peccati veniali volontari e deliberati, che tuttodì commettiamo. Dico volontari e deliberati, poichè se essi fossero pienamente involontari, e indeliberati, non ci sarebbero imputati, essendo allora piuttosto effetti della nostra miseria, che della nostra malizia. Ma se essi sono commessi a bella posta, e contro alla voce della coscienza, mettono grande ostacolo ai buoni effetti e ai frutti delle nostre comunioni, specialmente se essi son molti e sovente ripetuti. Tali peccati sono altrettante macchie dell’anima, altrettante piaghe del cuore, altrettante nuvole, che pongonsi tra Dio e noi, e c’impediscono i raggi benefici del Sole di giustizia. Essi insomma impediscono che la grazia del Sacramento produca in noi quei frutti preziosi, che riportano le anime pure ed immacolate. In qual modo un’anima così infedele al suo Dio, così indocile alla sua voce, un’anima che resiste così sovente alla grazia divina, un’anima da tante macchie oscurata, che non teme di far di quando in quando dispiacere a Gesù, potrà partecipare all’abbondanza dei doni celesti, riserbati alle anime fedeli e timorate? Ah! no, un tal favore ella non si aspetti. Queste grazie fossero ben anco più abbondanti, e più potente la virtù del Sacramento, (cosa al tutto impossibile) tuttavia ella non ne proverebbe alcun vantaggio; e dopo molte comunioni quest’anima sarebbe ancora agli occhi di Dio egualmente imperfetta e dispiacevole”.

Infine è importante anche controllare la propria condotta dopo aver fatto la Comunione e far sì che la vita quotidiana sia coerente col Mistero celebrato e ne rammenti e rinnovi spiritualmente il dono ricevuto.

“Quinto difetto da evitarsi è la poca diligenza per conservare il frutto delle nostre comunioni. Il giorno stesso che abbiamo avuto la bella sorte di ricevere nel nostro cuore il Divin Redentore, punto non ci conserviamo nella divozione e nel raccoglimento; ci dissipiamo, ci abbandoniamo alle distrazioni, e pressochè ci dimentichiamo del gran favore che abbiamo ricevuto, della grande azione che abbiamo compita. Questo giorno dovrebbe essere un giorno di santità, di preghiera, invece noi lo passiamo talvolta come gli altri, se pur non più malamente. E non è questo un mancar di rispetto a sì gran Sacramento? E non è questo un mancar di riconoscenza, di gratitudine a Cristo? Di fedeltà alle nostre promesse, di costanza alle nostre risoluzioni? E per conseguenza non è un perdere, se non intieramente, almeno in gran parte i frutti divini che la Comunione dovrebbe produrre, e produrrebbe immancabilmente nell’anima nostra, qualora avessimo guardato più gelosamente il sacro deposito che ricevemmo nel cuore? Ah! non così fanno le anime pie, che desiderano di rendere salutari le loro comunioni, e a Dio un tributo di riconoscenza e di gratitudine. Il giorno della comunione è da loro intieramente consacrato a Dio colla preghiera, col raccoglimento, colle opere buone”.

L’esempio positivo ci viene dunque dalle anime pie, che vivono le proprie giornate in profonda unità col Cristo presente sacramentalmente nelle loro anime.

“Se hanno da occuparsi nei propri doveri, elleno ciò fanno per amor di Dio, per ispirito di obbedienza e di penitenza. Esse procurano pure di fare qualche pia lettura, si occupano di qualche divoto pensiero. Elleno insomma passano questo giorno nella pratica della virtù, e con infuocate giaculatorie sollevano di quando in quando la mente e il cuore a quel Gesù, che è la loro speranza, il loro tesoro. Giorni passati in tal guisa, comunioni così fatte, mancar non possono di arrecar loro grandi consolazioni; saranno per esse giorni di grazia e di salute, giorni di meriti per l’eterna gloria. Oh! quali caste gioie non proveranno mai queste anime al punto di morte! Solite a far sempre sante comunioni riceveranno allora con trasporto di amore il celeste loro Sposo, e nei suoi dolcissimi amplessi scioglierannosi dalle catene di questo corpo per volarsene al regno della beatitudine”.

Sembra in questo di leggere il ritratto stesso di don Bosco, presentato da chi lo ha conosciuto al modo degli antichi patriarchi biblici e cioè “come se vedesse l’invisibile”. Occupato in molteplici attività, rapito da stuoli di giovani e fedeli, alle prese con scritti, questue, fondazioni e diplomazie pontificie, il nostro Santo non divenne mai un attivista, un uomo cioè incentrato sul fare, ma rimase un contemplativo nell’azione. Nelle righe cha abbiamo riletto fin qui c’è tutto il segreto di tale esistenza attivo-contemplativa, frutto di un attento e ricco sforzo di vivere sempre concentrato sul dono eucaristico ricevuto e mai distolto dalle incombenze della vita ordinaria.

7.continua

 

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