Meglio cattolici vaganti che cattolici vaghi

di Aurelio Porfiri

Un articolo su Duc in altum di Aldo Maria Valli (Un abbraccio a tutti gli amici. Ed ecco qui il testo che non ho letto) ha suscitato in me alcune riflessioni. L’articolo riporta il testo di una conferenza che l’autore non ha letto durante un convegno organizzato dall’editrice Fede & Cultura, preferendo parlare a braccio. Perché il testo mi ha incuriosito? Innanzitutto Aldo Maria Valli è un mio amico fraterno, con cui ho condiviso tre libri che a me sembrano importanti anche per comprendere la situazione della Chiesa: Sradicati (disponibile anche in inglese), Decadenza e Crepuscolo. Poi i temi di cui parla in quella conferenza toccano alcuni punti che a me stanno particolarmente a cuore: specialmente il modo di porsi in relazione alla situazione attuale della Chiesa.

Comprendo il profondo disagio che oramai non pochi sentono nell’osservare come la Chiesa sia sempre meno quel punto di riferimento per coloro che cercano una via al cielo e si sia ridotta praticamente a livello di una ONG. Prima che dell’ambiente o della sostenibilità vorrei sentirmi parlare di Dio. Specie in un’epoca così indifferente al fatto religioso cristiano, tornare ai fondamenti dell’apologetica sarebbe fondamentale, così come riportare i linguaggi della bellezza vera nelle nostre liturgie. Ci prende lo scoramento quando osserviamo la gerarchia cattolica ripetere i soliti slogan postconciliari che in non pochi casi tradiscono le indicazioni del Concilio stesso (ad esempio, per la musica sacra).

L’autore della conferenza dice che forse alcuni lo considereranno un cattolico vagante, visto l’inquietudine del suo percorso recente. Un cattolico che pur si ostina a rimanere nell’alveo della Chiesa e a non cercare soluzioni che sembrano, in definitiva, di comodo. Bene, dico io, meglio un cattolico vagante che un cattolico vago. Cosa voglio dire? Per cattolici vaghi intendo coloro che usano il cattolicesimo per ragioni di ambizione personali, e ce ne sono anche fra i colleghi (o ex colleghi) dell’amico Aldo Maria. Sono coloro che vedono il loro impegno religioso come una tappa necessaria per un avanzamento sociale e di prestigio, magari tacendo quello che hanno veramente nel cuore per non perdere il privilegio che si è acquisito. Il cattolico vagante è come una mina vagante, pronta a “esplodere” nella coscienza di coloro che hanno il coraggio di ascoltare, e non sono poi così pochi. Lui costringe a confrontarsi con questioni che in genere si preferisce ignorare per non rovinare la narrativa dominante che va conservata a tutti i costi.

Il cattolico vagante non vuole trasformare la Chiesa, come volevano i modernisti, ma vuole che essa ritorni in sé stessa, che torni alle cose essenziali e non si disperda in una liquefazione che prima o poi la porterà alla totale irrilevanza.

La sofferenza di coloro che si sentono non più a casa in quella che pure è la loro casa è difficile da spiegare e per alcuni (specie i cattolici vaghi) è difficile da comprendere. Eppure è un senso di smarrimento profondo, a volte è simile al panico di coloro che sono in un equilibrio precario.

Eppure forse quello che accade potrebbe essere visto anche in un senso positivo, perché a molti di noi ha permesso di riscoprire cose che altrimenti non avremmo mai considerato in profondità. Mi ricorda la storiella cinese che voglio riportare nella sua lunghezza (come l’ho trovata in visioneolistica.it) perché penso sia istruttiva.

C’era una volta, in un villaggio cinese, un vecchio contadino che viveva con suo figlio e un cavallo, che era la loro unica fonte di sostentamento.

Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza possibilità di lavorare la terra. I suoi vicini accorsero da lui per mostrargli la loro solidarietà dicendosi dispiaciuti per l’accaduto. Lui li ringraziò per la visita, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è un bene o un male per me? Chi lo sa!”

I vicini, perplessi dall’atteggiamento del vecchio contadino, andarono via.

Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, accompagnato da una grande mandria di cavalli.

Giunta la notizia agli abitanti del villaggio, questi tornarono a casa del contadino, congratulandosi con lui per la buona sorte.

“Prima avevi solo un cavallo e ora ne hai molti, è una grande ricchezza. Che fortuna!”, dissero.

“Grazie per la visita e per la vostra solidarietà – rispose lui – ma come fate a sapere che questo è un bene o un male per me?”

I vicini, ancora una volta rimasero sconcertati dalla risposta del vecchio contadino e se ne andarono via.

Qualche tempo dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei nuovi cavalli arrivati, cadde da cavallo rompendosi una gamba.

I vicini premurosi tornarono a far visita al contadino dimostrandosi molto dispiaciuti per la disgrazia.

L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti e nuovamente domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.”

Ancora una volta la frase del vecchio contadino lasciò tutti stupefatti e senza parole se ne andarono increduli.

Trascorsero alcuni mesi e il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Il governo inviò i propri emissari in tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio del contadino, che aveva la gamba rotta.
Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio del contadino invece guarì e i cavalli furono venduti procurando una buona rendita.

Il saggio contadino passò a visitare i suoi vicini per consolarli e aiutarli, come loro si erano mostrati solidali con lui in ogni situazione.

Ogni volta che qualcuno di loro si lamentava, il saggio contadino diceva: “Come sai se questo è un male?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli domandava: “Come sai se questo è un bene?”

Gli uomini di quel villaggio capirono allora l’insegnamento del saggio contadino che li esortava a non esaltarsi e a non lasciarsi abbattere dagli eventi, accogliendo sempre ciò che è.

Ecco: siamo chiamati a leggere gli eventi nella luce della nostra fede. Sappiamo che Dio può trarre il bene dal male e non possiamo che sperare che il nostro vagare finisca un giorno in quel Dio al quale sant’Agostino disse: “Inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”.

 

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