Così Gesù è lasciato solo. Anche da noi

di don Marco Begato

Settimana di solitudine è una raccolta di meditazioni composta da san Pietro d’Alcantara nel diciottesimo secolo.

Pietro d’Alcántara, al secolo Juan de Garavito y Vilela de Sanabria (1499 – 1562), fu un sacerdote spagnolo dell’ordine dei frati minori. Da una sua riforma introdotta nella famiglia francescana ebbe origine il ramo degli scalzi. Fu proclamato santo nel 1669 da papa Clemente IX.

Nella Settimana di solitudine le riflessioni sono distribuite dal lunedì alla domenica, sei per giorno. In ogni giornata troviamo tre meditazioni su temi spirituali da svolgere prima di pranzo e tre sulla Passione di Cristo da svolgere dopo pranzo. Ogni meditazione si compone di un testo riflessivo (Atto dell’intelletto) e di una preghiera-proposito correlata (Atto della volontà).

La solitudine cui fa riferimento il titolo è quella di Cristo nel suo grande passaggio dall’Orto degli ulivi fino all’Ascensione; ma è anche la solitudine del cristiano che accetta di farsi seguace e imitatore di Cristo, contemplando gli eventi culminanti della sua Redenzione.

Mi lascio ora guidare dalla prima verità del mercoledì dopo pranzo, I travagli di quella notte. L’Atto dell’intelletto mostra gli uomini che, “accecati dallo splendore di luce sì immensa, si rivoltano verso di Lui con eccessi d’ira”.

Mi tornano alla mente gli episodi in crescendo del ministero pubblico del Salvatore: dalla reazione dei parenti (“è fuori di sé”), a quella dei concittadini (“volevano buttarlo giù dal dirupo”), alla freddezza dei discepoli (“volete andarvene anche voi?”). Il tutto culmina appunto nei travagli di quella notte. Lì la luce del mondo splende come non mai e si rivela: “Vedrete il Figlio dell’Uomo alla destra del Padre”. Se ci pensiamo, è la risposta tanto attesa da ogni uomo, quando sospira: “Se solo Dio si mostrasse a me, io allora potrei cedergli, riconoscerlo e seguirlo”. Proprio in quella notte Dio si è rivelato, eppure l’esito è stato opposto alle aspirazioni del nostro povero spirito: Dio si manifesta nella Croce.

La confessione di Cristo si accompagna al furore degli uomini, specie delle autorità politiche, religiose e militari prima ancora che delle masse urbane. E in quella notte ecco il massimo grado della solitudine, Cristo abbandonato da tutti, dai peggiori accusato e schernito. Ma la solitudine massima di Cristo, è bene ripeterlo e sottolinearlo, si accompagna alla massima cecità, al furore, allo sfogo degli uomini. Un furore che di lì a poco si esprimerà in eventi tristi e fallimentari: la decisione di liberare dal carcere un terrorista (Barabba), il rovesciamento dell’impeto rivoluzionario in una scelta di disperazione suicida (Giuda), la fuga vile dei sacerdoti durante lo sconquassamento del tempio e i sogni infausti della donna del procuratore. Laddove Cristo è lasciato alla propria solitudine, è l’umanità stessa che sprofonda in una palude e in un vuoto senza appigli.

Negli ultimi anni è cresciuta in me l’impressione che Cristo sia lasciato nuovamente nella solitudine. La società promuove ogni tipo di aberrazione e ideologia, accusando e aggredendo qualsiasi voce critica e trovando un modello, un testimone, una speranza in chiunque eccetto che nel Cristo. Purtroppo questa analisi riguarda anche alcuni ambienti ecclesiali, nei quali Cristo è sempre meno al centro dei discorsi e tanto meno rientra nei criteri di valutazione del reale. E sì che Cristo per noi non dovrebbe mai essere inteso come un prestigiatore, un servetto, un pupazzo manipolabile a piacere (come sperava Erode, l’amico di Pilato). Non è un’idea che si possa strapazzare a proprio uso e consumo. Cristo è Colui che ci viene rivelato e tramandato attraverso le Scritture e la Tradizione della Chiesa. Per questo dico e ribadisco che in molti ambienti, a volte anche ecclesiali, Cristo è entrato nuovamente nella solitudine: o perché non lo si nomina, o perché sovente lo si invoca in dissonanza con la pienezza magisteriale delle Scritture e della Tradizione. Ben che vada lo si cita a pezzi, si scelgono gli aspetti da ricordare e quelli da celare, e tecnicamente questa è eresia (dal greco aireo, scegliere).

Quali saranno le conseguenze? La prima la ricorda lo stesso Pietro d’Alcantara: l’umanità piomba nella notte, immersa nel vortice di furori e ire. La solitudine di Cristo ci introduce nella nostra solitudine abissale, nei sogni infausti, nelle tendenze suicide, nei fallimenti di ogni progetto, nella sequela di falsi maestri e autentici farabutti.

Ma la solitudine di Cristo significa anche la nostra confusione nella fede. “Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio ce lo ha rivelato”: nella solitudine, quando non riconosciamo più la sacra regalità di Cristo, noi non perdiamo solo Lui, ma anche la possibilità di vedere il volto del Padre. Allora inizia il balletto degli uomini, anche di Chiesa, che si sforzano di dipingere il volto del Padre a modo loro. L’umanità piomba così nell’idolatria, la confusione travolge la verità, tutto sembra Dio ma nessuno può più dire con sicurezza che lo sia e dove sia.

L’unica soluzione è la conversione della propria vita personale, attraverso la quale si ristabilirà la comunione con Cristo e la luce tornerà a risplendere per gli uomini, l’ira cederà il passo alla pace dei cuori e Dio mostrerà nuovamente il suo vero volto: “Risolvo io pure con ogni fatica e con ogni dispiacere, con ogni mortificazione del mio corpo, di seguitarvi fino alla morte… Ah, quanto tempo ho perduto lontano da voi! Ma stabilisco di lasciare tutto quello che particolarmente più mi ingannò a farlo… Stabilisco di sprezzare le vanità del mondo, che possono rendermi qualche apparenza di stima appresso all’ignoranza degli uomini, o di piacere appresso a me stesso” (Atto della volontà, domenica dopo il pranzo, seconda verità).

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