Perché il Signore permette la coesistenza di grano e zizzania

di Rita Bettaglio

Et erit Domino regnum… e il regno sarà del Signore: così si conclude il libro – il più breve dell’Antico Testamento – del profeta Abdia, “profeta piccolo per il numero dei versetti, non delle idee”, come osservò san Girolamo.

Questa è la verità: del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti. Può sembrare il contrario e l’uomo (ognuno di noi) può credere che Dio non guardi, che non si curi, che il potere sia il nostro. Ma non è così.

È bene ricordare come stanno realmente le cose in questo mondo e nell’intero creato, per non farci confondere dalla canea che vediamo ovunque intorno a noi, anche nella Chiesa e nella nostra anima. I latrati dei cani ci confondono, ci turbano, ci spaventano, ma erit Domino regnum.

Mi sovvengono le parole di un uomo di Dio che ho udito solo pochi giorni fa. Il Vangelo era quello del grano e della zizzania.

Duemila anni fa come adesso molta zizzania soffocava il grano e ci domandiamo: perché? Perché, se Dio è onnipotente, permette questo? Perché lascia che la sua Sposa sia infangata, sfigurata e lacera? Perché ci lascia preda dei denti dei cattivi? Perché dentro e fuori di noi il bene e il male si mescolano continuamente?

Sínite utráque créscere usque ad messem: lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura. Il buon grano e la zizzania: insieme. Gesù comanda che siano lasciati crescere insieme. Egli pare non preoccuparsene. Tace come fece dinnanzi a Pilato, dorme come sulla barca nella tempesta.

In témpore messis dicam messóribus: collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáte in hórreum meum (Mt.13,30): al momento della mietitura dirò ai mietitori: cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio

Nel nostro sbigottimento, nella nostra paura, ci domandiamo: che ha in mente Dio? Qual è la sua strategia?

Due sono gli aspetti: quello della Chiesa e quello del cuore dell’uomo.

Vediamo che nella Chiesa da sempre le verità di fede e le eresie crescono insieme. Fu così fin dall’inizio, fin dall’epoca apostolica e dei Padri, continuamente impegnati a combattere l’errore che, come zizzania, cresceva nel prato della Santa Chiesa.

Ebbene, col senno di poi possiamo dire che il sorgere delle varie eresie servì a perfezionare la comprensione della verità. Le definizioni dogmatiche, lo stesso Credo, si resero necessarie per chiarire l’insegnamento di Nostro Signore, che è Via, Verità e Vita. Lo Spirito Santo illuminò gli Apostoli e i Padri ed essi portarono questa luce a tutti i credenti, attraverso la definizione dei dogmi.

Le eresie (anche oggi sono innumerevoli quelle che percorrono la Chiesa) si possono affrontare e correggere in due modi: con la confutazione e con l’esempio di vita cristiana. Sant’Agostino fu convertito dall’eresia manichea per mezzo della predicazione e dell’esegesi biblica di sant’Ambrogio.

Poi c’è l’esempio dei fedeli. Nel Vangelo di san Giovanni il Signore dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. Dai racconti dei martiri vediamo che molti persecutori pagani furono convertiti dall’esempio di coraggio e di fede incrollabile dei cristiani.

Ognuno di noi può rendere queste due testimonianze, nel luogo e nella condizione in cui Dio lo ha chiamato a vivere.

Ma la parabola s’applica anche al cuore umano, dove pure le virtù e i vizi crescono insieme. Nella stessa persona coesistono zone di luce e d’ombra, virtù e vizi.

Chi sta in piedi badi di non cadere, raccomanda san Paolo. Ben lo sappiamo e per questo la saggezza popolare ha coniato il detto: chi si loda s’imbroda.

La coesistenza dentro di noi di virtù e vizi, l’esperienza dei nostri peccati, la nostra povertà, può indurci a una maggiore compassione verso la debolezza degli altri. San Giovanni Cassiano spiega che la continua presenza dei nostri vizi può servire a tenerci nella via lecita, può obbligarci a stare nella via di mezzo tra i due estremi della carne e dello spirito. È infatti una continua tentazione quella di essere tutti carnali o tutti spirituali. La nostra debolezza, invece, mortificandoci, ci mantiene nell’umiltà, perché senza di Lui non possiamo far nulla.

Questa convivenza, difficile e dolorosa, del bene e del male nella Chiesa e nel cuore umano è permessa da Dio per la salvezza degli uomini e la conversione dei cattivi. Nella sua pazienza il Signore aspetta il nostro miglioramento ma verrà il giorno della mietitura, il giorno del giudizio, il giorno della nostra morte. In quel momento si faranno i conti: possa il giusto Giudice trovare più grano che zizzania nel nostro campo.

Perché, come dice il santo profeta Abdia, erit Domino regnum, il regno sarà di Dio. Il regno dell’universo e delle nostre anime. Non facciamoci ingannare.

 

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