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“L’esilio di Dio” e la scomparsa della metafisica

È disponibile l’ottavo fascicolo della rivista Visione. Il numero monografico (253 pagine, 15 euro) è intitolato L’esilio di Dio e propone numerosi contributi.

Per gentile concessione dell’editore, propongo qui il mio articolo.

Dio è mio e lo gestisco io

di Aldo Maria Valli

Tempo fa un sacerdote (cattolico) in occasione della messa domenicale (cattolica) tenne un’omelia (cattolica) durante la quale fece l’esaltazione della spiritualità.

Embè, che c’è di strano?

Niente. Se non fosse che quel sacerdote (cattolico), durante la messa domenicale (cattolica) tenne un’omelia (cattolica) per fare l’esaltazione della spiritualità… islamica.

Si era nel periodo in cui i musulmani festeggiano la fine del digiuno al termine del ramadan, e la comunità islamica cittadina invitò per una cena il sacerdote con altri rappresentanti della comunità cattolica. Di qui il ringraziamento pubblico rivolto dal prete agli islamici. Tutto bene, tutto bello, tutto molto corretto. Ma perché esaltare la spiritualità islamica, e proporla a esempio ai troppo tiepidi cattolici, quando tale spiritualità non ha, e non può avere, nulla in comune con quella cristiana?

Voi direte: ma dopo che il papa (il papa!) ha messo nero su bianco, in una dichiarazione sottoscritta con un imam, che Dio stesso ha voluto la diversità delle religioni (con il che ha mandato in soffitta, per non dire di peggio, circa duemila anni di evangelizzazione e attività missionaria), l’affermazione di quel sacerdote è semplicemente consequenziali. E io dico: avete ragione! Ma capite che se le cose stanno così, e in effetti stanno proprio così, la confusione attorno al termine “spiritualità” è massima. Ed è il risultato di molte altre confusioni che riguardano la religione ma forse, prima ancora, la ragione. Confusioni che l’attuale pontefice alimenta senza sosta ricavandone, a quanto pare, un godimento direttamente proporzionale allo sconcerto provocato in non pochi fedeli che ancora osano definirsi cattolici a pieno titolo e che egli, il pontefice tanto misericordioso, ama quindi etichettare come “indietristi”, ovvero gente legata a un passato che non c’è più e incapace di interpretare i segni dei tempi.

Intanto le statistiche ci dicono che un po’ ovunque, compreso ormai il Bel Paese, coloro che si definiscono cattolici sono sempre di meno, specie fra le nuove generazioni. E che sì, un dio da qualche parte esiste, ma non si sa di preciso chi egli sia, e di certo non gli possiamo appiccicare addosso un’etichetta perché sarebbe una pretesa vecchia e assurda.

“Dio è mio e lo gestisco io” potrebbe essere lo slogan della spiritualità contemporanea, un bel cocktail di aromi orientali, animismo, animalismo, residui new age, soggettivismo spinto, sentimentalismo, più tanti altri ismi che imperversano a ogni livello, specie in campo alimentare.

Dio non è morto. Tutt’altro. Ma è quanto mai proteiforme, eclettico, versatile. Niente più tavole di pietra con sopra scolpiti comandamenti e principi assoluti. Siamo nel regno della multiformità e della liquidità. Al punto che il papa di cui sopra ha detto e ridetto che a lui piace il poliedro, non la sfera. Il poliedro è bello e simpatico perché non si sa bene da che parte prenderlo. La sfera è vecchia e antipatica. E perché, povera sfera? Perché è perfetta, e oggi non è più tempo di perfezione, né di dogmi.

Che poi questi antidogmatici siano in realtà accaniti dogmatici è sotto gli occhi di tutti. Ma la contraddizione non turba più di tanto. Nel mondo liquido la contraddizione stessa è pane quotidiano, e il papa (scusate se parlo sempre di lui, ma è il mio mestiere) ha detto che lui non se la sente di parlare di verità assoluta, perché per il cristiano la verità è relazione.

All’interno del mondo cattolico lo slogan “Dio è mio e lo gestisco io” non lo troverete scritto da nessuna parta, ma ormai si è imposto nei fatti. L’importante è ascoltare, accompagnare, camminare. L’importante è fare sinodi, anche sulla sinodalità stessa, qualunque cosa significhi. Uomini e donne che ascoltano altri uomini e donne. Uomini e donne che accompagnano e camminano. Per arrivare dove? Non ha rilevanza. Ciò che conta è camminare. È innescare processi, come dice il solito papa. Il metodo è diventato il contenuto. E Dio può solo osservare. E non si azzardi a dire, e ancor meno a comandare: questo sì, questo no. Non provi neanche lontanamente a imporre un comportamento o una visione. Chi siamo noi per giudicare? Del resto, l’inferno, se c’è, è notoriamente vuoto.

Dai doveri dell’uomo nei confronti di Dio siamo velocemente passati ai doveri di Dio nei confronti dell’uomo. Ma la cosa non sembra turbare più di tanto.

Come dite? Che evidentemente il sottoscritto è un indietrista incallito? Ma certo che sì! E come potrei non esserlo? Sono un battezzato, un credente, un figlio di Santa Romana Chiesa. E come tale non posso essere nient’altro che indietrista, perché il mio punto di riferimento sta indietro di duemila anni.

Per tornare al papa, un tempo pensavo che fosse un relativista inconsapevole, forse solo un po’ superficiale. Ora invece, dopo il nuovo documento sull’ecologia e dopo che ha innescato il bislacco sinodo sulla sinodalità, penso abbia un piano preciso: distruggere tutto ciò che è cattolico e fondare una nuova (per modo di dire) religione, un umanitarismo d’accatto, alleato dei globalisti di turno e la cui unica ambizione sia quella di diventare cappellania (riconosciuta e riverita) degli organismi onusiani, del Wef e dei vari Schwab in circolazione.

Quando, per esempio, dialogando con Scalfari buonanima, sostenne che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male” e “noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”, il papa parlò come un relativista di puro conio. E che cos’è la sua dottrina del caso per caso (vedi Amoris laetitia) se non una teorizzazione del relativismo in campo morale?

Siamo sempre lì: “Dio è mio e lo gestisco io”. Mi spiace per il manipolo di cardinali dissenzienti, ma non ci sono dubia che tengano. Perché tipico dei relativisti è diventare assolutisti non appena qualcuno osa metterli in discussione.

La liquidità, ormai affermata urbi et orbi dalla cosiddetta “chiesa in uscita”, è figlia del soggettivismo imperante, secondo il quale non c’è un bene oggettivo, ma ciò che conta è il modo in cui una data esperienza, in un dato momento, è vissuta in coscienza dal soggetto, centro e fine di tutto. Massimizzare il “benessere” è la parola d’ordine. E se Dio, il vecchio Dio degli imperativi morali e della netta divisione tra bene e male, non riesce ad aggiornarsi e resta funzionale alla vecchia visione, peggio per lui: va tolto di mezzo. Niente di più semplice.

La liquidità antropologica è ormai anche liquidità teologica, penetrata a fondo nelle sacre stanze, nei seminari e negli atenei pontifici. I vuoti discorsi sulla sinodalità sono lì a dimostrarlo: aria fritta servita sempre e ovunque con totale sprezzo del ridicolo.

Cornelio Fabro, grande teologo e filosofo cattolico, diceva che siamo tutti malati di parole: non conosciamo più parole che siano solido criterio e fondamento di verità. Non conosciamo più parole uniche, perenni, immutabili. Una situazione che il sinodo sulla sinodalità ha portato allo scoperto in modo che potremmo definire drammatico se il tutto non avesse, più che altro, il sapore della farsa. Per Fabro, il dilagare di parole ambigue è il castigo che ci meritiamo per aver adorato il mondo. Ma anche Fabro era evidentemente un indietrista refrattario all’aggiornamento.

La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento. Così si intitola un libro di Chesterton. Il quale, scrivesse oggi, dovrebbe cambiare leggermente: “Dove tutte le verità si davano appuntamento”. Perché la grande esclusa è proprio la verità, parola non più pronunciabile e concetto non più spendibile.

E pensare che Benedetto XVI si batté proprio per rimettere l’idea di verità al centro del pensiero cattolico e riproporla al mondo. Ma abbiamo visto come venne trattato Ratzinger e com’è finito quel pontificato.

Al momento tanti pastori della (fu) Chiesa cattolica sembrano ossessionati dal problema di vedere se la religione ci consente di essere liberi. Non si accorgono che il vero problema è vedere se la libertà ci consente ancora di essere religiosi (sto parafrasando Chesterton, il quale mi perdonerà). Problema che non è solo loro, ma di tutti. Ammesso che ce ne importi ancora qualcosa.

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Aldo Maria Valli, giornalista, dopo essere stato per anni vaticanista Rai è titolare del blog Duc in altum. Tra i suoi libri più recenti, Il pastore e i lupi. Ricordando Benedetto XVI, Stato di emergenza. Il pandemonio pandemico e i nuovi totalitarismi, Come la Chiesa finì.

 

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