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“Aeterna lux”… E piazza San Pietro, con quell’aria da fine impero

di Rita Bettaglio

Conditor alme siderum, aeterna lux credentium, Christe, redemptor omnium, exaudi preces supplicum.

Finalmente, anche quest’anno, ai primi vespri della I domenica d’Avvento abbiamo cantato l’antichissimo inno, che risale al VII secolo.

La memoria corre alla gioventù: nella mia parrocchia l’organista lo suonava per tutto l’Avvento alla Messa feriale delle 18. Gli sono grata di avermelo insegnato.

Benigno creatore delle stelle, eterna luce dei credenti… esaudisci le preghiere dei supplici.

Come non avvertire subito le atmosfere della Notte Santa?

Risuona nel nostro animo l’introito della Messa di Mezzanotte:

Dum medium silentium tenerent omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus, Domine, de cælis a regalibus sedibus venit.

Mentre tutto era immerso nel silenzio, e la notte era giunta a metà del suo corso, l’onnipotente Tua parola, o Signore, risuonò dal celeste Tuo regale trono.

L’universo in attesa, col fiato sospeso, il manifestarsi di un mistero grande, il Dio bambino.

Giorni fa sono andata a Roma. Era un po’ che non ci mettevo piede. Ho girato un po’. Piazza del Popolo col selciato bagnato e luccicante, le chiese gemelle del Valadier: la bellezza della simmetria, l’ordine mirabile della fede cattolica, il brillio di tanti sampietrini dilavati nel mattino.

Poi piazza San Pietro: un senso di abbandono, un’aria pesante da fine impero. Turisti condannati ad assieparsi come formiche intorno alle glorie di un passato che parla di fede vera, robusta. Solo una fede ferma, virile, benedetta da Dio, può produrre la bellezza delle chiese romane.

San Clemente: i mosaici che sembrano parlare. I pavimenti che raccontano l’armonia geometria in un caleidoscopio di colori.

Un’enorme bellezza che si erge come un atto d’accusa alla tiepidezza dell’attuale cristianità e dei suoi pastori.

Cognóvit bos possessórem suum, et ásinus præsépe dómini sui: Israël autem me non cognóvit, et pópulus meus non intelléxit (Is 1, 3): il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende.

Il popolo di Dio, il Diletto del Signore, quello per cui Egli aveva piantato una vigna rigogliosa di ogni bene, è più stolto di un bue e di un asino. Essi riconoscono il padrone, la cristianità no e si è pervertita.

Il grido del povero si alza, sempre più flebile, ma il Signore degli eserciti lo ode: In auribus meis, sunt haec, dicit Dóminus exercitum (Is 5,9).

Quo vadis, Domine? Chiediamo in questa Roma fatua, popolata da bruttezza e sciatteria. Romam, Petre: torno a Roma, a farmi nuovamente crocifiggere, a soffrire per la durezza di cuore di quelli che amo di più. E ci sembra di stare sulla via Appia e vedere il Signore e San Pietro.

Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro (Is 5,20).

Il Signore li condanna alla sterilità, come alla sterilità si è condannata la moderna società

Decem enim jugera facient lagunculam una (Is 5, 10): due ettari e mezzo di vigna produrranno solo quaranta litri di vino… la quasi sterilità… la crescita negativa cui assistiamo oggi.

Perciò il mio popolo sarà deportato senza che neppure lo sospetti (Is 5, 13)

Sarà deportato senza saperlo. Oggi, trascinati da ogni vento di dottrina, senza averne contezza (speriamo per loro), i pastori si occupano d’altro.

Il popolo di Dio è disperso e fatto schiavo, asservito a mammona: nessuno lo mette più in guardia, nessuno lo sprona e gli indica la via del cielo.

Ma c’è, al fondo, suscitata da Dio, una resistenza, che combatte, fedele al Vangelo e col Rosario in mano, in una Novella Lepanto, segreta ed invisibile, nota a Dio solo.

Questa cristianità resiste e fa come sempre fecero i benedettini in ogni secolo ed in ogni congerie: scacciata da un luogo, dispersa da guerre e rivoluzioni, la fortissima stirpe dei cenobiti attecchiva ovunque con piccoli, anche piccolissimi, nuclei. Ed ovunque replicava il miracolo della lode di Dio, giorno e notte, di quel canto gregoriano che si elevava nel buio e nel silenzio e volteggiava fino a raggiungere il cielo.

Mentre tutto era immerso nel silenzio, e la notte era giunta a metà del suo corso, ci sono ancora cristiani che accolgono l’invito del Signore e, anche in questo Avvento, preparano la loro grotta per la nascita del Salvatore, nascosta e inaccessibile al mondo, come il Sacro Speco di Subiaco.

Aeterna lux credentium, Christe, redemptor omnium, exaudi preces supplicum.

 

Aldo Maria Valli:
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