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Don Bosco e la Confessione / 8

di don Marco Begato

Come favorire il pentimento sincero

Per indurre i giovani al pentimento sincero don Bosco, profondo conoscitore dell’anima giovanile, fa anzitutto leva sull’amore e la riconoscenza verso Dio, presentato nella sua infinita bontà e generosità; invece per scuotere i cuori più freddi e induriti, egli descrive i castighi del peccato e impressiona salutarmente le menti giovanili con la viva descrizione del giudizio divino e dell’Inferno.

Anche in questi casi, tuttavia, a don Bosco non basta spingere i ragazzi al dolore per il peccato commesso, ma cerca di portarli al bisogno di Dio, disposizione importante per anticipare loro il perdono divino ancora prima della confessione sacramentale:

Siccome, o cari  figli, potrebbe succedere che dobbiate passare da questa all’altra vita con una morte improvvisa, o per una qualche disgrazia, o per una malattia che non vi lasciasse tempo a chiamare un prete e ricevere i Santi Sacramenti, così vi esorto a fare sovente durante la vita, anche fuori della confessione, anzi tutti i giorni, atti di dolore perfetto dei peccati commessi e atti di perfetto amor di Dio, perché anche uno solo di tali atti, congiunto col desiderio di confessarsi, basta in ogni tempo  e  specialmente  negli estremi momenti a cancellare qualsiasi peccato e introdurvi in Paradiso (MB, IX, 177; VII, 194).

E gli mostrava quanto grande fosse il numero dei cristiani che in punto di morte non potevano ricevere i sacramenti; gli spiegava la natura del dolore perfetto, e dimostrava la facilità di ottenerlo, infatti dalla creazione di Adamo alla venuta del Salvatore tutti i peccatori, a milioni e milioni, si erano salvati con l’atto di contrizione perfetta.

Don Bosco dunque voleva dai giovani penitenti un dolore “con tutte le sue qualità” (MB, XIV, 383).

Nel 1885 raccomandava a don Cerruti: “Ricordati bene: quando predichi, soprattutto alla gioventù, insisti molto sulla necessità di fare buone confessioni e in specie sulla necessità della contrizione” (MB, XVII, 449).

Possiamo ora riassumere le qualità o doti del dolore per il peccato, secondo il pensiero del santo educatore.

Deve essere anzitutto dolore sincero e vivo, che impegni la volontà a un serio e radicale distacco dal peccato; dolore soprannaturale, cioè che vede nel peccato l’offesa di Dio; e infine deve essere dolore maggiore di qualsiasi altro in linea di principio, per la conoscenza chiara della intrinseca negatività del peccato e delle sue tragiche conseguenze.

Commento

Qui si coglie il motivo fondamentale, il perché della Confessione in quanto sacramento. Prima di chiedersi, come talvolta capita di sentire, a cosa serve la Confessione, converrebbe appunto chiedersi a cosa servono i sacramenti. Per noi oggi, presi da tante attività e interessati soprattutto alle cose utili e comode, i sacramenti possono essere visti per lo più come cose da fare, non stupisce allora se anno dopo anno tendiamo ad abbandonarli a sé stessi, lasciandoci convincere piuttosto dalle abitudini più concrete e dalle mode più facili di in una società poco religiosa come la nostra. Per don Bosco invece è lampante che prima di tutto gli uomini, e i giovani, devono sfruttare la loro vita per crescere nell’amore e nella riconoscenza verso Dio (con linguaggio più attuale il beato Giovanni Paolo II ci direbbe: “È Cristo che cercate, quando cercate la felicità”). Il sacramento allora si svela come la situazione concreta e oggettiva, segno efficace, in cui una persona, un ragazzo, può sperimentare e sigillare la sua esperienza di amore e riconoscenza verso Dio.

Evidentemente quando una persona non si trova in regola nei confronti di Dio, quando è in uno stato di peccato, la riconoscenza verso Dio deve passare attraverso un atteggiamento particolare, l’atteggiamento di umiliazione e di bisogno di Dio. Umiliazione per rinunciare al proprio peccato, bisogno di Dio per ritornare ad avvicinarsi al suo abbraccio che non trattiene controvoglia e non respinge chi Lo cerca.

Siccome poi gli effetti del peccato sono oggettivamente devastanti, e siccome non sempre predicare l’amore gratuito di Dio convince i peccatori a convertirsi, siccome infine a don Bosco dispiaceva l’idea che i suoi ragazzi birichini (eufemismo con cui indicava i più testardi appena strappati da qualche banda per le strade) si ostinassero nel peccato, ecco arrivare anche il richiamo all’Inferno e ai castighi. E questo, ancora una volta, non va letto come ricatto psicologico fasullo, ma come un dovere dell’educatore e del sacerdote che deve mettere i suoi ragazzi e i suoi penitenti davanti alla dura realtà: o con Dio o col demonio.

E, se è vero che Dio è sempre pronto a perdonare, non è meno vero che Dio può perdonare solo chi è sinceramente pentito, non chi dice di esserlo solo a parole. Che poi il pentimento nasca per amore o per timore non è proprio lo stesso, ma intanto assicura il Paradiso che è sempre meglio dell’Inferno.

Riassumendo, il pentimento sia sincero e casomai certificato dalle lacrime, o comunque dal profondo dispiacere interiore. Sia soprannaturale, non un senso di colpa ma la consapevolezza di essersi staccati da Dio (e di essersi rivolti alle seduzioni del demonio). E sia maggiore di ogni altro dolore, perché riguarda le realtà più importanti di noi stessi.

8.continua

 

Aldo Maria Valli:
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