Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Note sull’estetica di tre pontificati

Ricevo e vi propongo questa riflessione sull’estetica degli ultimi tre papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Concentrarsi sull’elemento estetico, al di là dei contenuti teologici, dottrinali e pastorali, può sembrare un modo riduttivo di affrontare un pontificato. Ma dobbiamo considerare l’importanza dell’immagine nell’attuale società della comunicazione. Non tutti leggono i testi prodotti da un papa e non tutti ne conoscono in modo approfondito la linea. Tutti però vedono il papa sullo schermo e quindi molto spesso è la sua immagine quella che “parla”.

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di Emanuele Pavoni

Caro Valli,

il recente anniversario della morte di papa Ratzinger mi ha spinto a sfogliare nuovamente i suoi libri e a riguardare le sue foto. Ciò mi ha ispirato l’idea di fare un confronto sull’estetica degli ultimi tre papi, quindi a prescindere da qualsiasi giudizio di merito riguardo ai loro pontificati. Solo un’analisi estetica.

Cominciamo. Giovanni Paolo II era semplicemente meraviglioso: certo, di suo era un uomo molto bello e dalla figura maestosa, ma ciò che colpiva il popolo dei fedeli era la sua solidità di pastore e di guida, la sua grinta (con una voce stentorea e forte), il suo non vacillare mai davanti a niente e a nessuno (i suoi anatemi contro i mafiosi ad Agrigento fanno ancora venire i brividi lungo la schiena, come toccano l’anima le sue vigorose e sincere esortazioni come il famoso discorso dell’ “Aprite le porte a Cristo!”), e la sua funzione di pietra angolare della Chiesa, salda garanzia di cosa fosse la nostra fede; come allo stesso tempo scaldava il cuore la sua prorompente e commovente umanità (il suo sguardo era di un’amorevolezza sconvolgente). In poche parole, era un leader nel senso più alto del termine; nessuno come lui riusciva a dialogare così proficuamente con le folle e a trasmettere sicurezza e fiducia: era una cosa così immediata, istintiva, in cui il carisma e la santità si mostravano come le due facce della stessa medaglia, e davanti a lui veniva da inginocchiarsi e dire “Tu es Petrus”.

Benedetto XVI, dal canto suo, ha rappresentato qualcosa di diverso: la sua personalità timida e delicata, sempre rispettosa di qualunque interlocutore, e il suo tratto gentile (con la voce così garbata e lenta) erano di una dolcezza infinita, quasi che si sentisse imbarazzato a doversi rivolgere a così tante persone. Questa nobiltà d’animo si rifletteva nei suoi movimenti e nei suoi gesti, sempre leggeri e silenziosi, nella sobrietà e nel candore del suo modo di vestire, che in tanta semplicità e trasparenza appariva di una calma soave ed elegante (le sue scarpe rosse erano la cifra di questo stile così pulito eppure raffinato, che purtroppo suscitava le ironie di tanti squallidi idioti). La sua dimensione intellettuale di grandissimo teologo era poi talmente vistosa da dominare completamente la sua immagine e la sua mentalità, tanto da incardinare ogni suo gesto e ogni sua parola in questa direzione: nel senso che se Giovanni Paolo II era la pietra angolare della Chiesa e il “generale” carismatico del popolo cristiano, Benedetto XVI è stato la coscienza della nostra fede, avendo sempre e solo voluto dare la testimonianza intellettuale di quanto essa fosse valida, senza mai volerla imporre con la forza bruta, sempre con delicatezza e rispetto, in un confronto di idee con il mondo laico e moderno che era comunque serrato e senza sconti. Ma questa gentilezza e questa intelligenza, nei modi e nei pensieri, non potevano piacere alle masse, e infatti Benedetto XVI non è stato amato dai più.

Infine, ecco Francesco. Con lui c’è una rivoluzione estetica che è sconcertante, soprattutto considerando il fatto che da cardinale ne aveva una normalissima da porporato qualunque (il che fa pensare che il cambiamento adottato da papa sia stato studiato a tavolino): la sua figura da pontefice appare perennemente goffa e scomposta (ben diversa dalla goffaggine di Giovanni XXIII, che invece era calda e gioviale, spontanea e rasserenante), gesti e movimenti disarticolati, un eloquio troppo spesso dozzinale, banale, sopra le righe, inopportuno (come quando disse “a chi offende la mia mamma tiro un pugno”), perfino confuso a livello dottrinale. Il suo modo di vestire è desolante: scarpe infime e sfondate (gli affronti alla povertà sono ben altri, non certo se il papa si compra delle calzature nuove), il crocifisso che porta sul petto non più di sfolgorante materiale prezioso, ma di freddo e grigio ferro, lo zucchetto spesso storto in testa. L’idea che la sua immagine emana non è certo degna di nota, anzi. Sa di disimpegno e di artificiale, di finto e di arido. Immagine, in definitiva, ben diversa da quella dei predecessori, che ancora prima di aprire bocca confermavano nella fede (compito principale di un papa).

 

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