Cronache dalla colonia Italia

di Michela Di Mieri

Caro Valli,

vorrei segnalare alcuni episodi di cronaca di questi ultimi giorni, riguardanti il conflitto che vede contrapposti il blocco occidentale e la Federazione russa, altamente significativi dello stato di subalternità nel quale il nostro Paese, e quindi noi tutti, come suoi cittadini, siamo costretti. Subalternità che ci conduce a una collusione criminale con un disegno egemonico dal quale, ancora una volta, mi dissocio pubblicamente e per il quale continuo a pregare l’Onnipotente che abbia misericordia di noi.

Partiamo dalla cronaca delle vicende di un paio di appuntamenti che si sarebbero dovuti tenere nella seconda metà di gennaio in due città della mia Emilia.

A Modena, il 20 gennaio era prevista, presso una Sala civica, un mostra-conferenza, organizzata dall’associazione culturale “Russia-Emilia Romagna”; protagonista assoluta della mostra fotografica è la città simbolo di Mariupol e della sua veloce ricostruzione. Come ci informa l’Associazione organizzatrice, l’evento ha come obiettivo “presentare al pubblico modenese i risultati della nuova amministrazione cittadina, dopo la liberazione definitiva nella primavera del 2022, con la resa del battaglione Azov, asserragliato nell’acciaieria Azovstal”. A latere, si prevedevano numerosi e autorevoli interventi, dal console generale russo Dmitry Shtodin, al rappresentante italiano del Movimento internazionale dei russofili (MIR), Eliseo Bertrolasi.
Spostiamoci, adesso, di una trentina di chilometri più a oriente, e arriviamo a Bologna, in una “Casa di quartiere”, ovvero una struttura di proprietà comunale data in gestione tramite convenzioni pubbliche ad associazioni aventi come scopo la promozione di eventi culturali o di promozione sociale. Qui era in programma, per il sabato successivo alla mostra all’ombra della Ghirlandina, la proiezione di un film drammatico dal titolo, tradotto dal russo, “Il testimone”, per la regia del georgiano David Dadunashvili. La pellicola, che ha goduto di finanziamenti del ministero della Cultura, ha visto la luce lo scorso agosto in Russia. Racconta la storia di un violinista belga, Daniel Cohen, che si trova in Ucraina per un concerto proprio all’inizio delle ostilità, nel febbraio del 2022 e che restituisce, attraverso ciò a cui i suoi occhi assistono, un’immagine dei soldati ucraini non in linea con quella nobile ed eroica che i media occidentali hanno tentato di costruire.

L’eco di queste iniziative è giunto fino in Ucraina, dove, evidentemente, hanno destato una certa preoccupazione, se il ministro degli Esteri Oleh Nikolenko si è preso la briga di scrivere in una nota, in merito a quelle che lui definisce “provocazioni della propaganda russa”: “A livello ufficiale, l’Italia sostiene fortemente la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. E ci aspettiamo che questo evento propagandistico provochi una reazione adeguata”. Indi, per essere sicuro che nel Belpaese si capisse bene cosa il governo ucraino si aspetta, ha affidato una formale protesta all’ambasciatore in Italia, Yaroslav Melnik. Ed ecco che il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, in quota Pd, si trova immantinente a dover scegliere tra l’indipendenza di un paese sovrano, il rispetto per la libertà di espressione, nonché per la dignità intellettuale dei suoi amministrati e l’obbedienza agli ordini del padrone del castello. “Speriamo nella Sua comprensione e chiediamo di annullare il concesso della sala civica all’evento e a facilitare l’annullamento della conferenza. Riteniamo che il Comune debba fare tutto il possibile per proteggere i residenti della città da manipolazioni informative, poiché è inaccettabile che diventi bersaglio della cinica propaganda russa”.

Dopo qualche balbettio, il sindaco obbedisce e, in un amen, sala revocata e mostra saltata.

E Bologna? Qui il primo cittadino, campione del progressismo internazionale, l’intrepido Matteo Lepore (assurto agli onori delle cronache per la famigerata Città 30), non poteva certo essere da meno del suo collega al di là del Panaro; così, senza neppure aspettare la reprimenda ucraina, ha prontamente convocato a rapporto il Coordinamento della Casa di quartiere, per aver osato propinare ai bolognesi la proiezione del pericolosissimo film filo putiniano. Epilogo: evento annullato. Il portavoce del Coordinamento si premura di stornare le ovvie accuse di aver ceduto alla censura, assicurando che la decisione è stata presa solo per ragioni di mera capienza: prevedendo un flusso di spettatori copioso e trattandosi di centro civico e non di una multisala, si è ritenuto di rimandare la proiezione della pellicola nemica a data e luogo più idoneo da destinarsi. Motivazione innegabilmente vera, ma sono malfidente se credo che la a breve rinnovanda convenzione con il Comune abbia influito sulla decisione del Coordinamento?

Dunque, il console ucraino, complici i nostri solerti amministratori locali, ha ottenuto quanto voleva. Se non su quello in armi del Don, almeno sull’italico fronte interno la vittoria è stata completa: nessuna trinariciuta propaganda russa si papperà il labile cervellino dei cittadini emiliani. Perché, anche se la guerra è una sporca faccenda, noi sappiamo dove sta il bene, dove sono schierati i giusti e gli eroi della Storia ed è un dovere sostenerli, anche a costo di chiudere un occhio e mezzo sui sacri principi della Costituzione cosiddetta più bella del mondo.
Adesso facciamo un salto molto più ad oriente della nostra Emilia, e portiamoci idealmente nella terra di confine slava.

È la mattina del 21 gennaio. A Kirowsky, distretto periferico, popolare e popoloso di Donestsk, c’è il mercato, uno dei più grandi della città. Lungo le strade innevate, tra i banchetti improvvisati fatti da cassette della frutta, si muove un’umanità semplice, quella che generalmente è intenta a sbarcare il lunario e a portare a casa pelle e salute. All’improvviso, tra un chilo di arance e un tappeto per la cucina, dal cielo viene giù una pioggia di bombe. È sufficiente che un solo colpo arrivi a segno e la zona si trasforma all’istante in un incubo di cadaveri scomposti, carne a brandelli, sangue che subito si congela nel nitore della neve, tra i generi alimentari, i piccoli oggetti di uso quotidiano scagliati alla rinfusa sul selciato e le automobili infuocate. Il bilancio parla di almeno ventisette morti e decine di feriti, alcuni in modo grave, tra cui anche bambini. Poi, il solito, oramai consueto macabro rito del dopo: il pianto di chi riconosce un proprio caro in quel corpo dilaniato, la spalla offerta su cui soffocare le grida e la disperazione, e, su tutto, la subitanea necessità, quasi catartica, di ripulire le strade e di riparare i vetri dei negozi e delle case: perché le temperature sono sotto lo zero di parecchi gradi, ma specialmente perché l’abitudine, fosse anche all’orrore più indicibile, è una delle forze più potenti al mondo. E l’assuefazione è tanta che, in mezzo a quest’ordalia di sangue, “una nonnina proseguiva a vendere asciugamani e cuscini, sperando di guadagnare qualche rublo a pochi passi dai corpi senza vita di alcuni anziani che, proprio come lei, questa mattina sono usciti di casa con l’intenzione di arrotondare la pensione” (fonte: Vittorio Nicola Rangeloni, giornalista free lance presente in Donbass da dieci anni). Questa è la vita quotidiana dei topi umani del Donbass. E non è stato un missile, magari intercettato dalla contraerea, a causare questa tragedia, ma bombardamenti dell’artiglieria ucraina mirati, precisi, voluti, in una zona in cui si trovano solo case, negozi, scuole, ospedali e mercati; nessuna caserma, sede istituzionale, deposito di armi, centri logistici. E i frammenti rinvenuti sul luogo dell’eccidio sono compatibili con i colpi da 155 mm forniti a Kiev dalla Nato. Quindi anche nostri.
Va bene che siamo nel mondo in cui la realtà non conta più nulla, per cui vale tutto ed il suo contrario, con buona pace della logica; per cui una donna che si sente uomo può, a spese dei contribuenti, cambiare sesso e, mentre si fa crescere la barba a forza di ingozzare testosterone, seguita ad avere rapporti sessuali secondo il costume di una femmina mammifera tradizionale e scopre di essere incinto di un povero esserino innocente, solamente perché si sta facendo asportare l’utero; va bene che siamo la colonia Italia e dobbiamo essere adusi ad obbedir tacendo. Ma, almeno, facciamo salva la dignità dei fatti, smettiamo di raccontare la favola dei buoni e dei cattivi, del mondo libero e del dittatore invasato. Dovremmo saperlo che, prima o dopo, per quanto cacciata sotto al tappeto, la realtà ci colpisce dritti in faccia. E più l’abbiamo ingannata, più il suo colpo ci farà male.

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