Lettera / Il “Corriere” e il funerale “queer” a New York

di Vincenzo Rizza

Caro Valli,

il modo in cui è stata riportata dal Corriere dalla sera la notizia del “funerale queer” celebrato nella cattedrale di San Patrizio a New York, già commentato [qui] da Duc in altum, è emblematico di come si sia ormai perso ogni senso della misura.

Già il titolo è significativo: “New York, il funerale dell’icona Lgbt nella chiesa di San Patrizio: insorgono i tradizionalisti”.

Dunque, la celebrazione di una funzione oggettivamente blasfema non farebbe insorgere ogni buon cattolico (e per la verità ogni persona che ancora abbia a cuore il vivere civile, cattolico o non) ma solo i “tradizionalisti”.

Ancora più disarmante, tuttavia, è il testo dell’articolo.

In premessa si precisa che un discreto numero di chiese dell’arcidiocesi di New York “è Lgbt friendly, più flessibili cioè in materia di diritti rispetto alle posizioni del dicastero vaticano per la dottrina della fede”(e ce ne vuole, considerate le recenti sconsiderate aperture promosse dal neo prefetto del dicastero) ma che (purtroppo?) la cattedrale di San Patrizio “non appartiene al numero di quelle chiese più progressiste; è per questo che il funerale di un’attivista per i diritti delle persone trans, delle prostitute e degli immigrati ha provocato inevitabili polemiche”.

Si riportano, quindi le reazioni della diocesi e del parroco che definiscono “sacrilego” e “scandaloso” ciò che è successo, tanto da meritare una messa di riparazione.

A questo punto il giornalista si chiede, quasi stupito: “Qual è lo scandalo, esattamente, che ha suscitato una reazione così decisa e la scelta di una messa di riparazione per sanare l’oltraggio alla fede?”.

Il problema non consisterebbe nel fatto che il defunto fosse ateo ma che “era inevitabile, anche al di là dell’abbigliamento fantasioso (minigonne, calze a rete, top colorati) di alcuni (la chiesa era obiettivamente piena, più di mille persone, come ha notato con piacere anche il prete), che disturbassero i cattolici più tradizionalisti cartelli come Santa Cecilia, la madre de todos las putas, cioè Santa Cecilia madre di tutte le puttane e le danze nella navata centrale e la tradizionale foto della defunta ai piedi dell’altare con un’aureola sopra la testa e le parole travestito, puttana, beata e madre sopra il testo del Salmo XXV. Salmo peraltro liberamente consultabile da tutti, cattolici e laici, Lgbt e etero, su carta o digitalmente: Non ricordare i peccati della mia giovinezza: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore”.

Ne consegue che, seguendo il ragionamento sotteso all’articolo, sarebbero solo i cattolici più tradizionalisti (ovvero quei bigottoni e ipocriti che ancora si ostinano a credere nelle Scritture, naturalmente senza neppure capirle) gli unici a indignarsi del fatto che una funzione religiosa possa essere liberamente scambiata per una sfilata del gay pride, per un circo equestre in cui tutto è lecito, anche oltraggiare una religione e l’anima dello stesso defunto (che spero, almeno lui, possa essersi comunque convertito in punto di morte). Ne consegue, altresì, che tutti gli altri cattolici (innanzitutto quelli che frequentano le “chiese più progressiste” dell’arcidiocesi di New York?) dovrebbero invece applaudire allo spettacolo offerto dall’allegra compagnia teatrale che ha messo in scena il patetico e blasfemo siparietto.

In realtà quest’episodio ci insegna come molte associazioni che in nome della diversità e dell’inclusività invocano a gran voce rispetto, non sono disposte a rispettare gli altri. Si realizza così il paradosso della tolleranza, enunciato da Popper, per cui una società caratterizzata da tolleranza indiscriminata prima o poi sarà dominata dai gruppi intolleranti presenti al suo interno.

E a proposito di rispetto, non sarebbe male che quello che un tempo era considerato il più autorevole quotidiano italiano portasse più rispetto nei confronti dei lettori e soprattutto dei cattolici, tradizionalisti e non.

 

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