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Il cattolico disorientato e il cammino dell’anima

di don Marco Begato

A Carpi una chiesa ospita una mostra d’arte contemporanea, che scandalizza i fedeli per la sua blasfemia. A Bologna si programma la conferenza di un sacerdote che difende la non peccaminosità delle unioni irregolari. A Bergamo i fedeli sono ufficialmente invitati a unirsi in preghiera per il ramadan. A Milano si promuove un convegno di dialogo e incontro con la massoneria.

Leggendo queste notizie, nel cuore della quaresima, si avverte quanto la Chiesa italiana stia camminando alla periferia di se stessa, preda di una superficialità mondana e vittima di un modernismo culturale che lasciano interdetti, cioè senza parole.

La reazione che istintivamente sale, e che purtroppo vedo in molti fedeli, in sé giustificata eppur spiritualmente nociva, è quella di una rabbia impotente, nutrita dal senso di uno scherno e di un tradimento subito.

L’immagine che torna alla mente, alla luce di tutto ciò, è quella che scandisce le prime pagine del Castello interiore, capolavoro di santa Teresa d’Avila, voce dell’autentica riforma ecclesiale in un tempo di lacerazioni e sbandamenti, quello della rivoluzione luterana e della corruzione pre-tridentina:

Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l’abiti, né quali appartamenti contenga (I,5).

Davanti a tutto questo, quali soluzioni proporre?

Una strada che sto percorrendo, in sintonia con gli esempi di Teresa la Grande, è quella del lavoro personale interiore: curare meglio il cammino della mia anima, irrobustire la preghiera, allargare gli spazi della carità, esercitare un maggior controllo sugli appetiti e sui pensieri. La riforma di se stessi mi pare in ogni caso un punto imprescindibile da cui ripartire.

In concreto, uno strumento che mi ha aiutato di recente e che vorrei suggerire è il piccolo libro Nella tenda del convegno, che raccoglie le meditazioni tenute da don Marco Panero in occasione di alcuni esercizi spirituali.

Il libro, edito da Áncora nel 2023, offre una catechesi semplice ma completa proprio riguardo la custodia della propria vita interiore. L’autore prende in prestito le immagini della Tenda del convegno descritta nei libri dell’Antico Testamento.

I contenuti, inizialmente pensati per sacerdoti e religiosi, sono ricostruiti in maniera da risultare utili per ogni fedele. L’idea di partenza è semplice: “Questa tenda, che ospitava l’arca dell’alleanza in cui Dio dava appuntamento a Mosè, è figura della nostra anima abitata dal Signore” (pp. 13-14). E questo perché “nella nostra anima non siamo soli con noi stessi; l’anima in grazia, che vive nella carità, è abitata dall’interno, in-abitata dalle Persone divine che vi dimorano” (p.15). Ecco il punto di appoggio di tutte le riflessioni: un invito a tornare alla base di se stessi, custodendo anzitutto quel tesoro che dimora nel nostro intimo. Echeggiano le considerazioni pascaliane: “Tutta l’infelicità degli uomini viene da una sola cosa, non sapersene stare in pace in una camera” (p.21, cfr. Pensieri n. 136). E con ciò tali meditazioni intercettano quello che reputo il problema principale, richiamare cioè gli uomini al primo dovere: fare verità con se stessi e in se stessi per poi potersi dedicare in modo adeguato ai compiti che la storia e la società ci presentano.

Lo sviluppo del tema procede attraverso alcune considerazioni raffinate, per esempio con riferimenti al fatto che l’anima, come la tenda, “non è trasparente a se stessa” e neppure agli altri (pp.30-31). Si riscopre così una via per vivere la solitudine e l’intimità, che risultano fonti di irrobustimento e di accrescimento della persona. Poi si procede verso la raccomandazione di fare della propria vita un sacrificio di offerta, argomento che merita di essere rispolverato, e che rappresenta il compimento e il segreto dell’esistenza cristiana a partire dal modello di Cristo crocifisso, anticipato nel comando di offrire l’olocausto appunto nel recinto della tenda del convegno.

Passando attraverso i grandi temi della preghiera, del pentimento e dell’adorazione, Panero ogni volta mostra e insegna in che modo sfruttare e comprendere tali esperienze sempreverdi della tradizione cristiana, al fine di restaurare il proprio cuore e divenire solidi e capaci di affrontare il momento presente.

Reputo particolarmente ricca l’esortazione a custodire una continua indole formativa e auto-formativa, accettando il compito di lasciarsi costantemente formare e riformare lungo lo scorrere della propria esistenza.

Infine le meditazioni culminano nella doppia indicazione: di riscoprire la propria appartenenza ecclesiale e di guardare al proprio destino ultraterreno. E così, sempre attraverso un narrato semplice e piacevole, vengono toccati tutti i grandi temi dell’antropologia, in sintonia con l’esperienza della nostra fede, e in sottile controcanto rispetto alle derive che i filosofi e gli intellettuali moderni hanno imboccato negli ultimi secoli.

Tutte queste tematiche, di per sé valide e arricchenti, trovano ulteriore smalto nell’approccio tipico di don Panero, che con tatto e finezza e sempre distante da qualsiasi polemica o rancore, riesce a focalizzarsi sui valori e i compiti spirituali sempre attuali, senza cedere né a mode pastorali umanamente aride, né a pose reazionarie spiritualmente estenuanti, bensì accompagna il lettore che, abbeverandosi alle sorgenti del cammino dell’anima, potrà ipso facto trovarsi personalmente rinfrancato, pronto a testimoniare al mondo la qualità del proprio respiro spirituale e sufficientemente avvertito per evitare gli abbacinamenti delle vacue novità che imperversano attorno a noi.

Aldo Maria Valli:
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