In margine alla fine di “Church Militant”

di Aurelio Porfiri

La piattaforma cattolica americana Church Militant ha cessato le pubblicazioni. Gli abbonati hanno ricevuto una mail in cui si spiega: “Dopo più di diciassette anni di insegnamento della Fede, è con il cuore pesante che dobbiamo annunciare la chiusura del nostro sito web. Le sfide poste da scandali e ostacoli insormontabili ci hanno reso sempre più difficile continuare la nostra missione”. Da quel che è dato sapere, il motivo è collegato all’aver perso una onerosa causa per diffamazione nei confronti di un sacerdote.

La notizia si aggiunge a quella riguardante le dimissioni del fondatore di Church Militant, Michael Voris, motivate da ragioni di ordine morale. Lo stesso Voris ha confessato in un video di aver commesso “horrible ugly things”, “enormi cose orribili”, e sembra che alcuni dipendenti della piattaforma abbiano riferito di aver ricevuto da Voris sue foto in pose sconvenienti.

In un video di qualche anno fa Voris stesso aveva rivelato i suoi trascorsi omosessuali, affermando di aver però abbandonato quello stile di vita dopo la conversione.

Church Militant ha sicuramente fatto del bene a molte persone, ma sulla sua linea editoriale c’è qualcosa da osservare. I toni tranchant, da bianco o nero, specie nella denuncia della lobby gay nella Chiesa, risultavano spesso esagerati, e il maggiore fustigatore era proprio Voris. Certamente dobbiamo pregare per lui e sperare che possa presto vincere le sue battaglie interiori, ma la vicenda di cui è stato protagonista è di avvertimento per tutti coloro che nei social cattolici si ergono a savonarola senza guardare dentro la propria anima.

Tutto ciò significa che non si possono denunciare i comportamenti sbagliati? Certo che no. Il peccato va denunciato, ma non cercando il sensazionalismo a ogni costo e sempre con rispetto per le persone che cadono preda di comportamenti erronei. Fermezza nei principi e misericordia per coloro che cadono. Questa dovrebbe essere la regola.

Il fallimento di Church Militant non deve far gioire chi è stato denunciato dal sito per comportamenti orribili. Church Militant non farà più i loro nomi, ma Dio li conosce bene e, se non ci sarà pentimento, manderà la giusta punizione. Resta il fatto che i social cattolici nel loro apostolato non devono privilegiare il marketing e flirtare con il complottismo.

Il giornalismo ha le sue leggi, ma bisogna stare bene attenti a non dare l’immagine dei cavalieri senza macchia e senza paura se non si è assolutamente sicuri di non avere zone oscure. E dal momento che tutti abbiamo zone oscure, si cerchi di fare le giuste denunce ma senza voler cavalcare il peccato per scopi commerciali.

L’altro volto storico di Church Militant, Christine Niles, si era già dimessa mesi fa denunciando anche lei comportamenti non professionali da parte di Michael Voris. Insomma, il problema era ben chiaro a molte persone, ma purtroppo non ha evitato il collasso della piattaforma.

A questo punto, anche tra coloro che non apprezzavano lo stile di Church Militant, bisogna evitare di fare un altro errore: quello di ergersi a giudici di fratelli in difficoltà. La dottrina cattolica è ben chiara, e chi ha sbagliato sa bene di aver sbagliato. Church Militant è composto da tante buone persone che hanno cercato di svolgere un servizio sincero e disinteressato per la Chiesa.

L’intera vicenda è un monito per chi lavora nel mondo dell’informazione cattolica, perché si renda conto che il fine ultimo è il bene delle anime, non l’eccitamento dell’audience.

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