Ama il prossimo tuo… Ma qual è oggi il prossimo mio?

di Fabio Battiston

Ama il prossimo tuo come te stesso. Per ogni cattolico questo comandamento, questa esortazione rappresentano, dopo la confessione di fede nel Dio trinitario, l’elemento di più universale rilevanza dell’essere cristiano in generale e cattolico in particolare. La sua applicazione, o meglio, la sua convinta interiorizzazione in ciascuno di noi, costituisce una delle prove più difficili che dobbiamo quotidianamente superare. Forse soltanto una sua ben nota declinazione, “l’amare il proprio nemico”, costituisce una barriera ancora più ostica sulla strada che conduce alla Salvezza.

In questo mio contributo vorrei sottoporre agli amici di Duc in altum, specialmente ai sacerdoti che seguono numerosi il nostro blog, alcune domande che mi assillano e alle quali ho dato, per il momento, una risposta che espliciterò più avanti: qual è, in questo inizio di ventunesimo secolo, il nostro prossimo? E ancora: dobbiamo rappresentarlo in un solo modo, oppure ci troviamo di fronte a vari “prossimi” assai diversi tra loro? E se così fosse, come dovremmo declinare il comandamento che Dio ci ha dato?

A prima vista questi interrogativi, per un cattolico, non dovrebbero nemmeno sussistere. Nel Vangelo (Lc 10, 25-37) Cristo ci ha dato da oltre duemila anni una risposta che dovrebbe apparire indiscutibile. Alla domanda posta da un dottore della legge: “E chi è il mio prossimo?” Gesù – mediante la metafora del Samaritano misericordioso verso l’uomo aggredito dai briganti – offre un esempio chiaro che permette non solo di rispondere al dubbio del suo interlocutore ma getta una luce nuova sul significato di una carità immediata, disinteressata e che, soprattutto, non pone condizione alcuna al compiersi di quel gesto di amore.

E allora, perché questa mia riflessione? Andiamo con ordine. Nell’insegnamento dottrinale di ogni credente il “prossimo” ha sempre avuto – questa almeno è stata la mia interpretazione – una connotazione antropologica, tipicamente ed esclusivamente umana. L’ammalato, l’assetato, il carcerato, l’esiliato, il perseguitato rappresentano tutti categorie umane su cui si scaricano sofferenza, dolore, bisogno e dove, al tempo stesso, trova concreta applicazione quell’amore per il prossimo che ognuno di noi ha il dovere di declinare in opere, parole e preghiere. Un’ulteriore riflessione va compiuta, io credo, sul fatto che gran parte di questa umanità si presenta a noi in termini “positivi”. Il prossimo in loro incarnato non ci minaccia, non rappresenta un pericolo più o meno incombente; il più delle volte, anzi, non solo sollecita la nostra coscienza alla solidarietà ma la richiama a un profondo riesame interiore. Fuori da questo scenario vi è “il nemico”, colui che ai nostri occhi compie il male o che, con azioni o la sua sola presenza, può rappresentare un pericolo incombente per noi, la nostra famiglia, i beni che possediamo, per la nostra stessa esistenza. Anche qui Cristo ci richiama all’amore verso costoro ma, anche in questo caso, ci troviamo di fronte a un prossimo concreto, umano, riconoscibile come “potenziale” fratello. In tutti i casi citati il nostro atteggiamento – al netto delle possibili difficoltà umane – non dovrebbe avere problematiche di sorta nel cercare di praticare quell’amore cui ci richiama il Vangelo di Luca.

Veniamo ora al problema che sottopongo alla vostra attenzione. Possiamo dire che, oggi, il nostro prossimo continua ad assumere le caratteristiche finora descritte? È lecito affermare che la realtà umana e sociale che ci circonda può e deve essere ancora descritta secondo parametri esclusivamente antropologici o c’è dell’altro? Io penso che, soprattutto in questi ultimi trent’anni, le cose riguardo al “prossimo” siano profondamente cambiate; si tratta di una mutazione profonda che non può non incidere sul modo con cui ogni credente si relaziona con questa tematica. Proviamo a rispondere nel 2024 alla stessa domanda posta da quel dottore della legge. Certo, molti personaggi richiamati dall’evangelista sono tutt’ora presenti, più vivi che mai. Essi continueranno a esistere, sino alla fine dei tempi, come monito perenne sulle miserie di questo mondo e sull’ignavia delle nostre omissioni. Ma oltre a questo c’è dell’altro ed è qui che nascono i problemi. Una parte dell’umanità credente (non so quanto grande, ma questa è un’altra storia) si trova oggi di fronte ad un “prossimo” diverso rispetto a quello cui siamo stati sempre abituati. Non è facilmente identificabile né riconoscibile nei volti di chi vive intorno a noi. Ha da tempo assunto forme astratte ma al tempo stesso concretamente attive nell’entrare nella vita di ciascuno, relazionandosi con la nostra quotidianità nei suoi molteplici aspetti. È un mondo fatto di idee, di “valori”, di messaggi più o meno diretti, di stili di vita, atteggiamenti e comportamenti che assumono sovente caratteristiche simili a un rapporto interpersonale. Sto parlando di tutti quei modelli – di pensiero, psicologici, sociali, intellettuali e anche religiosi – che da anni cercano di trasformare, stravolgere e condizionare in negativo le esistenze di persone e comunità (uso questo termine con convinzione e fierezza) normali. Conosciamo bene coloro che caratterizzano questo nuovo “prossimo”; il loro nome è la risposta che potremmo dare a quel dottore della legge di duemila anni fa: pensiero unico, Deep State, religione universale, nuovo umanesimo, transgender, fideismo ecologico, tecno-scientismo e così via. È lecito considerare tutto questo come parte integrante del nostro prossimo? Io penso di sì, o sbaglio? Dietro ciascuno di quei termini infatti – nascosti dal paravento di sigle, organizzazioni, movimenti, strumenti di condizionamento di massa, entità politiche sovranazionali – si celano persone; uomini, donne, menti, cuori e coscienze. Non si tratta più del singolo malfattore che viene a rubare in casa tua bensì di chi, per la parte che gli compete, sta attivamente collaborando all’attuazione di un progetto di morte. Un disegno dietro al quale non c’è il Dio Trinitario ma il suo più acerrimo nemico. Certo, continueremo ad avere sempre, di fronte a noi, l’aggredito sanguinante sulla strada, l’affamato da sostenere, l’oppresso che chiede giustizia. Per ognuno di essi non ci sarà mai giustificazione per le nostre omissioni. Ma oggi, ogni giorno e ogni ora, abbiamo davanti anche un altro prossimo: quello che ci minaccia e condiziona ogniqualvolta accendiamo radio, televisione e web; quello che nelle scuole diseduca ai disvalori i nostri figli; quello che vuole stravolgere il senso delle Scritture; quello che vuol fare a pezzi la nostra tradizione e i valori in cui crediamo; quello che vuole imporci, nel nome di assurdi diritti soggettivi, nuovi modi di parlare, di comportarci, financo di morire. Ebbene, lo dico da credente, di fronte a questo prossimo fatto di persone (e magari di altri credenti come me) non c’è amore che tenga. Infatti, pur se con immensa e sofferta difficoltà, posso anche arrivare a concepire di amare (o perdonare) un mio nemico “umano”; al tempo stesso la mia coscienza si ribellerebbe al dover provare il medesimo sentimento verso persone portatrici consapevoli di un disegno demoniaco.

Verrei su questo, se la cosa può ritenersi degna di approfondimento, poter ragionare insieme a voi. Capire soprattutto se, come credente, sto perseguendo una via praticabile oppure se sto rischiando di sbattere al muro per ignoranza, incomprensione o confusione sull’essenza del messaggio evangelico. Grazie a tutti.

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