L’attentato a Fico e quella narrazione europea che ci porta dritti al disastro

di Alastaire Crooke

La scorsa settimana il primo ministro slovacco Robert Fico è stato colpito da quattro proiettili esplosi da distanza ravvicinata in un tentativo di assassinio. Sottoposto a uni intervento chirurgico duratto cinque ore [e poi a una seconda operazione, N.d.T:], Fico non sarebbe più in pericolo di vita, ma le sue condizioni restano gravi.

La polizia ha accusato del tentato omicidio un poeta e scrittore di 71 anni, profilo insolito per un “lupo solitario”.

“Alla conferenza stampa dopo l’attacco – scrive Politico Šutaj Eštok, il ministro degli Interni, ha chiesto di porre fine al linguaggio violento e agli attacchi sui social media che hanno caratterizzato la politica slovacca nell’era Fico”. “Voglio fare appello al pubblico, ai giornalisti e a tutti i politici affinché smettano di diffondere l’odio”, ha dichiarato il ministro.

Rivolto all’opposizione, in parlamento, un deputato del partito di Fico ha gridato: “Fico sta combattendo per la sua vita a causa del vostro odio”. E il vicepresidente Andrej Danko, capo del Partito nazionale slovacco, di estrema destra, ha chiesto all’opposizione: “Ora siete soddisfatti?”.

La Slovacchia è profondamente polarizzata. C’è una fazione fortemente favorevole all’Ue che disprezza in particolare l’opposizione del premier di lungo corso (Fico è stato premier per undici degli ultimi diciotto anni) alla politica occidentale sull’Ucraina.

La reazione al tentato assassinio in alcune parti d’Europa ha mostrato scarsa simpatia per Fico e, in diversi casi, ha sfiorato il limite della discolpa verso l’attentatore. Tuttavia anche in questa corrente si ammette che la campagna contro Fico è stata “tossica”. È stato accusato di essere filo-russo, filo-Putin e di ostacolare il sostegno all’Ucraina.

Il sostegno all’Ucraina è diventato in Europa il prezzo d’ingresso essenziale per qualsiasi colloquio con Bruxelles. Ed è anche il prezzo da pagare per fare politica nell’Ue, come hanno imparato Orbán e Meloni.

Il presidente finlandese è solo un esempio di chi segue la linea obbligatoria: “L’Ucraina – ha detto – deve vincere questa guerra a qualunque costo. Sta affrontando un gigantesco aggressore, che sta violando tutte le regole della guerra”.

Naturalmente, la risposta razionale è: “E allora?”. Il presidente finlandese propone seriamente che l’Europa si mobiliti per attaccare la Russia? Sua eccellenza non vede che l’Ucraina, e anche la Nato,  sono state sopraffatte dalla Russia? Non vede che l’Ucraina non può vincere?

Lo sfogo del presidente finlandese dovrebbe quindi essere visto come una semplice “narrazione”, cioè come qualcosa da non prendere sul serio? Poiché è impossibile che l’Ue possa anche solo contemplare una guerra con la Russia, la proposta è assurda. Eppure il linguaggio degli strati dirigenti europei oggi è intriso di fervore per il militarismo e la guerra (“prepararsi alla coscrizione”; passare a “un’Ue geopolitica orientata alla difesa e alla sicurezza”). Non è razionale, e assomiglia piuttosto a una psicosi di massa che colpisce l’élite, disperata per il fatto che il suo progetto di “Europa geopolitica” si sta disfacendo e che i suoi errori di valutazione politica ed economica stanno diventando evidenti mentre l’Europa scivola verso una crisi sociale ed economica fin troppo prevedibile.

Per quanto la loro narrazione non sia affatto razionale, queste élite utilizzano Putin e la Russia come metafore dell’oscuro “altro” autocratico secondo la concezione di Leo Strauss: il nemico è tanto più nemico quanto più è qualcuno di diverso ed estraneo, così che i conflitti contro di lui sono non soltanto possibili ma persino obbligatori, proprio a causa della sua natura.

Inoltre, la stessa dinamica di riconoscimento e distruzione dell’avversario diventa una componente cruciale dell’identità nazionale o, in questo caso, dell’identità transnazionale dell’Ue, la “democrazia che combatte gli autocrati”.

Questa rappresentazione di un nemico esistenziale così malvagio ed estraneo implica che la comunicazione e le relazioni con lui debbano essere considerate inimmaginabili. Anche solo ascoltare l’altra parte significherebbe oltrepassare la frontiera di un comportamento civico accettabile.

Il meme “Putin / Xi sono dittatori” è stato creato proprio per impedire la libertà di parola qui in Occidente. Il messaggio ha lo scopo di spaventare i critici dell’élite e di legittimare la punizione per coloro che “frequentano” il nemico. In Europa, l’oggetto d’odio principale è la Russia; negli Stati Uniti l’antisemitismo è sempre lì, mentre Russia, Cina e Iran vengono messi sullo stesso piano in quanto accomunati dalla malignità di un asse del male.

Il punto cruciale di questo approccio è che tende a un massiccio sovrainvestimento in un’unica narrazione autorizzata, e quando questa crolla (come sta avvenendo), non c’è uscita. Il rafforzamento della narrazione è l’unica opzione, anche quando questa linea d’azione si rivela irrazionale.

Purtroppo questo può diventare il percorso verso un disastro fin troppo prevedibile. Si inizia lentamente, incoraggiando l’Ucraina a chiedere truppe, inviando “addestratori” militari e poi un piccolo distaccamento di truppe in uniforme… eccetera. In seguito tutto procede rapidamente, quando i governanti scoprono che le loro ipotesi di base erano sbagliate.

Putin non sta bluffando. Quando i loro soldati torneranno a casa nelle bare, faranno marcia indietro o la paura di sembrare deboli li spingerà a fare cose stupide?

Fonte: english.almayadeen.net

 

 

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