Il sogno di una Chiesa diversa
Umiltà, povertà, spirito evangelico. I richiami di Francesco in questo senso sono continui. E li rivolge prevalentemente ai chierici, spesso ai vescovi. Se lo fa, vuol dire che la Chiesa, specie nei suoi vertici gerarchici, è malata. Malata di superbia, sfarzo, ricchezza, mancanza di spirito evangelico. Ma siamo sicuri che i richiami bastino?
Don Vinicio Albanesi, nel libro Il sogno di una Chiesa diversa. Un canonista di periferia scrive al Papa (Áncora, 112 pagine, 14 euro), sostiene che l’umiltà e la povertà, anche quando vengono applicate e realizzate, non bastano più. Occorre la riforma del sistema.
Non solo le persone devono ispirarsi al Vangelo, ma anche l’organizzazione. L’appello a un comportamento evangelico non può avvenire continuamente in opposizione alla struttura. Occorre rivedere in senso evangelico lo schema strutturale dell’organizzazione della Chiesa.
Don Vinicio, responsabile della Comunità di Capodarco, che conta quattordici comunità residenziali sparse in dieci regioni, parla da prete di strada, abituato al confronto duro con la realtà. Ma parla anche da canonista (è docente di diritto canonico e vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico delle Marche): una doppia prospettiva che gli consente di dare giudizi accorati ma mai generici.
Prendiamo il problema del distacco tra apparato ecclesiastico e fede delle persone. I due mondi, denuncia don Vinicio, sono distanti. L’apparato è lontano, estraneo, diffidente, se non oppositivo, rispetto a quanto le persone vivono ogni giorno. Ma, anche qui, i richiami alla buona volontà dei singoli non sono sufficienti. Il problema va affrontato mettendo mano alla struttura. Il diritto della Chiesa trasuda di clericalismo, maschilismo e autoritarismo. I contenuti della legge ecclesiastica sembrano preoccuparsi solo della vita del clero. I laici sono presi in considerazione in modo marginale e quasi come sudditi.
Nel Codice di diritto canonico c’è un’attenzione ossessiva alla questione della potestà: chi comanda e come. Di qui l’autoritarismo. Il papa Francesco fa sentire la sua voce contro carrierismo e arrivismo, e fa bene. Ma il problema è strutturale. E accanto all’autoritarismo c’è il burocraticismo. L’attenzione è tutta per la norma, non per la persona. La coscienza non è coinvolta. Lo spirito evangelico sembra una cosa estranea.
La comunione non ha luoghi in cui esprimersi, e così la collegialità episcopale. Lo schema è autoritario e gerarchico. E chi pone il problema viene guardato come pericoloso contestatore che pretende di portare la democrazia nella Chiesa. La Chiesa, si risponde, non è realtà politica! E così si chiude ogni possibilità di discussione.
La verità, sostiene don Vinicio, è che il sistema, così com’è, è fatto per garantire l’uniformità, non la libertà e l’unità.
E vogliamo parlare della commistione tra sacro e profano? Le domande di don Vinicio sono pressanti. Perché il papa deve essere capo di Stato? Che cosa c’entra il ruolo politico con il Vangelo? Perché la Santa Sede deve avere ambasciatori, i nunzi, come uno Stato? Perché la Chiesa cattolica deve stipulare concordati con il potere politico, entrando in una logica di do ut des che inevitabilmente la lega ai potentati? Si dice che questi meccanismi garantiscono la libertà. Ne siamo certi? Non garantiscono forse qualcosa d’altro: entrate economiche, privilegi, compromessi?
Tutto da rivedere anche il quadro per ciò che concerne la gestione di denaro e ricchezze. La storia ci dice che gli appelli all’onestà e alla trasparenza, per quanto nobili, sono ininfluenti. Il problema, ancora una volta, sta nelle strutture. Solo la riduzione drastica delle funzioni civili (pensiamo alle nunziature) ed ecclesiali (le varie curie) può permettere una riduzione dei costi e un allontanamento reale della Chiesa dalla ricchezza e dalle tentazioni. Non si possono condannare, giustamente, le speculazioni finanziarie e nello stesso tempo mantenere un sistema che ne ha bisogno per alimentare se stesso.
Quale Chiesa vogliamo? Questa è la vera domanda. Secondo don Vinicio, già autore di un altro libro istruttivo e coraggioso come I tre mali della Chiesa in Italia, oggi, a ogni livello, la Chiesa appare ed è un apparato che ha molto a che fare con le norme, con le leggi, e poco o nulla con lo Spirito. Abbiamo una visione di Chiesa distorta. Diciamo Chiesa e pensiamo a una piramide, a un sistema gerarchico, dominato dall’ossessione della potestà: la Chiesa come struttura che gestisce e amministra il potere. E il Vangelo dov’è?
Bisogna avere il coraggio di introdurre la riflessione sulla natura della Chiesa. Se lo si fa, ci si accorge che gran parte delle strutture non hanno nulla a che fare con Gesù e il suo Vangelo. Sono realizzazioni umane, incrostazioni storiche, meccanismi mutuati dalla società civile e politica.
In quanto società umana la Chiesa ha certamente bisogno anche di regole. Ma oggi la regola prevale sullo Spirito e sembra allontanare la persona e le comunità da Dio. Le regole nella Chiesa hanno senso solo se favoriscono l’incontro con Dio. C’è bisogno di un grande lavoro di semplificazione, e c’è bisogno di mettere al primo posto non lo strumento (la norma), ma il fine (l’avvicinamento a Dio).
Il modello di Chiesa andrebbe ripensato completamente. Da gerarchico, normativo e chiuso dovrebbe diventare spirituale, leggero, aperto. Senza questo ripensamento anche le più nobili esortazioni di un papa come Francesco sono destinate a incidere solo superficialmente.
Una Chiesa ossessionata dalla questione della potestà e delle funzioni è una Chiesa debole, che in fondo ha paura. E’ la paura che la spinge a dotarsi di questa struttura pesante e clericale.
Da dovei può venire il cambiamento? Non dai soli appelli, ma da un ripensamento profondo dell’idea di Chiesa. E dall’apertura ai laici. Oggi il laico è guardato in fondo con sospetto dalla struttura clericale. Bene che vada, lo si considera uno strumento utile per svolgere alcune funzioni di servizio. E’ un collaboratore, un subordinato. Non è una risorsa, non lo è pienamente. Anche del laico, in fondo, si ha paura. Ci si fida solo dei laici clericalizzati. Non si capisce che una maggiore presenza dei laici, e un loro maggiore coinvolgimento, garantirebbe al chierico, a tutti i livelli, di limitare il rischio della chiusura e del clericalismo. E’ il laico che apre al mondo. E’ il laico che porta il mondo nella Chiesa, che mette a confronto i mondi, che permette di fare i conti con la realtà.
La questione del ruolo dei laici porta con sé quella del sacerdozio comune. Nonostante il Concilio Vaticano II, oggi pensiamo alla Chiesa come gerarchia (la piramide) e non come comunità di battezzati uguali. Ha voglia il papa Francesco di ricordare che nella Chiesa non ci sono differenze! In realtà tutta l’organizzazione privilegia la differenza a scapito dell’uguaglianza. Abbiamo una radicata visione di Chiesa che ignora totalmente il fatto che ogni battezzato, in quanto tale, partecipa alla triplice funzione di insegnare, santificare e governare.
In conclusione, Il sogno di una Chiesa diversa è una lettura altamente consigliabile.
Aldo Maria Valli