Né connivente né ribelle, ma te stesso. Perché di Cristo

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del mio articolo Vive la Résistance, su come comportarsi, da credenti, di fronte all’attuale situazione nella Chiesa, sono arrivati numerosi commenti. Particolarmente qualificato quello del professor Alberto Strumia, che ho il piacere di proporvi.

Don Alberto Strumia è stato ordinario di Fisica matematica all’Università di Bari e di Bologna.

A.M.V.

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Gentile dottor Valli, ho letto con particolare interesse e ho apprezzato molto il suo articolo dello scorso 6 settembre 2019 (Vive la Résistance, ispirato al libro di Lawler su Hirschman, da lei citato) e ho compreso e approvato la posizione di laico (che mi sembra riflettere la sua). Si colloca tra coloro che sentono il bisogno e il dovere morale di “protestare” di fronte all’attuale persistente e crescente apostasia, ormai dominante.

Da tempo mi sto interrogando – nel mio caso non come laico, ma come sacerdote ordinato – sulla mia posizione di oggi e di sempre. E quanto lei ha scritto mi ha suggerito, spontaneamente, di mettermi a confronto con le posizioni che vengono prospettate, per vedere se mi riconosco collocato in una di esse, o in un’altra ancora.

1) Escludendo, come lei stesso giustamente fa, la posizione di chi esce dalla Chiesa allontanandosene, perché sappiamo bene che solo in essa possiamo avere il raccordo oggettivo, metafisico e sacramentale con Cristo, senza il quale non ha senso vivere e non c’è via di scampo (la parola cristiana è “Salvezza”!), tanto più come sacerdoti ordinati, oltre che come laici, rimangono da considerare le altre posizioni.

2) La seconda posizione è quella dell’acquiescenza, in nome dell’“obbedienza”. Come lei richiama, rifacendosi a Hirschman, questa «è scelta invece da chi ha legami particolarmente forti con l’istituzione». Dunque dovrebbe essere la mia condizione, di uno che, in quanto ministro ordinato, ha un legame con l’istituzione ben più stretto di un arruolato nel corpo dei Marines (per rimanere all’esempio dell’autore). Cito: «nessuno ha chiesto la tua opinione, ci resti male ma per fedeltà e obbedienza tieni la bocca chiusa». È la posizione assunta, per varie ragioni, dalla maggioranza dei membri del clero nei suoi diversi gradi. Il fatto è che in ballo non ci sono appena «certe iniziative che non ti piacciono» (cito ancora), ma ci sono delle verità di dottrina e di morale irrinunciabili. Tenere «la bocca chiusa» e, addirittura accettare di “eseguire” quello che viene comandato, o almeno permesso, significa “complicità”, “connivenza” con l’errore, a danno delle persone che si affidano al tuo ministero! San Massimiliano Kolbe – tanto per citare la posizione di un santo martire – scrisse: «l’obbedienza, ed essa sola, è quella che ci manifesta con certezza la divina volontà. È vero che il superiore può errare, ma chi obbedisce non sbaglia. L’unica eccezione si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio» (Ufficio delle letture del 14 agosto).

E ai nostri giorni non sono in questione appena «cose minime», ma l’essenza della fede e dei sacramenti! Questo bisogna dirlo e di fronte all’errore è doveroso resistere e non rendersi complici, proprio per rispetto del ruolo dell’autorità che ha il compito di rappresentare Cristo («Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini», At 5,29). Non c’è bisogno di ribellarsi: basta “dire” e “scegliere” secondo ciò che si dice.

3) La terza posizione, quella di chi “protesta”, certamente possibile e giusta per i laici, è molto più rischiosa per i sacerdoti e i religiosi, perché chi sta sopra di te ha la possibilità di usare il potere fino ad impedirti di esercitare il ministero, e di spingersi anche oltre. E vediamo non poche situazioni in cui ciò è avvenuto. In più, e questa è la mia valutazione, oggi la “protesta” non ottiene mai ciò che si propone: un ritorno alla sana dottrina e ad una sua adeguata applicazione nella morale e nella pastorale.

4) Per un sacerdote mi pare possa prospettarsi, allora, una quarta posizione per attuare una non apparente, ma vera, obbedienza a Cristo e alla Chiesa.

È quella di “parlare” e “agire” per rendere visibile agli altri, oltre che a Dio e a se stesso, una “testimonianza”. E non tanto allo scopo di mettere in atto una “protesta” (inefficace) che si illuda di ottenere qualcosa da chi non ti risponde neppure o ti elimina silenziosamente.

Si deve vedere che non sei “connivente” (falsa obbedienza), che non sei “ribelle” (inutile protesta), ma che sei te stesso perché sei di Cristo.

Non è forse questa anche la “testimonianza” dei martiri – del passato e di oggi – che fa risplendere la verità, senza compromessi, e dimostra visibilmente ai più deboli, come ai più forti, la vittoria di Cristo sul mondo, quella vittoria che è definitiva e rimane per l’eternità? Oggi questo tipo di “testimonianza” è l’unica che fa vedere che sei “vero” e “sincero”, in un mondo che si regge tutto sull’apparenza, sull’ipocrisia politicante, sulla menzogna e l’inganno del prossimo. Non è sempre facile mantenersi in questa quarta posizione, ma bisogna almeno provarci. E se accade talvolta di venire meno, si può contare sulla vera misericordia di Dio e della Chiesa.

Grazie e che il Signore benedica la sua instancabile testimonianza.

don Alberto Strumia

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