Chiesa e missione: stiamo entrando nel tempo della prova finale?

Cari amici di Duc in altum, nell’incontro avuto in Mozambico con i confratelli gesuiti papa Francesco è tornato a pronunciarsi contro il proselitismo opponendolo all’evangelizzazione. La circostanza ha offerto lo spunto al giovane prete, che già in passato ha scritto più volte, per una domanda: quale idea di missione ha Francesco? Ne deriva una riflessione, di capitale importanza nel momento attuale, sulla predilezione, da parte di una certa teologia, nei confronti della “testimonianza silenziosa” rispetto all’annuncio.

A.M.V.

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Caro Aldo Maria, dopo il tuo intervento e quello di Ettore Gotti Tedeschi sull’evangelizzazione e sul proselitismo, vorrei intervenire a proposito della  natura missionaria della Chiesa.

Quello che mi colpisce è la schizofrenia tra il continuo insistere a parole sulla missione come parte strutturale dell’identità della Chiesa, mentre, de facto, la Chiesa stessa sembra aver rinunciato all’annuncio esplicito di Cristo e del Vangelo. Com’è possibile? Come spiegarlo?

I motivi sono sicuramenti molteplici, ma ne vorrei sottolineare alcuni.

Il mandato dato da Cristo alla sua Chiesa di annunciare il Vangelo al mondo intero, di ammaestrare tutte le nazioni e di battezzarle nel nome della Santissima Trinità presuppone la proclamazione di una fede che abbia dei contenuti oggettivi, contenuti che passano anche attraverso la testimonianza personale, senza però identificarsi con essa. Negli studi teologici attuali è evidente l’allergia per l’oggettività dei dati di fede, che sarebbe solo il frutto della presunzione della Chiesa di essere depositaria della Rivelazione: meglio puntare sulla “relazione visibile con gli altri” piuttosto che perdere tempo per cercare di condividere verità “astratte”.

Inoltre la forza missionaria ha la sua radice nella certezza che la Chiesa cattolica sia la Chiesa di Cristo e questo comporta il suo essere “magistra” e non una semplice interlocutrice posta sullo stesso piano di altri soggetti. Ma negli studi teologici si insegna che la Chiesa è “cattolica”, nel senso di “universale”, dando a questo aggettivo il significato di ciò che va oltre le singole confessioni cristiane, che sono tutte “parti” della grande Chiesa, frammenti ecclesiali che, grazie al lavoro ecumenico, vanno uniti prendendo il meglio di ognuno. In questo modo però l’unità della Chiesa promessa e donata da Gesù non esisterebbe nella realtà storica, essendo essa più un ideale che un dono reale elargito da Cristo alla sua Chiesa.

Tuttavia il motivo principale per cui l’annuncio esplicito del Vangelo è avversato sta nel suo essere considerato una forma di proselitismo, termine di cui nessuno conosce bene il significato, ma che è il grande pericolo denunciato ogni volta da papa Francesco: “C’è un pericolo che torna a spuntare: confondere evangelizzazione con proselitismo”.

Ora, se con questo termine si intende un’attività missionaria forzata e misurata sul numero di battezzati, potrebbe essere un’accusa valida per alcuni gruppi protestanti particolarmente vigorosi in Africa e in Sudamerica, ma non riesco a comprendere come il papa possa parlarne come di un “pericolo” per la Chiesa cattolica, caratterizzata com’è non dal proselitismo ma, al contrario, da un mutismo perfino imbarazzante.

Questi spunti mi danno l’assist per andare un po’ più a fondo e mi chiedo: ma che idea di “missione” ha papa Francesco? Lascio la parola direttamente a lui.

Per il papa la missione consiste “nel testimoniare con la propria vita la bellezza di aver incontrato Cristo, bellezza che ha in sé la forza di suscitare nell’altro la domanda religiosa, in modo che solo allora si possa annunciare Gesù. La missione è fare vedere Gesù nella mia persona e nel mio comportamento”.

Ecco dunque la missione intesa innanzitutto come una sorta di testimonianza silenziosa: “L’evangelizzazione non si fa a parole, l’ultima cosa che tu devi fare è dire qualcosa, ma si fa con l’esempio e si lascia che sia contagioso”, ideale espresso molto bene nel film Silence di Martin Scorsese, non per niente film che si dice sia molto apprezzato dal papa.

È anche chiaro che questa testimonianza silenziosa (che tace Cristo) si lega all’illusione di poter evitare ai cristiani il disprezzo del mondo e, soprattutto, l’eventualità di un martirio. Se è evidente che ci sono Paesi in cui ai cristiani non è possibile fare diversamente, è altrettanto vero che presentare la testimonianza silenziosa come la norma della missione equivale a tradire il mandato inequivocabile di Cristo in Mt 28, e rendere alla fine la presenza cristiana, derubricata a mero fenomeno individuale, ininfluente nella cultura e nella società.

Con questo non si vuole assolutamente dire che la “testimonianza” non sia importante, anzi, ma il problema è quando essa va pericolosamente a coincidere con la missione stessa. Scrive bene Paolo VI: “Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava ‘dare le ragioni della propria speranza’ –, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati”.

La tentazione gnostica

Infine, vorrei concludere con la tentazione più insidiosa che si aggira come suggestione negli studi teologici e che scorre, non so quanto consapevolmente, nelle profondità del magistero di Francesco. Facciamo attenzione su questo punto, a mio modesto avviso di capitale importanza.

Vi siete mai chiesti come mai ci sono uomini di Chiesa che sembrano odiare così tanto la Chiesa stessa? Che sembrano fare di tutto per umiliarla, godendo di moltiplicare le rughe del suo volto? Non vi siete mai posti questa domanda: ma come è possibile? Sembra che facciano apposta! Badate bene, non sto parlando solo dei peccati morali dei ministri di Dio, di cui la cronaca ci riporta quasi quotidianamente inqualificabili gesta, ma di qualcosa, se possibile, di ancor più profondo e luciferino, ovvero del tentativo esplicito di una certa corrente teologica di mettere fine alla Chiesa affinché Cristo possa tornare nuovamente!

In che senso? Tutto parte dalla constatazione che il Regno di Dio non coincide con la Chiesa, il che in un certo senso è vero, ma questa distinzione è interpretata come separazione, in modo tale da porre sulla Chiesa un accento di negatività, come se essa pensasse solo all’autoconservazione e non fosse invece ordinata, pur nelle deficienze e nei limiti degli uomini, alla testimonianza e al servizio del Regno.  Scrive papa Francesco: “Sogno di trasformare ogni cosa, perché il linguaggio e la struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (Evangelii gaudium 27).

Possiamo osservare come il papa metta in contrapposizione, senza apparente motivo, l’autopreservazione della Chiesa con la sua missione nel mondo. Sarebbe stato più corretto dire che la Chiesa sarà più se stessa nella misura in cui diventerà sempre più missionaria; invece si preferisce porre un’inspiegabile divaricazione tra l’evangelizzazione e la vita stessa della Chiesa. Perché? Per capire la questione bisogna tornare alla separazione Chiesa-Regno.

In questa visione (che non dico sia professata chiaramente e consapevolmente dal papa, ma senz’altro è presente come una seduzione sotterranea nella sua predicazione), la Chiesa appare sempre e solo come un “segno provvisorio” destinato a sparire per lasciare spazio all’avvento del Regno di Dio nella sua pienezza, quando Cristo tornerà alla fine dei tempi. E chi segue questa impostazione, appoggiandosi alla parabola del seme che deve morire per portare frutto, sostiene che come Cristo ha dovuto morire per far sbocciare la vita eterna, così dovrà fare la Chiesa per permettere a Cristo di ritornare instaurando il Regno di Dio.

Lascio dire le stesse cose a padre Riccardo Lombardi, il “microfono di Dio”, il quale nel 1979, poco prima di morire, pronunciò queste parole: “Quanto alla Chiesa, essendo istituzione ma soprattutto mistero, essa si dissolverà nel futuro, mentre il Regno nel suo senso pieno è eterno. Non la Chiesa, ma il Regno è annunciato nelle parabole. Non la Chiesa, ma il Regno è il fine della creazione. Nel servire la diffusione del Regno di Dio nei cuori di ogni uomo sinceramente in buona fede, anche senza il credo cristiano, sta la funzione universale della Chiesa”.

Queste affermazioni chiariscono bene molte cose: oltre alla dissoluzione della Chiesa nel futuro, c’è la missione della Chiesa “anche senza il Credo cattolico”!

Questo è, tra le altre cose, anche il motivo per cui oggi assistiamo alla rinascita del “teocentrismo” a scapito del “cristocentrismo”: poiché Cristo non è accettato da chi non ha la fede cristiana, allora tutti i popoli, le culture e le religioni si possono incontrare in quanto credenti nella divinità, a prescindere da quale sia il suo nome. Ne consegue la predilezione per il mistero della Creazione rispetto a quello della Redenzione, ed ecco forse spiegato il perché della centralità della Laudato sì’ e della “custodia del creato” nel magistero attuale, così come dell’esaltazione dello stato naturale dell’uomo presentato nell’Instrumentum laboris del sinodo sull’Amazzonia, che tace il peccato originale e le sue conseguenze e in questo modo può sorvolare sulla Redenzione compiuta da Cristo.

Questa separazione tra Chiesa e Regno di Dio può dare adito all’ultimissimo passo dal sapore millenaristico: dato che il Regno di Dio tarda ad arrivare, si potrebbe pensare di sostituirsi ad esso, cercando di realizzarlo per tutti gli uomini in questo mondo. Ma sarà necessario allora dissolvere la Chiesa cattolica, che ha esaurito di fatto il suo compito storico, sostituendola con l’Umanità nel suo complesso, senza fedi confessionali e senza morali vincolanti, realizzando così la speranza messianica di pace universale, il nuovo umanesimo senza Cristo.

Ma, chiedo, non sarebbe forse questa la massima impostura religiosa dell’Anticristo? Un futuro in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne, pretendendo di realizzare nella storia la speranza messianica, e dimenticando che essa non può realizzarsi se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico, non è il trionfo dell’Anticristo?

Il giovane prete

 

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