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Lettera ad Aurelio Porfiri sul sacerdozio

Caro Aurelio,

a proposito del clero, argomento dell’ultima tua lettera, devo dire che il Signore è stato buono con me: mi ha fatto incontrare preti bravi, devoti, seri. Specie nella primissima parte della mia vita, quando ero bambino e ragazzo, questi bravi preti hanno avuto un ruolo importante nella mia educazione religiosa: un imprinting che ha segnato l’intera mia esistenza. Poi, con il passare degli anni (specialmente svolgendo il lavoro di vaticanista), ho incontrato anche preti di ben altra pasta, ma, ancora una volta, il Signore è stato buono e ha voluto preservarmi da crisi di fede motivate da tali esperienze.

Certo, la formazione dei preti è questione decisiva. Tempo fa, con l’aiuto di un sacerdote, ho tentato di avviare un’inchiesta sul tipo di preparazione che essi ricevono nei seminari. Per una serie di motivi, l’inchiesta si è interrotta dopo pochi passi. Sufficienti però, grazie ad alcune testimonianze di prima mano, per farmi capire che in molti, troppi seminari oggigiorno chi desidera essere formato alla retta dottrina, secondo una sana teologia e una filosofia autenticamente cristiana, finisce regolarmente emarginato, perché l’aria che tira è tutt’altra: è l’aria neo-modernista, che ancora spira prepotente nonostante i fallimenti a cui ha condotto e contribuisce a sfornare non uomini di Dio, bensì funzionari religiosi, un po’ sociologi e un po’ burocrati, esperti in tutto meno che nelle cose di Dio (ed evito di entrare nel tema riguardante le depravazioni).

Solo in alcuni istituti che si ispirano alla Tradizione è ancora possibile ricevere una formazione cattolica degna di questo nome, non inquinata dai vari “ismi” di moda: sociologismo, psicologismo, umanitarismo, pastoralismo, ecologismo.

Quando si parla della crisi delle vocazioni si pensa sempre all’aspetto quantitativo della questione. Pochi si preoccupano dell’aspetto qualitativo. La crisi non sta solo nel fatto che ci sono pochi candidati al sacerdozio. Sta soprattutto nel fatto che la formazione molto spesso non è cattolica.

I nostri vescovi ne sono consapevoli? A volte, quando si parla con loro in privato, questi pastori sembrano rendersi conto dei problemi, ma è quasi impossibile che qualcuno esca allo scoperto. E poi, purtroppo, anche fra loro ci sono i modernisti conclamati. Magari intelligenti, ma fuorviati, perché essi stessi hanno ricevuto quel tipo di formazione di cui parlavo prima.

La figura del prete attivista sociale è senz’altro quella che più incarna il modello dominante. Non un alter Christus, ma un indaffarato organizzatore che, quando va bene, dedica gli spiccioli del suo tempo alla preghiera e all’amministrazione dei sacramenti.

In una Chiesa come l’attuale, che si occupa tanto delle cose che non la riguardano e poco di ciò che le dovrebbe competere, sarebbe il caso di porre con decisione il problema della qualità del sacerdozio. Ma non ispirandosi agli slogan che parlano di sinodalità e altre amenità del genere. Bisognerebbe invece ispirarsi ai santi, come il santo Curato d’Ars, prendendoli seriamente a modello. E invece ci si perde in tante analisi verbose che lasciano le cose come stanno.

Sarebbe il caso, soprattutto, di riflettere sugli attacchi concentrici (a volte manifesti, a volte subdoli) all’Eucaristia e all’Ordine sacro, sacramenti intrinsecamente connessi e, non a caso, entrambi nel mirino del Nemico.

Preghiamo dunque per i nostri preti, per quelli giovani e per quelli anziani. Preghiamo per quelli che si lasciano ammaliare dal neo-modernismo e per quelli che, a prezzo di tanti sacrifici, si mantengono fedeli alla Tradizione. Preghiamo anche per i nostri vescovi. Che il Signore li illumini e lo Spirito Santo li assista.

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