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Camminare va bene. Ma per andare dove? Note a margine di un’omelia papale

Come abbiamo evidenziato anche in Duc in altum (qui), la Messa di Francesco per il 2 novembre, giorno dedicato ai defunti, ha provocato polemiche perché il papa ha deciso di celebrarla in quel cimitero di guerra francese di Roma nel quale sono sepolti anche i soldati Goumiers, di nazionalità marocchina, tristemente noti per le cosiddette “marocchinate”, ovvero violenze inaudite, tra cui stupri e uccisioni, compiute danno dell’inerme popolazione civile italiana durante la seconda guerra mondiale. Come se non bastasse, nell’omelia, pronunciata a braccio, Francesco ha usato l’espressione “brava gente” per definire le persone sepolte lì, con il che ha versato benzina sul fuoco delle polemiche.

Qui però vorrei tornare sull’omelia non per la questione delle “marocchinate”, ma per una considerazione, se vogliamo dir così, di natura teologica.

Dopo aver precisato che le sue considerazioni sono state ispirate da uno scritto visto in un piccolo cimitero (“Tu che passi pensa ai tuoi passi, e dei tuoi passi pensa all’ultimo passo”) e aver ricordato che “la vita è un cammino”, che “tutti noi siamo in cammino” e “tutti avremo un ultimo passo”, il papa ha detto: “L’importante è che quell’ultimo passo ci trovi in cammino, non girando in passeggiata; nel cammino della vita e non in un labirinto senza fine. Essere in cammino perché l’ultimo passo ci trovi camminando. Questo è il primo pensiero che vorrei dire e che mi viene dal cuore”.

Ora, non occorre essere grandi teologi per vedere che in questa riflessione, per lo meno, manca qualcosa. Manca la meta del cammino. Dando per scontato che la vita sia un cammino, la specificità del cristiano è che tale cammino ha una meta, ovvero il paradiso, ovvero la salvezza dell’anima nell’eternità. Una meta che, per essere raggiunta, richiede la conversione a Dio e il rifiuto del peccato.

Il papa però non ha fatto il minimo accenno alla meta, al traguardo. Per lui, ha detto, l’importante è che l’ultimo passo ci trovi non saldi in Dio, non in preghiera, non in adorazione, ma “ci trovi camminando”. Per cui risulta che il cammino stesso è l’obiettivo.

Qualcuno dirà: ma il papa parlava a braccio, la sua non era una riflessione sistematica. Ed è vero. Però è molto singolare che non gli sia venuto spontaneo per lo meno accennare alla meta del cammino cristiano, mentre, come in numerose altre occasioni, ha voluto sottolineare l’importanza del camminare.

Forse il papa ha dato per scontato che il camminare cristiano sia un camminare verso la salvezza dell’anima, nel rifiuto del peccato. Può essere. Tuttavia, poiché la Chiesa cattolica, proprio per volontà di Francesco, è impegnata in un sinodo sulla sinodalità che è tutta un’esaltazione del cammino e del camminare insieme, come se in questo camminare insieme (anche con i non cristiani e i non cattolici) consistesse la peculiarità della vita cristiana e non nel cercare di giungere alla salvezza distinguendo il vero dal falso, l’omelia pronunciata il 2 novembre acquista un sapore particolare. E non gradevole.

Viene in mente anche il logo scelto per il sinodo, un’immagine che mostra un gruppo di persone immancabilmente in cammino, e in mezzo alle quali c’è il vescovo (o papa). In mezzo, non alla testa, come dovrebbe essere. Quasi, di nuovo, che la cosa importante sia non l’avere una meta, ma il camminare tutti quanti insieme.

Da un po’ di tempo la retorica del camminare insieme ha sostituito quella dell’aggiornamento, così come la retorica dell’ascolto ha sostituito quella del dialogo. Infatti oggi non c’è uomo di Chiesa, a partire dai vescovi, che non insista fino alla nausea sull’importanza del camminare insieme e dell’ascoltare. Ma resta sempre inevasa la domanda di fondo: camminare per andare dove? E ascoltare con quale obiettivo?

Gesù agli apostoli non ha detto “andate in tutto il mondo per camminare insieme”. Ha detto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”. E non ha ordinato di mettersi in ascolto – qualunque cosa voglia dire – ma di guarire gli infermi, risuscitare i morti, sanare i lebbrosi, cacciare i demoni, insegnando a chiunque a osservare ciò che Egli ha comandato.

Dopo tutto, c’è una certa differenza.

 

 

 

Aldo Maria Valli:
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