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Linee guida strategiche per la Data Transformation

di Lorenzo Ricciardi Celsi*

Con lo scatenarsi delle potenzialità dell’Internet of Things, della Data Science e dell’Intelligenza Artificiale, cresce l’esigenza di progettare un processo strategico che guidi con successo la Data Transformation [1] di un’azienda e che sia al contempo pienamente compatibile con le necessità e le possibilità dell’azienda stessa.

Le domande più frequenti a cui le aziende devono rispondere sono: da dove partire? quali aspetti devono essere considerati nella costruzione di un piano di Data Transformation? Chi deve definire un piano di Data Transformation? Come selezionare le priorità? Quali errori devono essere evitati? Come garantire che la strategia rimanga rilevante e resti aggiornata nel tempo? Come garantire che il nostro piano di Data Transformation sia effettivamente messo in atto?

Senza pretendere di essere esaustivo, questo articolo mira a fornire linee guida strategiche per la Data Transformation, basate sull’esperienza dell’autore nella gestione di progetti di data analytics in una società di consulenza e nella trasformazione degli insight analitici di tali progetti in piani d’azione adatti ai cosiddetti C-level.

L’importanza della pianificazione strategica

Definire una strategia significa definire gli obiettivi a lungo termine, sviluppare le attività e allocare le risorse necessarie per raggiungere tali obiettivi. La creazione di un piano strategico in termini di Data Transformation ci costringe a limitare la nostra visione ad aspetti specifici piuttosto che generici e a correre qualche rischio.

Nel mondo industriale c’è molto fermento intorno alle tecnologie emergenti che permettono di sfruttare grandi volumi di dati, soprattutto per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale. Quindi, quando si tratta di disegnare una corretta strategia di Data Transformation, bisogna fare attenzione a evitare le false partenze, cioè quelle scelte iniziali che vengono fatte con estrema fretta e con superficialità, che comportano il rischio di compromettere il percorso di Data Transformation dell’azienda stessa. Numerosi studi hanno tracciato una serie di errori comuni che le aziende commettono quando iniziano ad affrontare il dominio data-driven.

Le conseguenze di partire dall’acquisizione dei dati

Per lavorare con i Big Data è necessaria una quantità di dati molto elevata, quindi l’obiettivo iniziale deve essere quello di acquisire il maggior numero di dati possibile per ottenere un vantaggio competitivo sui nostri concorrenti. I dati sono il nuovo petrolio. La conseguenza di questa scelta sarà quella di fare una lista ristretta delle fonti di dati da acquistare o costruire nel tempo, facendo investimenti mirati sull’accumulo dei dati considerati più importanti.

L’acquisizione dei dati è certamente rilevante per la strategia dei dati, ma partire dall’acquisizione dei dati per definire la propria strategia verso i dati è, con lo stesso grado di certezza, l’errore più grande.

Come possiamo fare una lista ristretta delle fonti di dati più interessanti per noi? Siamo sicuri di sapere a priori quali dati ci saranno utili e quali sono già disponibili nella nostra azienda? E le persone che saranno incaricate di selezionare le fonti di dati sono in grado di farlo? Hanno le competenze necessarie per selezionare i dati di cui si ha bisogno per risolvere un determinato compito? In parole povere, ha senso fare delle scelte sull’acquisizione dei dati quando ancora non si sa cosa fare con questi dati?

Se raccogliamo molti dati ma poi non sono né aggiornati né compatibili con il quadro generale che riassume la visione data-driven dell’azienda e i suoi obiettivi, ci troveremo nella situazione imbarazzante in cui i dati sono stati acquisiti ma non sono utilizzabili. Inoltre, l’assenza di una visione chiara sulle modalità di attivazione dei dati, ovvero la loro trasformazione in effettivo valore economico per l’azienda, potrebbe innescare la sensazione di avere molti dati e non sapere cosa farne. In definitiva, partire dall’acquisizione dei dati è una falsa partenza, perché porta inevitabilmente a inefficienze, ritardi e rielaborazioni indesiderate.

Le conseguenze del partire dalla tecnologia

I Big Data sono strettamente legati alla tecnologia. In generale, quando un’azienda inizia ad affrontare la Data Transformation in modo strutturato, la prima cosa che viene fatta è coinvolgere i responsabili della funzione IT dell’azienda. Quello che spesso si fa, nonostante sia piuttosto ingenuo, è concentrarsi sulla tecnologia e più precisamente sull’infrastruttura tecnologica in grado di immagazzinare ed elaborare i dati aziendali. Eppure, le tecnologie per la gestione dei Big Data sono già diventate commodity, cioè, in parole povere, risorse relativamente facili ed economiche da acquisire. In questo senso, spesso si prendono scorciatoie che permettono di affrontare solo le sfide più facili ed economiche che possono presentarsi. L’infrastruttura tecnologica e l’architettura dei dati non sono affatto ininfluenti nel nostro percorso di Data Transformation, ma partire da esse e dimenticare il contesto può portarci a fare una scelta davvero sbagliata.

Infatti, come possiamo decidere quale esigenza tecnologica abbiamo se non ci è ancora chiaro cosa vogliamo ottenere da tale tecnologia? Il rischio che corriamo è quello di allestire un ambiente tecnologico simile a una monoposto da Formula 1 quando avremmo potuto utilizzare una semplice utilitaria per rispondere all’esigenza aziendale considerata. Infatti, i costi, i tempi e la complessità organizzativa legati all’installazione e configurazione di un’infrastruttura tecnologica estremamente potente possono compromettere il raggiungimento del nostro obiettivo principale, ovvero la creazione di valore economico in modo sostenibile attraverso l’impiego dei dati. Pertanto, partire dalla tecnologia è un’altra falsa partenza che deve essere evitata.

Le conseguenze di partire dall’acquisizione del personale

Nel caso in cui le competenze necessarie non siano ancora disponibili all’interno dell’azienda, una delle prime reazioni del top management quando si tratta di affrontare le sfide della Data Analytics è quella di assumere esperti riconosciuti o di affidare la Data Transformation ad una società di consulenza.

Troppo spesso le aziende assumono diversi data scientist con l’idea sbagliata che questi ricoprano il ruolo di “data factotum”, ovvero di qualcuno in grado di risolvere qualsiasi problema aziendale con un approccio data-driven agitando la bacchetta magica degli algoritmi. Invece, i profili professionali in grado di lavorare sulla Data Transformation sono tanti e non necessariamente nuovi nelle organizzazioni esistenti.

Un errore comune è quello di iniziare ad assumere immediatamente un gruppo di esperti di dati dall’esterno (sia come dipendenti che come consulenti) con l’obiettivo di lasciare che siano loro a guidare il resto dell’azienda nella sua Data Transformation. Ma come possiamo selezionare tali collaboratori, quando non abbiamo ancora idea degli output che vogliamo produrre e degli obiettivi che vogliamo raggiungere? È possibile che le competenze necessarie siano già presenti all’interno dell’organizzazione, anche se non sono ancora emerse nei ruoli che i dipendenti ricoprono attualmente.

Inoltre, prima di assumere nuovo personale, è di fondamentale importanza acquisire una conoscenza approfondita dei processi e delle criticità già esistenti. Altrimenti, si rischia di creare un team di esperti smanettoni, che possono dilettarsi con dati e algoritmi ma sono totalmente scollegati dal vero business aziendale e dalla sua visione strategica.

Le conseguenze del pensare in piccolo

Un’altra possibile falsa partenza è quella di pensare alla Data Transformation come qualcosa che riguarda un solo aspetto, un solo processo o una sola parte dell’organizzazione. Anche se è importante dare un’adeguata priorità alle iniziative di attivazione dei dati che intendiamo intraprendere, dobbiamo pensare in grande fin dall’inizio.

L’impatto dei Big Data sul business è pervasivo, riguarda tutti i dipendenti (nessuno escluso) e tracima al di fuori dei confini dell’IT, esercitando un’influenza su processi, prodotti e servizi, senza una chiara delimitazione dei limiti funzionali. La strategia dei dati non è un tecnicismo che può essere limitato a un singolo gruppo all’interno dell’organizzazione. I leader di un’organizzazione devono gettare i semi della trasformazione nelle aree più fertili dell’azienda. Limitare la trasformazione dei dati a un singolo caso d’uso è uno spreco di tempo e denaro, perché abbracciare la trasformazione dei dati significa affrontare sfide complesse che riguardano la struttura stessa dell’organizzazione.

Il processo di trasformazione dei dati

Le caratteristiche principali del processo di trasformazione dei dati sono le seguenti:

  1. È un processo iterativo. La complessità di questa trasformazione la rende totalmente incompatibile con un approccio a cascata alla gestione dei progetti. L’approccio a cascata richiederebbe prima la definizione del piano di lavoro complessivo e poi la sua esecuzione. Ma, secondo il framework Cynefin, tale approccio è destinato a fallire in uno scenario complesso come quello considerato, motivo per cui, attraverso iterazioni successive, il piano dovrà essere ripensato e rivisto per adattarsi a ciò che si scopre lungo il percorso: solo perseguendo questo equilibrio tra flessibilità e struttura stabile si potrà trasformare l’azienda in modo efficace e duraturo.
  2. È un processo progressivo. Anche se possiamo avere una visione più o meno chiara del risultato finale che vogliamo raggiungere, è meglio seguire un approccio a più fasi verso l’obiettivo. La Data Transformation avrà un impatto sugli aspetti culturali e organizzativi, il che significa che dobbiamo affrontarla gradualmente, attraverso una serie di fasi successive. Uno strumento utile in questo caso è il cosiddetto modello di maturità, che aiuta a determinare a quale livello è arrivata l’azienda e a focalizzare le prossime azioni da intraprendere.
  3. È incentrato sui deliverables, cioè sui risultati attesi e sui prodotti finiti realizzati al termine dell’attività. Prima di iniziare qualsiasi attività di progetto, è necessario chiarire quali sono gli obiettivi. È sempre più facile individuare le risorse da utilizzare (analisti di dati, data scientist, architetti di dati, business translator e così via) e le competenze necessarie (acquisizione di professionalità, tecnologie e dati), ma la cosa più importante è identificare i deliverable del progetto, cioè gli output che ci si propone di consegnare alla fine del progetto per attenersi il più possibile al piano primario di raggiungimento degli obiettivi aziendali operativi.

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La strategia proposta per la trasformazione dei dati

Pertanto, per un processo sostenibile di trasformazione dei dati, si suggerisce di strutturare una strategia di trasformazione dei dati di successo secondo la seguente sequenza di quattro fasi.

Fase 1 (Selecting the big bets). Il primo passo consiste nel selezionare con cura le cosiddette big bets, ovvero i progetti che più efficacemente possono sfruttare i dati e concorrere all’effettiva creazione di valore. A questo proposito, emerge il concetto di data capability: ogni fonte di dati può essere associata al corrispondente livello di data capability, che si riferisce alla quantità di valore economico che può essere creato in modo sostenibile da tali dati.

Fase 2 (Enabler planning). Il secondo passo consiste nel pianificare l’implementazione dei cosiddetti enabler, ovvero gli aspetti di sistema (di natura tecnologica, organizzativa e culturale) che trasformano l’azienda e le permettono di creare valore dai dati e addirittura di amplificare l’impatto dei data analytics sul business.

Fase 3 (Execution and monitoring). La terza fase prevede l’esecuzione e il continuo monitoraggio e controllo dell’attivazione e dello svolgimento di progetti di data analytics, con particolare attenzione all’impatto diretto di tali progetti sul conto economico dell’azienda.

Fase 4 (Replanning). Quest’ ultima fase consiste nel ripianificare verificando il livello di maturità dell’azienda e l’attualità della strategia: ciò consente di chiudere il cerchio della strategia di Data Transformation e/o di passare a un nuovo livello di maturità e/o di rivedere le priorità a seconda delle circostanze.

Più in dettaglio, la fase 1 è un processo collaborativo, che può basarsi su workshop ideativi per la generazione di idee e l’analisi delle stesse attraverso strumenti appropriati come la matrice di selezione.

Le fasi 2 e 3 si basano invece su un insieme di strumenti eterogenei, che comprendono

la selezione degli algoritmi – ovvero la valutazione del compromesso tra complessità, accuratezza e interpretabilità (soprattutto quando si tratta di Intelligenza Artificiale affidabile) -;

i modelli architetturali per la gestione e il controllo dei dati secondo il cosiddetto Big Data stack;

la gestione delle persone all’interno dell’organizzazione attraverso modelli adeguati come il modello a spirale di Nonaka-Takeuchi (noto anche come modello SECI);

la lista di controllo ALTAI Assessment List on Trustworthy Artificial Intelligence della Commissione Ue per assicurarsi che tutti i rischi legati all’etica siano adeguatamente affrontati – ad essa è stato dedicato il precedente articolo [qui].

Infine, nella fase 4, il modello di maturità dei dati ci permette di determinare a che punto del percorso si trova l’azienda e come aggiornare gli obiettivi strategici per effettuare una transizione graduale al livello successivo.

[1] Il concetto di Data Transformation si può definire così: un insieme di cambiamenti tecnologici, ma anche organizzativi, manageriali, culturali e sociali, risultanti dalla diffusione, in tutti i settori della società umana, dell’impiego di grandi quantità di dati – i cosiddetti Big Data – messi a disposizione dai moderni strumenti di calcolo e dai mezzi di comunicazione.

*Manager di Elis Innovation Hub

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Aldo Maria Valli:
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