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Così morì Gesù. Esame medico della crocifissione

di Jean-Maurice Clercq*

La risurrezione di un corpo clinicamente morto per tortura è un fatto impossibile, al quale la mente si rifiuta di aderire.

E tale è il problema dei razionalisti atei: Cristo non può essere resuscitato! Se colui che è apparso nel Cenacolo, come affermano i Vangeli, non è un doppio, significa che non è morto sulla croce. Quindi la morte fu solo apparente: fu un profondo svenimento o un coma da cui poi Gesù uscì. Il colpo di lancia da parte del soldato romano fu solo superficiale e non letale. Quindi Gesù fu recuperato e così poté mostrarsi ai discepoli.

Sicuramente tutti noi, da quale parte, abbiamo letto o sentito questo tipo di argomentazioni sostenute da coloro che rifiutano di credere nella risurrezione di Cristo.

Ma poiché oggigiorno non vi è più alcun dubbio, storico, scientifico o epistemologico, che l’Uomo della Sindone sia proprio Gesù di Nazareth, esaminiamo da un punto di vista forense le tracce di sangue che questo telo reca. In altre parole, analizziamo questo documento che ci è pervenuto, per cercare prove della morte clinica di Cristo.

Gesù è vittima di un’atroce crocifissione che cerchiamo di ricostruire dal punto di vista medico.

Gesù giace a terra. Il corpo è nudo. I carnefici tengono le braccia sul patibulum, la parte orizzontale della croce, che il condannato porta legato alle spalle mentre si reca al luogo dell’esecuzione. Quindi, con forti colpi di mazza, conficcano un grosso chiodo, che termina in una specie di cappello, in ciascun polso, tra le ossa carpali e l’osso radio del braccio. Il chiodo, lungo circa dodici centimetri, entrando in questo spazio non frattura alcun osso e permette di fissare il braccio al legno. Però penetrando nel muscolo del pollice danneggia il nervo sensitivo-motorio mediano.

Quindi il patibulum è issato e montato sulla sommità del montante verticale della croce, infisso stabilmente nel terreno, lo stipes. I piedi pendenti vengono afferrati dai carnefici, posti di piatto sullo stipite e fissati con un chiodo, piede per piede. Quest’ultima inchiodatura viene eseguita tra il secondo e il terzo metatarso, al centro del piede, ledendo probabilmente i nervi principali. Se questa parte della crocifissione è meno spaventosa di quella delle mani, i dolori provocati non sono meno lancinanti, capaci di provocare svenimenti.

La crocifissione di per sé provoca poco sanguinamento, perché non danneggia nessuna delle grandi arterie, ma genera un dolore tremendo a cui si aggiungono molto rapidamente i crampi.

Una tetania muscolare estremamente dolorosa invade le gambe e risale in quasi tutto il corpo, tanto da rendere ancora più dolorosa la respirazione, che può essere solo addominale. I crampi derivano da un accumulo di prodotti di scarto metabolici che creano nei muscoli un’elevata acidosi (causata dalla presenza di acido lattico).

Così, appeso ai chiodi della croce, il corpo di Gesù è invaso da cima a fondo dalla sofferenza, incapace del minimo movimento. Dire anche solo una parola diventa quasi impossibile. Ma, per la posizione del corpo in croce, avvengono molte altre modificazioni biologiche, fonti di nuovi dolori di diversa natura.

Il sudore di sangue (ematidrosi) della notte del Getsemani, provocata da un intenso disagio psicologico seguito dall’interrogatorio sotto i colpi, ha provocato un notevole indebolimento di Gesù, indebolimento drammaticamente aggravato da una fustigazione di una violenza inaudita.

La legge giudaica vietava, in caso di fustigazione, di superare il numero di quaranta frustate: potevano infatti scatenare un infarto e causare la morte del condannato. Le condanne del Tempio limitarono dunque le fustigazioni a trentanove colpi. Ma per quanto riguarda Cristo, l’esecuzione, eseguita dai romani, non conosce limiti al numero di colpi. Sulla Sindone, le tracce visibili delle percosse (causate da un flagrum, un flagello, con due cinghie appesantite alle estremità) consentono di stimare che i colpi furono un centinaio, il che dà un’idea della violenza di questa fustigazione che cessò solo quando la furia dei carnefici si placò davanti al corpo accasciato di Gesù: temevano di ucciderlo se avessero continuato.

Questo calvario innesca un grave stress cardio-respiratorio. Quindi i carnefici, temendo che Gesù non possa camminare verso il Golgota, gli tolgono di dosso il pezzo orizzontale della croce (il patibulum, del peso di circa venti chili) che gli era attaccato alle spalle e sotto il quale il condannato è già caduto diverse volte.

L’indebolimento di Gesù è tale che il suo organismo sulla croce non riesce a trovare un’efficace “compensazione sistemica”, cioè non mette in atto i meccanismi compensatori tali da aumentare l’ossigenazione degli organi e dei muscoli e liberarli dei rifiuti metabolici.

Questa compensazione solitamente avviene con la maggiore ossigenazione grazie all’aumento della frequenza e dell’intensità della respirazione e da un adattamento locale della muscolatura per favorire la circolazione sanguigna mediante l’apertura dei precapillari e la chiusura delle anastomosi artero-venose, ma anche aumentando la gittata cardiaca e ridistribuendo il volume sanguigno ai muscoli a scapito dell’irrigazione della pelle, dell’apparato digerente e dei reni. Quando queste misure compensative sistemiche funzionano, i crocifissi possono rimanere per giorni sulla croce, prima di morire di sete. È l’orrore della crocifissione, riservata agli schiavi e ai criminali, attraverso la quale Gesù ha voluto passare per la Redenzione delle nostre colpe.

L’Uomo della Sindone presenta però una forte dilatazione del torace, oltre a un rigor mortis che indicano che il suo organismo non è stato in grado di attuare la compensazione appena descritta, ma è stato vittima di un fenomeno di scompenso sistemico che si è concluso con la morte.

Questo scompenso provoca:

– L’aumento della temperatura corporea (41° e oltre). In caso di contratture isotoniche dei muscoli, tutta l’energia muscolare si trasforma in calore e il corpo attua un meccanismo di raffreddamento per irraggiamento e sudorazione che avviene con la dilatazione delle i vasi sottocutanei, a scapito dell’afflusso di sangue ai muscoli, provocando una disidratazione secondaria dell’organismo.

– Ciò si traduce in una significativa acidosi metabolica (acido carbonico e acido lattico) prodotta dai muscoli privi di ossigeno. Questa acidosi non può più essere neutralizzata, tanto più che la capacità respiratoria è già ridotta.

– L’intensa sudorazione porta alla disidratazione del corpo del crocifisso con perdita di sali minerali, e diminuisce ulteriormente il volume del sangue circolante (già ridotto dal sudore sanguigno, dalla flagellazione, dalla corona di spine e dall’inchiodamento delle membra). Il battito cardiaco inizia a vacillare, riducendo ulteriormente l’ossigenazione ai muscoli e l’eliminazione delle scorie acide. I muscoli, divenendo ischemici (anemia locale per mancanza di sangue), utilizzano quindi un metabolismo anaerobico, impoverendo il siero e aumentando ulteriormente l’acidosi sistemica. La sete si fa intensa. Ce lo conferma il testo evangelico.

– La ridistribuzione del sangue nel corpo così esaurito è indispensabile per ritardare l’inizio della morte per choc ipovolemico (insufficienza della densità del sangue). Il cervello, il cuore e i muscoli del diaframma del torace e dell’addome prevalgono a scapito degli arti (le cui estremità sono prive di sangue). Questa compensazione circolatoria aumenta ulteriormente l’ipertermia del corpo e il livello di epinefrina nel siero, così come l’eccitazione ortosimpatica, che ha la conseguenza di dilatare ulteriormente il diaframma della gabbia toracica e rendere la respirazione sempre più ansimante e la parola quasi impossibile, se non a costo di uno sforzo immane.

– Il notevole aumento dell’acidosi metabolica scatena l’ittero epatico di tipo emolitico (massiccia distruzione dei globuli rossi e dell’emoglobina nel sangue, che non riesce più a coagulare), processo di per sé letale a lungo termine.

– L’acidosi, continuando a salire, raggiunge un livello tale da impedire la formazione di ATP (adenosina trifosfato), che pone fine alla funzione metabolica delle fibre muscolari, portando alla morte e, immediatamente, alla comparsa del rigor mortis negli arti. Questa iperestensione della gabbia toracica e la rigidità degli arti sono chiaramente osservabili sulla Sindone di Torino.

C’è quindi una perfetta concordanza tra i testi evangelici, l’immagine della Sindone e l’aspetto medico della crocifissione di Gesù Cristo. L’esame dell’uomo della Sindone è di per sé sufficiente a stabilire che egli morì effettivamente per le conseguenze di una crocifissione e che era già in rigor mortis quando apparve l’immagine.

Vediamo

– pollici delle mani retratti
– gambe in posizione semiflessa (atteggiamento sulla croce)
– testa inclinata in avanti di 25° (misurata dalla distanza tra la bocca e l’articolazione sternoclavicolare: 16 cm su un soggetto di 1 m 78, qui solo 9 cm).

Come promemoria: il rigor mortis inizia intorno alla terza ora in tempi normali; qui compare a pochi minuti dalla morte, per meccanismi di scompenso sistemico, partendo dall’alto verso il basso e scomparendo nello stesso ordine due o tre giorni dopo. L’immagine della Sindone, da questo punto di vista, è quindi conforme all’epoca evangelica (l’immagine essendosi formata nell’attimo che precede la risurrezione, cioè trentasei ore dopo la sepoltura).

Proseguiamo ora l’esame soffermandoci sulla ferita del cuore.

Posizione: sul lato destro del torace, tra la 5° e la 6° costa, cioè nel 5° spazio intercostale.

Dimensioni: 48 mm di lunghezza e 15 mm di larghezza, di forma ovale

Aspetto della macchia: sangue umano (gruppo AB), dimensione: 6 cm nel punto più largo per 15 cm in altezza, calco: irregolare, ondulato per la proiezione delle costole medie e del muscolo dentato anteriore, la macchia è più spessa nella parte superiore, colore: carminio (caratteristico del sangue), zone più chiare: presenza di un secondo liquido incolore mescolato al sangue (senza mescolarsi con esso).

La ferita è caratteristica, per forma e dimensioni, della traccia di un colpo di lancia romana (tipo foglia di alloro) inferto a un cadavere (il colpo a destra denota un uso militare: evitare il lato sinistro, protetto dallo scudo).

Perché su un cadavere e non su un essere vivente? Le labbra di una ferita di questo tipo restano aperte su un cadavere mentre si chiudono su un corpo vivo.

Circa la macchia di sangue, abbiamo fatto notare che il sangue proviene da un cadavere. All’interno dei vasi di un cadavere il sangue rimane liquido, ma se la morte è recente, quando esce si coagula. Tutto questo è coerente. Il fatto che la macchia di sangue sia più spessa nella parte superiore indica che la ferita ha prodotto un rapido e massiccio afflusso di sangue. Se il flusso fosse stato lento, sarebbe accaduto il contrario: il sangue si addensa e poi si coagula mentre scorre.

Da dove viene questo sangue? Non certo dalla perforazione del polmone destro, che avrebbe causato pochissime emorragie. Viene quindi dal cuore.

Il liquido incolore. Guardiamo il percorso compiuto dalla lancia per raggiungere il cuore.
Decorso: tra la 5a e la 6a costa, leggermente obliquo.

Perforazione della pleura per raggiungere il polmone: la flagellazione aveva provocato una pleurite sierosa traumatica (pleurite traumatica): questa infiammazione acuta della pleura aveva provocato un versamento molto importante di liquido pleurico che fuoriusciva attraverso la ferita. Questo liquido è incolore.

Perforazione del polmone destro. Come abbiamo detto, questo non provoca praticamente sanguinamento.

Perforazione della pleura del polmone destro all’uscita della lancia che ora raggiunge il cuore e che rilascia nuovamente liquido pleurico. Distanza percorsa: 8 cm.

Perforazione del pericardio (membrana sierosa che avvolge il cuore): la flagellazione aveva portato anche a idropericardite sierosa traumatica, vale a dire una significativa fuoriuscita di liquido pericardico, anch’esso liquido incolore che fuoriesce dalla ferita aperta.

Perforazione dell’atrio cardiaco destro, pieno di sangue (così come la vena cava superiore che lo alimenta). Sotto pressione ortostatica, il sangue schizza lungo la lancia attraverso la ferita. Se la lancia avesse raggiunto il ventricolo destro o l’atrio sinistro, che sono vuoti di sangue, non sarebbe passato nulla.

I fluidi pleurici e pericardici sono incolori e non si sciolgono nel sangue. Scorrono e si mescolano al sangue, che è ben visibile sul sudario. Queste parti chiare non possono essere state causate da una retrazione del coagulo o da un’essudazione del siero (parte liquida), perché il siero si sarebbe poi diffuso attorno al coagulo (non mescolato). Questo liquido incolore non può essere la conseguenza di un trasudato post mortem: questo si verifica dopo 48 ore; si può stimare che la flagellazione abbia aumentato la quantità di liquido pericardico da 10 a 20 ml e di liquido pleurico da 100 a 200 ml.

Ferita del cuore di Gesù: conclusione medica

La gabbia toracica in iperestensione, il ritiro dei pollici della mano, la posizione semiflessa delle gambe e la testa sollevata di 25° indicano che il crocifisso della Sindone era già in rigor mortis durante la sepoltura.

La forma della ferita sul costato indica che quando fu sferrato il colpo il crocifisso era già morto.

Il colpo di lancia al lato destro sarebbe stato di per sé fatale (se non avesse colpito un cadavere): il flusso di liquido incolore mescolato al flusso di sangue indica che il colpo è penetrato nel cuore.

Questo flusso di liquido pleurico e pericardico indica che Gesù morì molto rapidamente sulla croce, vittima di un fenomeno di scompenso sistemico fortemente aggravato da stress respiratorio con intenso soffocamento e da stress cardiaco con lancinanti dolori precordiali accompagnati da un’intensa ansia.

L’esame forense dell’immagine della Sindone di Cristo, integrato dalla lettura dei Vangeli, permette così di stilare un elenco non esaustivo delle patologie causate dalla sua Passione:

– intenso disagio psichico con angoscia (Getsemani),

– ematidrosi (sudore sanguigno),

– freddo,

– contusioni varie (percosse, cadute mentre si porta la croce),

– fame da digiuno assoluto,

– naso rotto

– emorragie (flagellazione, incoronazione con spine, crocifissione),

– lesione dei nervi mediani da inchiodamento dei polsi,

– lesione dei nervi da inchiodamento dei piedi,

– contratture generalizzate e tetania degli arti e dei muscoli,

– stress cardio-respiratorio intenso causato da:

– emorragie,

– pleurite emorragica essudativa ed edema polmonare da flagellazione
(contusione polmonare)

– pericardite (edema cardiaco causato dal fluido che circonda il cuore) da flagellazione;

– soffocamento respiratorio e asfissia parziale sulla croce, che causano ipertensione del torace,

– epigastrio retratto, ipogastrio disteso,

– anemia secondaria,

– disidratazione totale con sete intensa,

– emoconcentrazione,

– anemia che causa ittero emolitico,

– iperpotassiemia,

– compromissione della termoregolazione,

– sindrome da decondizionamento,

– collasso ortostatico.

Si capisce così perché la sopravvivenza di Gesù di Nazareth sulla croce sia durata solo tre o quattro ore. Molto breve, perché di solito tra i condannati poteva protrarsi anche per una settimana a seconda della stagione e delle condizioni fisiche. Generalmente sulla croce si moriva di sete e non era raro che i crocifissi implorassero i passanti di lapidarli per abbreviare la loro tortura. La crocifissione era considerata la condanna a morte più orribile e per questo era solitamente riservata agli schiavi o agli assassini.

Affermare che l’Uomo della Sindone non sia morto per la sua crocifissione è quindi una palese menzogna rispetto al semplice esame forense della misteriosa immagine che ci è pervenuta attraverso venti secoli.

Tuttavia, l’esame dell’aspetto medico della Passione di Nostro Signore permette di chiedersi se il Salvatore sia realmente morto per insufficienza cardio-respiratoria o, semplicemente, perché la sua missione redentrice era stata portata a termine.

Considerando il grado di debolezza di Gesù al termine della notte di agonia morale nel Getsemani, e che non fece che aumentare violentemente, il Salvatore sarebbe dovuto morire durante la flagellazione, se non subito dopo la salita. Che Gesù sia sopravvissuto ancora sulla croce per tre lunghe ore è un’impossibilità medica: la morte doveva essere già avvenuta dopo diversi svenimenti che hanno preceduto la sincope fatale. Tuttavia, quest’ultima non è apparsa, anche dopo l’inchiodatura e Nostro Signore è sempre rimasto cosciente sulla croce.

Emerge che Gesù ha voluto “bere il calice fino in fondo”, come aveva accettato nel Getsemani. Volle soffrire fino alla fine e toccare il fondo del dolore nella sua interezza, vivendo nel suo spirito e nella sua carne tutte le sofferenze possibili, senza cercare di sfuggire loro, perché ogni sofferenza umana di qualsiasi natura e intensità, fisica, psichica o psichica, possa unirsi e fondersi con una delle forme sofferte e accolte da Gesù, dal Monte degli Ulivi al Calvario.

Qui tocchiamo il mistero della redenzione e l’unione con questo mistero attraverso la sofferenza cristiana.

Gesù accettò di morire quando “tutto” fu compiuto, cioè quando furono compiute tutte le forme e tutti i gradi di sofferenza necessari alla redenzione dell’umanità. In altre parole, accettò di portare a termine la sua missione fino al termine. Morì quando decise, confermando così che l’ultima ora della sua morte arrivò da una libera scelta, superando i limiti delle costrizioni biologiche che egli trascese.

La sua morte è il risultato dell’accettazione da parte del Padre del suo sacrificio di riscatto e non di una fatale deficienza biologica. Altrimenti sarebbe morto molto prima.

Questa sofferenza della Passione che percepiamo attraverso i Vangeli e gli aspetti medici è in realtà solo la minuscola parte di un dramma gigantesco di cui ci sfuggono gli aspetti psicologici, psichici e metafisici. Non conosceremo mai in questo mondo tutta la grandezza e tutta la profondità di questo evento salvifico e doloroso che Nostro Signore ha voluto vivere.

*autore di La Passion de Jésus. De Gethsémani au Sépulcre: reconstitution à partir des connaissances scientifiques actuelles

Fonte: le-cep.org

 

Aldo Maria Valli:
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