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La profezia di Malachia e Bergoglio. È Francesco il papa senza nome?

di The Wanderer

Qualche settimana fa ho scritto che le rivelazioni private, anche se approvate dalla Chiesa, non fanno parte del Deposito della fede a cui i cattolici devono necessariamente aderire. Tuttavia, ciò non significa che debbano essere completamente ignorate. A volte possono infatti gettare luce su particolari circostanze storiche. In questo senso, la nota profezia di Malachia, pur essendo stata messa in discussione da vari punti di vista, mi ha sempre incuriosito.

Il blog Specola (che non raccomanderò mai abbastanza) ha segnalato qualche giorno fa un breve articolo su un’interessante interpretazione delle profezie. Dice che alla fine, dietro il motto Gloria olivae (la gloria dell’ulivo) che indicherebbe papa Benedetto XVI, ci sarebbero altri due pontefici. L’ultimo sarebbe l’eroico Petrus Romanus (Pietro Romano), che regnerebbe quando Roma sarà distrutta e avverrà il giudizio universale, mentre il penultimo sarebbe un papa di transizione, inserito appunto tra Gloria Olivae e Petrus Romanus, rappresentato da una frase incompleta che nel testo della profezia dice così: “Nella persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà…”. Nessun nome. Solo quei puntini di sospensione.

L’autore afferma che il risultato di un’attenta analisi delle prime due stampe storiche dell’originale della profezia, del XVI secolo, ha rivelato non solo il fatto che, oltre a Petrus Romanus, nella lista appare un papa intermedio, ma anche che il nome del soggetto è stato deliberatamente omesso.

L’esistenza di un papa, o di un personaggio che prenderebbe il suo posto, privo del nome sembra qualcosa di inaudito. Tuttavia, sant’Ireneo di Lione, dottore della Chiesa, nel suo Adversus haereses (5,30, 4) scrive il seguente commento sul numero della bestia o anticristo: “Ha taciuto sul nome, perché non è degno di essere proclamato dallo Spirito Santo. Infatti, se fosse stato proclamato da lui, forse sarebbe durato a lungo; ma poiché era e non è più, esce dall’abisso e va in perdizione, come se non esistesse affatto, e il suo nome non è stato proclamato, perché non si proclama il nome di ciò che non esiste”.

Questo personaggio è così terribile e orribile, così malvagio e grottesco, che non merita nemmeno di essere nominato. Sarebbe, appunto, il papa senza nome, quello che le profezie preferiscono non nominare.

Ovviamente non so se sia davvero così e se le profezie siano vere o solo fantasie di qualche tardo-medievale. Quel che è certo è che ciò che Bergoglio sta facendo alla Chiesa non ha nome. Egli si è dedicato, fin dall’inizio del suo pontificato, a decostruire uno dopo l’altro i capisaldi della tradizione, i pilastri del pensiero teologico cattolico e del depositum fidei. La sua è una non-teologia o, se preferite, un’anti-teologia che, sostenendo la presunta necessità di aggiornarla, ha svuotato la teologia. E così il pensiero teologico, dopo essere stato umiliato e fatto a pezzi, è evaporato, scomparso.

L’attuale pontefice ha trasformato la Chiesa in un centro di sincretismo e di banalizzazione, mettendo insieme tutte le religioni per renderle ugualmente inutili e ridicole e, di conseguenza, superflue. Con la sua ascesa al soglio pontificio, la fede si è dissolta nell’ateismo liquido tipico di un relativismo falsamente umanitario, ambientalista e umanista, che ha espunto ogni riferimento alla trascendenza, al sacro e a Cristo. Quella di Bergoglio si conferma così una religione alla Woodstock, in cui c’è di tutto e tutti i diritti sono salvaguardati, a partire dal diritto universale di fare sesso con chiunque. È una nuova religione stravagante ed eteroclita, in cui possono entrare il culto della pachamama come la riabilitazione di Lutero; l’Eucaristia per tutti e l’inesistenza dell’inferno.

La spudoratezza di Bergoglio è senza limiti. Durante il suo viaggio in Mongolia, mentre venivano distribuiti i popcorn prima dello spettacolo della messa, ha passato il tempo a lodare Gengis Khan e la pax mongolica. Non sarà inutile allora ricordare che raramente nella sua storia l’umanità ha conosciuto un regime tanto crudele e sanguinario come quello mongolo del XIII secolo. C’era pace, certo, ma solo perché al primo che pensava di “creare problemi” veniva tagliata la testa. Niente di strano, dunque, se questo triste personaggio ci sorprendesse, un giorno o l’altro, lodando Genserico e la pax vandalica o Stalin e la pax sovietica.

E mentre incoraggia i mongoli a tornare agli anni gloriosi di Gengis Khan, mette in guardia gli spagnoli e gli ispano-americani dagli “orrori” commessi dai loro antenati durante l’evangelizzazione dell’America e dalle gravi ingiustizie dei missionari che hanno spogliato i popoli nativi delle loro legittime e sane religioni e tradizioni ancestrali.

Mentre il proselitismo, nella sua prospettiva, è un orrendo crimine, la distruzione di intere città e l’uccisione dei loro abitanti da parte di Gengis Khan sono una piccola cosa rispetto ai crimini dei conquistadores e dei missionari spagnoli.

È proprio vero, dunque. Ci troviamo di fronte a un uomo che non merita nemmeno un nome. Per riprendere le parole di Catone il Censore, il nome di Bergoglio, proprio come Cartagine, dovrà essere distrutto.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: Francisco, el Papa sin nombre

Aldo Maria Valli:
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