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Sul vescovo leopardato

di Vincenzo Rizza

Caro Valli,

tramite fonti attendibili che hanno chiesto l’anonimato, sono riuscito a scoprire le ragioni che hanno indotto il vescovo Girasoli (qui) a celebrare messa all’aperto con una casula leopardata.

Tutto nasce dalla commissione diocesana nominata in occasione del sinodo sulla sinodalità. I relativi componenti sono stati accuratamente scelti sulla base dei criteri dettati nel 2019 dal cardinale De Donatis (qui), che invitava i parroci della diocesi di Roma (ma l’invito, proveniente dal vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, non poteva che estendersi a tutte le diocesi), a scegliere collaboratori, preferibilmente dodici, che siano “appassionati dello squilibrio”: non “professionisti competenti e qualificati”, non persone “che hanno dimostrato di essere prudenti, misurate e circostanziate” ma persone “fuori dalle righe”, persone che “lo Spirito Santo ha reso degli appassionati dello squilibrio”.

Il suggerimento del cardinale è stato accolto da molte diocesi non solo per le nomine nelle equipe parrocchiali, ma anche per la selezione dei componenti delle commissioni per il nuovo sinodo. Con un’eccezione: non dodici collaboratori, perché il richiamo alle dodici tribù d’Israele poteva costituire un pericoloso precedente idoneo a rafforzare la fronda tradizionalista.

È scattata, quindi, la caccia ai più squilibrati: non importa se cattolici o no; basta che fossero fuori dalle righe. La ricerca ha dato i suoi frutti e nell’ambito della commissione diocesana locale uno dei componenti più dotati ha avuto un sogno: gli è apparso un angelo avente le fattezze di Alberto Sordi quando interpretava Nando Moriconi in Un giorno in pretura che urlava al vescovo: “A monsigno’, facce Tarzan!”.

Si è riunita subito la commissione diocesana e l’interpretazione del sogno è stata univoca: è senz’altro un messaggio dello Spirito Santo che invita la Chiesa, in occasione del sinodo sulla sinodalità, a uscire dalle stantie tradizioni, a riscoprire le periferie, a valorizzare la natura e il creato.

Cosa fare allora? Dopo lunga discussione, si è deciso di mandare al vescovo tre proposte.

La prima proposta, voluta dai più squilibrati degli squilibrati, prevedeva che il vescovo celebrasse messa nudo nella pozza della Marana, usando come altare un tronco galleggiante. La seconda proposta, voluta dai meno squilibrati, prevedeva che il vescovo celebrasse messa in una foresta indossando un costume leopardato. La terza proposta, voluta da un paio di squilibrati che ancora avevano un minimo di pudore, prevedeva che il vescovo celebrasse semplicemente all’esterno con una casula leopardata.

Il vescovo è rimasto perplesso in merito alle proposte ricevute. Tuttavia, poiché provenivano dalla laica commissione assistita dallo Spirito Santo, dovette necessariamente scegliere una delle tre.

La prima fu subito esclusa. Varie le ragioni: l’età del vescovo sconsigliava di farlo stare nudo in mezzo all’acqua per un’ora e soprattutto sarebbe stato impossibile ritrovare la Marana, visto che Roma è ormai tutta cementificata. In ogni caso l’idea non sarebbe stata neppure troppo originale, essendoci già stato un sacerdote che in passato aveva celebrato in mare, usando un materassino come altare.

Anche la seconda fu esclusa: l’età del vescovo sconsigliava anche di stare in costume da bagno all’aperto per un’ora e comunque sarebbe stato difficile trovare in Italia una foresta idonea, accessoriata di liane e scimmie.

La terza fu infine accettata. Il vescovo sarebbe stato adeguatamente coperto e immune da possibili malanni stagionali. Ad eventuali critiche sull’utilizzo di un paramento inadeguato, avrebbe potuto rispondere che era lo Spirito Santo a volerlo o che comunque “la casula indossata per la celebrazione fa parte della espressione locale della liturgia ufficiale dei popoli poveri africani di cui il Celebrante si è sempre interessato con passione nel suo mandato pastorale” (qui).

E così fu.

Foto: quotidianodipuglia.it

 

 

Aldo Maria Valli:
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