Il Gruppo dei nove, la tesi sedemenefreghista e la suprema autorità. Contributo del professor Radaelli

In seguito al dibattito che si è sviluppato in Duc in altum sul cosiddetto sedemenefreghismo – confronto innescato dal documento del Gruppo dei nove [qui] – ricevo dal professor Enrico Maria Radaelli questo contributo che volentieri sottopongo all’attenzione dei lettori. Il professor Radaelli è autore del libro Al cuore di Ratzinger. È lui il Papa, non l’altro.

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Sedemenefreghismo. Un circolo vizioso per uccidere la Chiesa senza che nessuno se ne accorga

di Enrico Maria Radaelli

Carissimo Valli, lasci che mi feliciti con lei per aver intuito l’importanza della discussione sul tema aperto dal Gruppo dei nove intorno alla legittimità delle più varie posizioni che si hanno oggi riguardo all’assetto dell’attuale governo della Chiesa: infatti capire o non capire in questo momento chi è a capo della Chiesa è decisivo proprio per la sua sopravvivenza, perché poche volte essa si è trovata a un passo da ciò che peraltro il suo divino Creatore ci garantisce non avverrà mai. Sicché è bene qui riconoscere la realtà in cui ci troviamo così da individuare presto e bene i mezzi più idonei per riportare la Sposa di Cristo in salute, e noi, suoi tanto bisognosi figliuoli, gioiosamente in salute con lei. Mi permetta quindi di approfittare del suo spazio per intervenire, perché, oltre a essere coinvolto dall’articolo dell’amico Del Rio e dai suoi oppositori, il tema è per l’appunto decisivo.

Ora, come sappiamo, la Chiesa è fondata sulla Verità, e la Verità è ferma, è solida, è una, vedi la Costituzione dogmatica Dei Filius: «Il senso dei sacri dogmi che deve essere sempre conservato è quello che la santa madre Chiesa ha determinato una volta per tutte e non bisogna mai allontanarsi da esso» (v. Denz 3020), e tale senso va conservato mantenendolo « esclusivamente nel suo ordine, nella stessa credenza, nello stesso senso e nello stesso pensiero », come specifica la nota raccolta dal Commonitorio del grande san Vincenzo di Lérins a margine della Costituzione.

Ne discende che se Gesù dice «Tu sei Pietro, e su questa pietra io fonderò la mia Chiesa» (Mt 16,18), il dogma da conservare è che il Papa è e può essere solo uno, unico e assolutamente inscindibile, se così si può dire, come solo una, unica e assolutamente inscindibile è una pietra, una roccia, pietra o roccia nella quale, con quelle Sue parole, Gesù ha quasi trasfuso e trasformato la persona umana di Simone figlio di Giona, così da conferire simbolicamente, sì, ma, con tale nome, anche quasi materialmente, a un uomo di carne, un solido, invariabile e specialmente particolarissimo, cioè eccezionale carattere, capace di essere il degno e solido fondamento alla Sua Chiesa per tutti i secoli e per tutti i luoghi della terra come lo sarebbe stato Egli stesso se avesse ritenuto vivere per sempre in carne e sangue tra gli uomini.

Perché questa inventio? Perché questo carattere eccezionale? Perché gli uomini che di volta in volta avrebbero portato questo nome tanto speciale di pietra/Pietro avrebbero dovuto con esso ricoprire, di volta in volta, il ruolo vicario del carattere per l’appunto particolarissimo, eccezionale, del suo Primo Detentore: Gesù Cristo stesso, l’uomo-Dio, il Re dei Re, il Signore dei Signori, il Dominatore, Colui cui si deve piegare ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra.

Infatti l’investitura petrina non a caso segue a ruota proprio lo specialissimo riconoscimento di chi fosse veramente il Cristo, compiuto unicamente dall’Apostolo Simone figlio di Giona: l’Apostolo – per la luce soprannaturale donatagli per specialissima grazia da Dio Padre – vede nel Cristo ciò che nessuno aveva visto: la Sua natura divina, e così come lui in tal modo riconosce in Cristo le due nature, una di carne e dunque transeunte, ma l’altra eterna, così di rimando il Cristo conferisce a lui, che nei Suoi divini disegni doveva assumere il grave compito di rappresentarlo, una doppia natura in qualche modo vicaria della Sua, affiancando alla natura di carne e transeunte una seconda natura, in qualche modo “vicaria” dell’eterna, quella appunto di pietra, di roccia, su cui si sarebbero potute avventare, come si avventarono, si avventano e si avventeranno, tutte le forze più infernali e terrificanti, ma sfracellandosi contro di essa quasi fosse la divina, per Sua indifferibile e soprannaturale grazia.

Ma c’è un’ultima considerazione da fare per avvalorare al massimo il carattere eccezionale del nome che si è visto in qualche modo simbolicamente ma anche molto chiaramente eternizzante di Pietro, e quest’ultima considerazione è senza dubbio la più potente e decisiva. Dice infatti Gesù ai Farisei, che lo ascoltavano per sorprenderlo in errore: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo: questo è stato fatto dal Signore, ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò vi dico: il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a un popolo che lo saprà far fruttificare. E chi cade su questa pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà lo stritolerà» (Mt 21,42-4).

Da queste parole di Gesù veniamo dunque a sapere quindi che la pietra in cui Gesù conforma Simone di Giona ha un modello di riferimento, e il modello è la pietra-Cristo, di cui Pietro è nominato Vicario, ovvero supplente la Sua eccelsa Autorità di natura divina pur essendone infinitamente inferiore; tale modello, come si capisce, ha diverse particolarità: prima di tutto è, pur nella sua inalterabile solidità, pietra viva, capace di stritolare, cioè, fuor di metafora, di valutare, quindi castigare, chi cade su di essa, ossia chi vi si sfracella per non averla riconosciuta, come accadde ai perfidi vignaiuoli della parabola narrata dal Signore appena prima.

Perché valutare? Perché castigare? Perché essa «è diventata testata d’angolo», giacché, solidamente viva com’è, non è affatto grezza, informe, ossia senza regole, senza leggi, anarchica, e «i costruttori» del Regno di Dio che poi giunsero a uccidere Gesù non la vollero riconoscere appunto qual è: misura di tutte le cose, nientedimeno che «testata d’angolo», legge solida e decisiva da cui proviene ogni altra legge, vivente ed eterna Norma normans di ogni misura, canone, ordinamento, precetto; è necessario dunque riconoscere attentamente tale unica e speciale «testata d’angolo» perché essa è manufatto di Dio: è «una meraviglia ai nostri occhi», ossia è qualcosa di splendido, sì, ma anche di sorprendente, ossia di inaspettato, come fu inaspettato Gesù per quei cattivi «costruttori»; perché inaspettato? Perché più che perfetto: superiore in ogni dettaglio alle aspettative umane anche più alte, tale che solo la mente divina può concepirlo, è la Sapienza stessa, è Cristo, è l’uomo-Dio il cui essere e il cui operare, ossia la cui divinità e la cui Redenzione sono «una meraviglia ai nostri occhi» così potentemente ed evidentemente amabile che a chi non Lo riconosce e quindi non Lo ama gli toglie il Regno, cioè la vita eterna, come ha fatto con il popolo dell’Antico Patto, i vignaiuoli che hanno tradito e ucciso il figlio del Padrone della vigna della parabola.

Da queste considerazioni si fa evidente la superiore potenza della solidità della pietra/Pietro, una pietra angolare in tutto vicaria del divino Modello che gli ha trasmesso, anzi lo ha investito della propria: senza questa specialissima solidità la pietra/Pietro sarebbe già stata frantumata da secoli dagli attacchi del nemico infermale, come è ben evidente dalle comunque terrificanti vicissitudini di cui è stato ed è tutt’ora oggetto la Chiesa in particolar modo nel Papato.

Per tutti questi motivi questa pietra/Pietro del Papato non può in alcun modo spaccarsi in una mezza pietra/Pietro “attiva” e in una seconda mezza pietra/Pietro “passiva”, in due mezze pietre/Pietri: una mezza pietra/Pietro che governa «con le parole e le opere» e in una contemporanea seconda mezza pietra/Pietro che il Papa lo fa «soffrendo e pregando», come decise Benedetto XVI il 10 febbraio 2013 nella sua Dichiarazione di rinuncia al papato, perché non c’è neanche mezzo passo del Vangelo in cui Gesù Cristo insegna e stabilisce che la pietra su cui ha fondato la sua Chiesa si può in qualche modo frazionare in diversi modi di essere pietra/Pietro, ossia possa frazionare in più pietre/persone/Papi i diversi momenti in cui si divide la giornata di tutti gli Apostoli di Cristo, in primo luogo quella della pietra/Pietro, per governare la Chiesa di Cristo, una giornata il cui governo non può non essere cadenzato e sorretto in primis dai santi ritmi della Messa, della Liturgia delle Ore, del Rosario e magari anche di qualche santa e auspicabile penitenza; anzi, al contrario, il Signore mette in guardia dalla minima divisione: «Ogni regno discorde cade in rovina» (Mt 12,25), e persino il santo eremita e Papa Celestino V non si mise a elaborare un’inconcepibile frattura del Papato in una attività tutta governativa e in una passività tutta orante vissute all’interno di un “Papato eccezionale”. Puro hegelismo.

Questo è l’argomento evangelico che sostanzia e regge la mia tesi, secondo la quale, come scrivo e argomento con la massima cura nel mio Al cuore di Ratzinger. È lui il Papa, non l’altro, Benedetto XVI è rimasto sullo scranno di Papa fino alla sua morte, perché la pietra angolare del Papato non può essere scissa nemmeno di nascosto, se così si può dire, ossia nemmeno con i sotterfugi e i rocamboleschi labirinti di parole e i miserabili spostamenti semantici usati nella sua Dichiarazione del 10 febbraio 2013 da un Papa che ci si aspetta essere profondo conoscitore e obbediente esecutore della santa Dottrina di sempre come a parole, ma solo a parole, e non nei fatti, fu Papa Ratzinger, sicché, ripeto, la sua Rinuncia è invalida, è nulla, per clamorosi errori sostanziali che, configurando di fatto due Papi, o per meglio dire due mezzi Papi, disobbedisce subdolamente ma chiaramente al dogma sancito dalla Dei Filius, che stabilisce l’assoluta invariabilità della verità dogmatica «nel suo ordine, nella stessa credenza, nello stesso senso e nello stesso pensiero», dunque stabilisce che è proibita anche la minima infiltrazione di qualcosa che corregga in qualche modo anche solo latente la fermissima e divina pietrosità del Papato. Se poi questa mia tesi va demolita, benvenuto e santo chi la demolirà.

E a questo punto si chiede al Gruppo dei nove, a Piero, a Lettera firmata, e a ogni altro religioso e cattolico amico, se pur sedemenefreghista, di aiutarmi a risolvere l’irragionevole diallelo proposto con grande sagacia dall’amico Bernardo Del Rio, quella petizione di principio, ossia quel circolo vizioso per il quale, secondo tale Gruppo, «solo la Suprema Autorità della Chiesa ha titolo per giudicare della questione relativa alla Sede… La questione della Sede è destinata a restare aperta … sino a un giudizio certo da parte della Suprema Autorità». Chi è mai questa “Suprema Autorità”? Il Papa-antipapa? Un Concilio? Qualche cardinale? Anche quelli creati da “Francesco”? In altre parole, se è in discussione proprio l’autorità di chi in questo momento siede sul Trono più alto, qual è mai, giuridicamente parlando, a vostro parere, la “Suprema Autorità” di cui è in discussione proprio l’individuazione?

 

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