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Fenomenologia di Francesco il peronista

Più volte in questo blog abbiamo scritto che per capire veramente Francesco occorre volgersi all’Argentina e interrogare i suoi compatrioti. Lo abbiamo fatto spesso in questi anni, e torniamo a farlo con un breve saggio particolarmente eloquente. L’autore argentino, che si firma Demostene, dimostra come Bergoglio e Perón si identifichino in pieno, così come il bergoglismo e il peronismo in quanto sistemi di potere. Sottolineo l’osservazione sul disprezzo verso l’eccellenza. Il bergoglismo, come il peronismo, ha cattivo gusto. Un disprezzo che i lacchè di regime dipingono come umiltà e austerità, ma è solo paura. La paura di chi sa che dalla qualità possono arrivare soltanto problemi. Ecco perché il bergoglista, come il peronista, ama la mediocrità e si circonda di inetti yes men. Ed ecco perché il vero trionfo il bergoglista lo celebra quando vede che persone di qualità gli dedicano attenzione commentando i suoi mediocri documenti e lambiccandosi su ciò che, alla fine, è solo e sempre gestione del potere.

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di Demostene

Per chi non vive in Argentina è difficile comprendere il fenomeno del peronismo. Per facilitare il compito, lo si assimila di volta in volta a realtà più conosciute, come il socialismo, la democrazia cristiana, il movimento progressista o qualche variante non ben definita del populismo. D’altra parte, è abbastanza comune considerare l’attuale papa come un peronista. La conclusione sembra semplice: ci si aspetta che il papa si comporti come i socialisti, i populisti eccetera.

Tuttavia, quando arriva il momento di confrontarsi con le azioni concrete del papa, i modelli conosciuti si rivelano inadeguati. Non sono accurati né quanto ai fatti, né rispetto alle motivazioni.

La questione è che il peronismo è un fenomeno specificamente argentino, che non si identifica con le realtà di altri paesi. Non è un movimento/partito che nasce da uno sviluppo concettuale, ma un semplice strumento di potere: una struttura per l’accesso, l’uso, la conservazione e l’incremento del potere.

Ci sono peronisti di sinistra, di destra e di centro; conservatori e rivoluzionari. E tutti, basandosi su momenti della vita di Perón o della storia del movimento o del partito giustizialista, hanno le loro ragioni per considerarsi peronisti.

È difficile trovare elementi comuni a tutti coloro che si definiscono peronisti. Ci sono aspetti tipici a molti peronisti, come la tutela dei lavoratori, l’animosità verso gli Stati Uniti, il desiderio di favorire i poveri, la tendenza allo statalismo. Qui però metteremo l’accento su alcune componenti che non si riferiscono all’aspetto concettuale-affettivo peronista, ma alla realtà del suo funzionamento. Gli elementi sono i seguenti: primato del potere; disagio per l’eccellenza; priorità della tattica rispetto alla strategia. È chiaro che si tratta di una semplificazione e generalizzazione che non intende esaurire l’intera realtà del peronismo.

L’attuale pontefice riesce a coniugare nella sua persona il furbo porteño, il sinuoso gesuita e il vorace peronista. In questo scritto ci atterremo al suo volto peronista. Nulla verrà detto su altri aspetti della personalità papale, come l’intricata psicologia, l’itinerario formativo, i limiti accademici, le ripetute strategie – di declinante efficacia – o la simpatia per i trasgressori (tra cui, paradossalmente, la FSSPX).

Vediamo come le caratteristiche indicate si riflettono nella personalità di papa Francesco.

Primato del potere

Sotto questo aspetto, la traiettoria dell’attuale papa è lineare. La maggior parte delle sue azioni portano a ottenere, utilizzare, mantenere o aumentare il potere.

Questo va sottolineato, perché spesso l’accento viene posto su alcune contraddizioni concettuali nelle quali incorre. In altre persone ciò potrebbe significare profondi struggimenti interiori o tradimenti calcolati. Tuttavia, nel caso di Bergoglio, la contraddizione teorica non ha molta importanza. Oggi può dire qualcosa e nel giro di poco affermare, senza troppe difficoltà, un’idea incompatibile con quanto detto prima, purché tutto sia legato a un unico obiettivo. Lo sviluppo delle idee e degli ideali massonici può seguire la condanna dei massoni e, successivamente, dall’autorizzazione a uno stretto dialogo con loro. Alle critiche di certi “sinistri” (ricordiamo cosa disse riguardo al caso accaduto a Osorno, in Cile), fanno seguito il favore e la simpatia di molteplici personalità di sinistra. In realtà, per chi dà priorità agli obiettivi pratici, questa contraddizione è evidente. Per Francesco ciò che conta non sono le idee, ma le decisioni e le azioni. Non è un teorico, ma un politico. Qui si applica uno dei suoi famosi aforismi: “La realtà è superiore all’idea”. E Perón disse: “L’unica verità è la realtà”.

Da questa logica discende anche la sua idea della legge, che diventa un semplice strumento nelle mani di chi esercita il potere. Una visione che spiega alcuni comportamenti che irritano un giurista o che rispondono a concezioni giuridiche contrarie: ad esempio, cambiare le regole procedurali nel mezzo di un processo (ricordiamo che cosa è successo durante il processo al cardinale Becciu); difendere, a seconda dell’imputato, la prescrizione o l’imprescrittibilità di determinati atti criminali; ricevere o nominare giudici di garanzia limitando il diritto di difesa di alcuni imputati. Anche qui prevale il risultato pratico. Le norme giuridiche devono essere invocate quando si persegue un obiettivo specifico. Se ciò che si desidera non viene ottenuto dalla legge, si farà appello alla misericordia o si agirà come se la norma non esistesse. In ambito giudiziario si cercherà di neutralizzare la rischiosa indipendenza dei tribunali riducendo al minimo il loro funzionamento effettivo, a meno che non ci sia una certa garanzia di raggiungere il risultato desiderato. La legge, insomma, non può diventare un ostacolo, poiché è uno strumento di potere. A tal punto da veicolare la vendetta. Come diceva Perón, “per il nemico, neanche la giustizia”.

Ogni forte organizzazione intermedia è anche un ostacolo per chi esercita il potere supremo. Una fiorente – in senso lato – associazione cattolica prende le sue decisioni interne con relativa autonomia, motivo per cui, nella vita quotidiana, ha sui suoi membri un’influenza maggiore di quella del papa stesso. Pertanto, quando l’allineamento delle autorità delle organizzazioni ecclesiali con il potere vaticano è debole, l’azione quotidiana diventa, di fatto, un limite alla volontà papale. In questo contesto, gli interventi istituzionali (visite fraterne ai vescovi, commissariamenti delle congregazioni religiose o dei movimenti laicali) sono un modo importante per porre fine alla resistenza. Le decisioni papali non dovrebbero passare attraverso filtri intermedi. Coloro che non sono ancora stati commissariati si sottometteranno, per paura, alle istruzioni di chi detiene il potere. Nella stessa linea vanno intesi il potere di deporre i vescovi e il rifiuto della leadership vitalizie dei dirigenti delle associazioni cattoliche.

Anche all’interno della struttura ecclesiastica le posizioni inferiori dovrebbero avere la minore autorità possibile. La divisione tra autorità formale e potere reale nella gestione intermedia va in questa direzione. Un capo di dicastero può essere una figura meramente decorativa, perché il contatto diretto con il papa è tenuto da un subordinato del dicastero e non dal prefetto. Quel subordinato controlla il suo capo, che si ritrova in una situazione scomoda. Il risultato pratico è che le autorità infra-papali tendono a decidere meno, ad attuare le risoluzioni papali o a portare avanti solo quelle politiche che sanno con certezza avere la massima approvazione.

Le procedure danno inoltre all’organizzazione un controllo sulla situazione che può essere frustrante per chi esercita il potere supremo. Se un papa deve scegliere un vescovo da una terna di nomi che riceve dalle nunziature, diventa ostaggio della struttura. Qualcosa di simile accade con le beatificazioni e le canonizzazioni. Quindi, tralasciando procedure, segni esteriori di autorità o protocolli e cerimonie, si tratta di dimostrare che chi detiene il potere non si sottomette a nulla. E questo si traveste da efficacia, da liberazione dei segni del passato o da rinuncia a forme inutili.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda la ricompensa del merito. Non esistono sedi cardinalizie, poiché queste condizionerebbero l’elezione papale. Un beneficio ricevuto dal papa non dovrebbe fondarsi su un diritto; al contrario, la sua origine risiede nella volontà del sovrano. Quanto più eccentrica sarà la decisione, tanto maggiore sarà il debito che il prescelto avrà nei confronti del papa.

Inoltre, nessuna situazione è definitiva. Colui che oggi viene promosso cardinale potrebbe presto essere escluso dal collegio cardinalizio. Tutto è provvisorio. La continua paura di perdere improvvisamente i benefici è un ottimo strumento di sottomissione.

Quando la questione è difficile o complicata, la responsabilità viene trasferita a realtà e organismi impersonali. Un primo esempio è l’insistenza di Francesco nell’affermare che la politica da lui portata avanti si limita a seguire quanto deciso dai cardinali in conclave. Le commissioni nominate successivamente consentono di adottare o rinviare una decisione, trasferendo il costo politico su una realtà impersonale. Con un vantaggio in più: lui acquisisce la reputazione di democratico e di dirigente che ha la saggezza di agire seguendo il consiglio degli esperti.

Disagio per l’eccellenza

La seconda caratteristica è il disagio nei confronti dell’eccellenza. In Francesco non c’è disprezzo per il denaro né desiderio di austerità. Prova invece resistenza o disagio rispetto a tutto ciò che è espressione di qualità.

Le applicazioni sono varie. Vive a Santa Marta, perché si sentirebbe a disagio in uno spazioso appartamento vaticano; inoltre, non vuole essere isolato, il che implicherebbe una perdita di potere (per inciso, il luogo in cui vive è un’area apposita per le richieste al sovrano, effettuate informalmente). La sua liturgia è tutta low cost. Usa ornamenti liturgici brutti, perché si sente a suo agio nell’indossarli. Le stole di qualità sono pesanti e scomode. Le sue vecchie scarpe sono confortevoli, mentre quelle nuove stringono. Non è andato al concerto che hanno preparato in suo onore, perché non gli piace ascoltare quel tipo di musica.

Anche se il tentativo è di promuovere l’idea di essere esempi di austerità, è chiaro che non è un problema di soldi. Se il criterio generale fosse l’austerità, questo verrebbe proiettato sul resto delle decisioni. Tuttavia non vi è alcuna difficoltà economica nel portare a Roma musicisti latinoamericani di bassa qualità o docenti mediocri. Non c’è nemmeno un problema di soldi per quanto riguarda le enormi spese delle Giornate mondiali della gioventù o i tanti incontri di ogni genere che si svolgono in Vaticano.

Ma il suo rifiuto della qualità va camuffato. Così, vivere a Santa Marta viene spiegato come un esempio di austerità o come mezzo per raggiungere l’equilibrio psicologico. Tutto il suo abbigliamento – compreso quello liturgico – deve apparire come manifestazione di semplicità e povertà. Il suo rifiuto di assistere al concerto viene mostrato come un rifiuto dello sfarzo rinascimentale.

Anche il suo modo di agire è la dimostrazione che il raggiungimento di obiettivi importanti non richiede strumenti di qualità. Un cambiamento rilevante nella disciplina o nella liturgia della Chiesa può essere realizzato con un testo privo di spessore teologico. Un segno di potere è che intellettuali seri siano costretti ad analisi ponderate su mediocri documenti che non le meritano. Un trionfo ufficiale della volgarità sulla qualità.

Priorità della tattica rispetto alla strategia

Potremmo anche dire così: anteporre il breve termine al lungo termine. La vita è breve. Il lungo termine è qualcosa di molto lontano e le decisioni i cui effetti influenzano davvero l’intensità del potere e la popolarità di un governante che entra in carica in età avanzata sono quelle prese con effetti a breve termine.

Ecco che le decisioni a cui il papa dà priorità sono quelle immediate. Sul piano tattico il papa cercherà di non rinunciare a nessuna decisione. A lui sono riservate la nomina dei suoi veri collaboratori, l’influenza nei processi elettorali immediati, l’attuale consenso dei media, la gestione economica che ritiene decisiva, le operazioni politiche che lo interessano. In generale, il papa deve avere la possibilità di intervenire, se lo desidera, in qualsiasi tipo di decisione.

La stampa allineata sostiene la narrazione di un papa riformatore, che opera cambiamenti irreversibili in tutti gli ambiti della Chiesa. E quelli che si oppongono sono i conservatori minoritari, ma potenti, ancorati a strutture sorpassate da cui traggono vantaggio. La continua produzione di aspettative di cambiamenti drastici, che si concludono sistematicamente con topolini partoriti dalla montagna, è un po’ noiosa. Quindi periodicamente devono manifestarsi nuovi nemici, ci deve essere l’attesa di gesti sorprendenti e grandi cambiamenti, la cui pubblicità mantiene viva l’importanza del leader.

Anche l’enfasi sulla tattica è un problema di limitazione, comune alla maggior parte degli esseri umani. Sono pochi gli uomini capaci di decisioni che lasciano un segno profondo e duraturo. La maggior parte di noi è mediocre: agiamo secondo le nostre possibilità.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: Francisco y el peronismo global

Traduzione di Valentina Lazzari

 

Aldo Maria Valli:
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