Sulla sentenza Medina contro Planned Parenthood. Purtroppo, non una vittoria per la vita

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

l’approssimazione con cui politica e stampa commentano le decisioni della Suprema Corte degli Stati Uniti è disarmante.

Mi riferisco, questa volta, alla sentenza Medina vs Planned Parenthood che, secondo la maggior parte dei commentatori, avrebbe bloccato i finanziamenti pubblici Medicaid (il programma federale sanitario degli Stati Uniti che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglie con basso reddito salariale) a Planned Parenthood, la più grande associazione per i diritti riproduttivi negli Stati Uniti, nota per la sua attività in favore di pratiche abortive.

Anche Trump ha commentato la notizia sostenendo che gli americani non dovrebbero essere costretti a violare la propria coscienza e la loro libertà religiosa nel vedere le loro tasse finanziare aborti e dichiarandosi felice per il fatto che la Corte Suprema avrebbe riconosciuto questa posizione.

In realtà la Corte Suprema non si è espressa affatto sulla legittimità/illegittimità di finanziamenti pubblici erogati a enti che supportano pratiche abortive ma ha affrontato essenzialmente il tema se i beneficiari del Medicaid possano citare in giudizio funzionari statali “for failing to comply with the any-qualified-provider provision” (“per non aver rispettato la disposizione relativa a qualsiasi fornitore qualificato”).

Tutto nasce dalla legge statale della South Carolina del 2018 che ha vietato fondi pubblici per l’aborto e ha impedito a Planned Parenthood di beneficiare dei fondi del programma federale Medicaid di quello Stato. Planned Parenthood e la paziente Julie Edwards hanno fatto causa, affermando che l’esclusione di Planned Parenthood avrebbe violato “la disposizione relativa a qualsiasi fornitore qualificato”, cioè la disposizione che consentirebbe al paziente di scegliere presso chi farsi curare. I primi due gradi di giudizio hanno dato ragione ai ricorrenti.

La Corte Suprema non si è pronunciata sul merito della legge del South Carolina, ma ha sottolineato che la legge federale sul Medicaid non conferisce diritti individuali chiaramente e inequivocabilmente tali da poter essere fatti valere direttamente dai beneficiari (come invece, ad esempio, il Federal Nursing Home Reform Act, che conferisce ai residenti delle case di cura il diritto di scegliere i propri medici curanti). Quella legge federale, infatti, impone doveri agli Stati, ma non crea diritti azionabili dai singoli cittadini; tanto più se lascia margini di discrezionalità ai singoli Stati non dando una definizione di “fornitore qualificato” e, ad esempio, consentendo ai richiamati Stati di escludere dai fornitori qualificati quelli con precedenti penali. Ne consegue che ove la legge statale non rispetti i criteri fissati dalla legislazione federale, il solo rimedio consentito è il taglio dei fondi da parte del governo federale e non l’azione diretta dei beneficiari.

In definitiva, spetta al Congresso e non ai giudici creare nuovi rimedi (inclusa la possibilità di consentire ai singoli di agire direttamente contro gli Stati) se quelli esistenti si rivelano insufficienti.

Si tratta, allora, di una decisione che certamente conferma il blocco dei finanziamenti (in South Carolina) in favore di Planned Parenthood, ma per ragioni meramente procedurali. Nulla vieta agli altri Stati di confermare quei finanziamenti a qualsiasi ente abortista e soprattutto nulla vieta al governo federale (forse non oggi con Trump, ma domani con un’amministrazione democratica o comunque favorevole all’aborto) di bloccare i finanziamenti Medicaid agli Stati che decidano di “discriminare” gli enti abortisti rispetto agli altri.

Insomma, al netto delle esultanze ideologiche e delle indignazioni di maniera, la sentenza non dice ciò che molti sperano o temono: non è una vittoria per la “vita” perché l’aborto è un male né una sconfitta per il “diritto di scelta”. È solo l’ennesimo rinvio a un legislatore che tutto può.

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Nella foto, attivisti che si oppongono ai finanziamenti per Planned Parenthood manifestano davanti alla Corte Suprema durante l’ udienza del caso Medina contro Planned Parenthood.

 

 

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