Quella parrocchia nel campo profughi

“Siamo solo due preti qui, e riuscire a servire tutti i fedeli è una sfida”. Padre Augustine Kharmuti non nasconde le difficoltà, ma è più che mai determinato ad andare avanti. Salesiano, opera  nella parrocchia di Santa Croce, che è davvero speciale, perché è la sola al mondo collocata all’interno di un campo profughi, quello di Kakuma, nella Contea di Turkana, nord-ovest del Kenya.
Il campo ospita circa 182 mila rifugiati provenienti da Sud Sudan, Sudan, Uganda, Burundi, Rwanda, Repubblica Democratica del Congo ed Etiopia, e padre Augustine dirige il Don Bosco Technical Institute, che offre formazione professionale ai rifugiati: carpentiere, elettricista, saldatore, sarto, stilista, meccanico di autoveicoli, segretaria, oltre a corsi di computer e di inglese.
“Formiamo dai tremila ai tremiladuecento studenti ogni anno e accogliamo da cinquecento a seicento fedeli ad ogni messa”, racconta il missionario all’agenzia Fides. Nonostante  l’aiuto di due catechisti e di tre suore, per i due religiosi far fronte alla mole di lavoro è ogni giorno una sfida al limite delle possibilità umane: l’afflusso di nuovi rifugiati, specie dal Sud Sudan, è costante e per questo padre Augustine chiede sostegno sia alla Chiesa sia al governo, per migliorare la qualità dell’istruzione e per formare un numero maggiore di studenti.

Per i rifugiati il campo è l’unico luogo sicuro in cui vivere: qui trovano alloggio, assistenza sanitaria, acqua potabile e servizi igienici. I giovani che vi risiedono sono spesso in condizioni più che precarie, senza prospettive per il futuro. Traumatizzati da esperienze di povertà e violenza, hanno perso speranza e fiducia in loro stessi e negli altri.

“Il nostro è l’unico centro di formazione tecnica presente nel campo”, spiega don Luca Mulayinkal, direttore dell’opera salesiana. “Alla fine degli studi gli allievi conseguono un certificato governativo che ha un grande valore per i rifugiati”.

Considerato che il flusso di profughi appare inarrestabile, i missionari salesiani si sono posti l’obiettivo di riaprire un secondo centro di formazione tecnica che era stato chiuso nel 2008, quando la popolazione del campo si era ridotta a  circa ventimila persone perché molti rifugiati avevano potuto far ritorno alle loro case.

Molti gli studenti che devono svegliarsi all’alba e percorrere chilometri a piedi per arrivare al Centro Don Bosco, ma è un sacrificio che affrontano volentieri. La lista d’attesa è lunga, ma i salesiani al momento non possono soddisfare tutte le richieste.

I salesiani si occupano anche del programma Helping Children to be Children (Aiutare i bambini ad essere bambini), iniziativa che mediante giochi, lezioni tenute all’aperto, corsi di disegno e di lingua inglese sta cercando di migliorare le condizioni di vita di oltre tremila bambini. Il programma, gestito da volontari, non può contare su finanziamenti stabili. Quando la generosità dei donatori fa arrivare dei fondi, oltre all’istruzione viene fornito un altro tipo di supporto: cibo per gli allievi e le loro famiglie.

Aldo Maria Valli, Nuovo progetto, febbraio 2016

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