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“Swing Low, Sweet Chariots” non va più cantata a Twickenham. Quando il “politically correct” esagera

Chiunque conosca e ami il rugby a quindici certamente conosce lo stadio londinese di Twickenham, il tempio del rugby inglese, dove la nazionale gioca le partite interne. E chiunque conosca Twickenham certamente conosce Swing Low, Sweet Chariot, l’inno non ufficiale della formazione inglese, una canzone che puntualmente si alza dalle gradinate ogni volta che la squadra sta dimostrando la sua superiorità nei confronti degli avversari oppure, trovandosi in difficoltà, ha bisogno di essere rincuorata.

Swing Low, Sweet Chariot è uno spiritual degli afroamericani del diciannovesimo secolo, una canzone che apparentemente non ha alcun legame con il rugby ma alla quale i tifosi inglesi si sono affezionati da quando – così si racconta – alcuni di loro la cantarono nel 1987 in onore di Martin Offiah, primo giocatore di colore a indossare la maglia della nazionale inglese nei tempi moderni, dopo il precedente di James Peters nel 1907.

Essendo Offiah velocissimo, fu chiamato Chariot Offiah prendendo spunto dal film Chariots of fire (da noi Momenti di gloria), dedicato agli universitari di Cambridge che si allenarono per le Olimpiadi del 1924. Di qui l’idea di cantare per lui Swing Low, Sweet Chariots. Canzone che tornò a farsi sentire dalle tribune di Twickenham il 19 marzo del 1988, per la partita Inghilterra – Irlanda, questa volta in onore di un altro giocatore di colore, Chris Oti, che quel giorno, nella squillante vittoria degli inglesi per 35 a 3, segnò ben tre mete.

Ad assistere alla partita c’erano alcuni studenti della Douai School, una scuola gestita dalla comunità benedettina dell’Abbazia di Douai a Woolhampton (istituto che sarà poi chiuso nel 1999) e pare che furono loro, appunto in onore di Chris Oti, a intonare dalle tribune Swing low, Sweet Chariot, canto in uso nella scuola.

Ma che cosa dice il testo? Eccolo qui.

Swing low, Sweet Chariot / Coming for to carry me home / Swing low, Sweet Chariot / Coming for  to carry me home.

I looked over Jordan and what did I see / Coming for to carry me home / A band of angel coming after me / Coming for to carry me home.

Dondola carro dolce, arriva per portarmi a casa / Dondola carro dolce, arriva per portarmi a casa / Guardai oltre il Giordano e che cosa vidi / Arriva per portarmi a casa / Una schiera di angeli viene per me / Arriva per portarmi a casa.

If you get there before I do / Coming for to carry me home / Tell all my friends I’m comin’ too / Coming for to carry me home.

Se sei venuto qui prima di me / Arriva per portarmi a casa / Di’ ai miei amici che sto arrivando anch’io / Arriva per portarmi a casa.

La canzone risale al 1862 ed era cantata dagli schiavi nelle piantagioni, ma ebbe un ritorno di fiamma negli anni Sessanta del secolo scorso, quando fu interpretata nell’ambito delle lotte per i diritti civili.

Secondo alcune fonti, il canto nacque per consolare una schiava sconvolta, che aveva saputo che sarebbe stata trasferita in un’altra piantagione e quindi separata dalla figlia, ma in proposito non c’è nulla di sicuro. Certo è invece che la struttura del canto è tipica degli spiritual delle piantagioni, con quella strofa, Coming for to carry me home, ripetuta in continuazione secondo lo schema call-and-response delle canzoni di lavoro, che servivano anche per dare il ritmo durante la raccolta.

Ora, dopo le proteste del movimento Black Lives Matter, in seguito alla morte di George Floyd a Minneapolis, la Federazioni rugby inglese sta pensando alla possibilità di bandire Swing Low, Sweet Chariot a causa “dei suoi legami con lo schiavismo” e perché occorre “accrescere la consapevolezza circa le origini della canzone”.

Venuto a conoscenza degli scrupoli della Federazione, l’ex giocatore Martin Offiah ha fatto sapere che secondo lui non è il caso di bandire una canzone che è ormai diventata a tutti gli effetti l’inno dei tifosi inglesi. “Proprio quando la vuoi mettere al bando, diventa più divisiva”, ha detto Offiah. Ma la federazione replica: “La canzone Swing Low, Sweet Chariot, pur essendo parte della cultura del rugby, è cantata da molti che non sono consapevoli delle sue origini. Stiamo quindi rivedendo il suo contesto storico e ripensando il nostro ruolo nell’educare i tifosi a prendere decisioni informate”.

Da parte sua, Maro Itoje, attuale nazionale inglese di origini nigeriane, commenta: “Credo che nessuno a Twickenham abbia mai cantato Swing Low, Sweet Chariot con cattive intenzioni”.

Contrario alla proibizione si è detto anche il primo ministro britannico Boris Johnson.

Che dire? A volte il politically correct è talmente esagerato da sfociare in un’ossessione.

Ricordo che nel 1994, quando in Sudafrica venne lanciata l’idea di eliminare dalla maglia della nazionale di rugby il simbolo degli Springboks, perché avrebbe potuto ricordare l’epoca dell’apartheid, il presidente Nelson Mandela si oppose e, addirittura, volle indossare la maglia verde degli “odiati” Springboks per la finale della Coppa del Mondo di rugby organizzata e vinta dal Sudafrica. Ma Mandela era un uomo saggio e coraggioso.

Aldo Maria Valli

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Nella foto, Martin Offiah in una partita contro l’Australia nel 1995 (EMPICS Sport).

 

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