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Dati fuorvianti per giustificare le restrizioni e rafforzare la narrazione del governo

Il caso: fra luglio e novembre 2021, fino a tre su quattro decessi riportati nei bollettini ufficiali potrebbero essere “falsi” morti Covid.

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di Mario Menichella

Si possono fornire dei dati epidemiologici formalmente corretti ma totalmente fuorvianti? Sì, ed è quello che purtroppo le autorità sanitarie italiane hanno fatto da quando è in atto la campagna vaccinale, per alimentare e potenziare la narrazione sul vaccino “proiettile d’argento” (cioè unica arma contro il coronavirus) e sul Green Pass “libera-tutti” (salvo esserlo, come abbiamo visto tutti, solo sulla carta).

I trucchi che si possono usare per realizzare l’obiettivo suddetto sono numerosi, e ben noti agli addetti ai lavori; ma uno dei più semplici e comuni è quello di aggregare i numeri in modo tale da nascondere il tipo di dato che effettivamente interessa. E questo espediente di bassa lega è stato – e viene tuttora – usato in Italia, facendo “imbufalire” (nelle conversazioni in privato) esperti indipendenti ed epidemiologi, nel comunicare i dati ufficiali relativi al: (1) numero di casi positivi al Covid-19; (2) numero di ricoveri per Covid-19; (3) numero di morti per Covid-19. Ma vediamo perché questo modo di fare è assai scorretto.

I dati fuorvianti sui casi giornalieri di positivi al Covid-19

Dall’inizio del 2021 – quindi, sostanzialmente, in coincidenza con l’inizio della campagna vaccinale anti-Covid in Italia – per il conteggio dei casi di positivi al Covid-19 sono stati affiancati ai tradizionali tamponi molecolari (che utilizzano la sensibilissima tecnologia di amplificazione Polymerase Chain Reaction) i tamponi antigenici, meno sensibili e affidabili ma assai più economici e veloci nel fornire un risultato. Ciò, però, come ora vedremo, ha falsato ulteriormente il conteggio dei positivi reali.

Infatti va premesso che già prima dell’introduzione dei tamponi antigenici i casi positivi indicati nei bollettini ufficiali giornalieri non erano il numero di reali nuovi casi positivi, come un ingenuo cittadino si aspetterebbe, bensì un numero “arlecchino” che ne rappresentava sostanzialmente una parodia. Infatti, i tamponi positivi conteggiati erano la somma di: (1) quelli dei positivi asintomatici, (2) quelli dei positivi sintomatici e (3) quelli, ripetuti successivamente e risultati positivi, dei quarantenati. Difatti, per uscire dalla quarantena, erano inizialmente necessari due tamponi molecolari negativi.

Naturalmente, il dato che interessava davvero da un punto di vista epidemiologico (oltre che per un raffronto più corretto con i dati storici precedenti) era quello dei realmente nuovi positivi sintomatici, dato che è una piccola frazione di questi soggetti che può sviluppare forme più gravi della malattia; tanto è vero che l’Oms dovette insistere per far sì che si facessero i tamponi solo ai sintomatici. Per cui, il conteggiare anche gli asintomatici ed i tamponi positivi dei quarantenati ha gonfiato artificialmente il numero dei positivi in Italia. Ma all’epoca ciò andava benone, perché in fondo era nell’interesse del governo creare uno stato di maggior paura nella popolazione per giustificare le pesanti restrizioni imposte.

Poi, con l’avvento dei tamponi antigenici e l’inizio della campagna vaccinale, la situazione è ulteriormente peggiorata, poiché i dati forniti dai tamponi molecolari e quelli forniti dai tamponi antigenici sono assai disomogenei fra loro, pertanto le statistiche sono “saltate” e un confronto serio fra i dati del 2021 e quelli del 2020 è complesso. Vi è, inoltre, la seguente questione numerica. Se dico che ho fatto cento esami, includendo solo i molecolari, e ho cinque positivi, ho un tasso di positività del cinque per cento. Se nel numero complessivo aggiungo ai cento tamponi molecolari cinquanta test antigenici e ho cinque positivi, il tasso di positività crolla. Non un’inezia, perché questo è uno dei parametri che si valutano per adottare misure restrittive.

Dunque, all’inizio del 2021, alle autorità sanitarie si è presentata l’occasione, che non si sono fatta sfuggire, di andare nella direzione opposta, cioè di far sembrare che con i vaccini le cose andassero meglio – in pratica, che l’incidenza dei positivi fosse più bassa – semplicemente sommando, nel computo totale dei tamponi fatti, tutti quelli antigenici e tutti quelli molecolari (compresi quelli fatti solo per confermare la positività trovata dal tampone antigenico). Ad oggi, sono stati fatti in Italia oltre 151 milioni di tamponi (con una media di circa 3 per ogni soggetto testato), di cui il 49,3 per cento antigenici, abbassando non poco l’indice di positività con tale trucchetto; ma né i media né le “virostar” hanno mai eccepito nulla.

Come se ciò non bastasse, l’introduzione del Green Pass ha introdotto un’ulteriore distorsione statistica (o bias, in gergo), in quanto ad essere tamponati sono stati per mesi soprattutto i non vaccinati, che necessitavano del tampone per accedere a determinati luoghi o attività. Quindi, il dato ufficiale sui positivi in Italia è un dato aggregato e distorto che ormai rappresenta solo in parte il numero che realmente interessa sia dal punto di vista epidemiologico sia per poterlo correttamente confrontare con i dati del passato e del futuro: quello dei nuovi positivi giornalieri sintomatici, dato anche che con l’endemizzazione del virus si andrà sempre più verso il “tamponamento” principalmente dei sintomatici.

Infine, come una ciliegina sulla torta, la forte impennata nel numero di tamponi giornalieri che si è avuta in Italia a partire dal 15 ottobre, quando è partito l’obbligo del Green Pass per entrare al lavoro, ha fatto sì che il numero assoluto di positivi sia cresciuto di molto in parte anche per questo motivo, poiché è evidente che più gente viene testata e più è probabile scoprire dei positivi; ragion per cui il dato che le autorità ed i media dovrebbero comunicare al grande pubblico dovrebbe essere non il numero assoluto di positivi bensì, piuttosto, il rapporto fra i nuovi casi giornalieri ed i tamponi giornalieri effettuati. Inoltre, la correttezza scientifica imporrebbe di fornire anche i dati disaggregati dei sintomatici e degli asintomatici.

Il numero giornaliero di positivi al Covid, di tamponi effettuati e relativo rapporto percentuale dall’inizio della pandemia in Italia a oggi

I dati fuorvianti sulle ospedalizzazioni giornaliere per Covid-19

Come è ben noto, nei dati giornalieri ufficiali sulle ospedalizzazioni per Covid-19 sono inclusi anche gli asintomatici e gli ospedalizzati per altre patologie non collegate al Covid. Ciò, soprattutto in una fase come quella attuale – in cui il virus circola in misura elevata ma nella maggior parte dei casi è innocuo come l’influenza – finisce per falsare assai fortemente il dato sulle ospedalizzazioni che sono realmente per Covid. Di conseguenza, non solo non si sa quanti siano i veri malati di Covid ricoverati, ma non è neppure possibile un confronto con i dati precedenti relativi, invece, a periodi di bassa circolazione virale.

Una recente ricerca della Fiaso (Federazione Aziende Sanitarie e ospedaliere), ha rivelato come ben il 34 per cento dei positivi ricoverati venga in realtà ospedalizzato per curare tutt’altro. In altre parole, secondo questo studio svolto sui ricoverati del 5 gennaio in 6 grandi aziende ospedaliere italiane, oltre uno su tre degli ospedalizzati ufficiali per Covid in realtà non è affatto malato di Covid, perché essere positivo non significa essere malato. Curiosamente, però, né l’Istituto Superiore di Sanità né il Ministero della Salute hanno ritenuto di scorporare il dato complessivo, che risulta “inquinato” in maniera così eclatante.

Secondo la Fiaso, “un paziente su tre, sia pure con infezione accertata al virus Sars-CoV-2, viene ospedalizzato per curare tutt’altro: traumi, infarti, emorragie, scompensi, tumori”, mentre i malati di Covid mostrano segni clinici, radiografici e laboratoristici di interessamento polmonare. Inoltre, va sottolineata la differenza di età tra i due gruppi di degenti positivi, come rilevata dalla ricerca della Fiaso. I pazienti ricoverati per il Covid sono molto più anziani e hanno in media un’età di 69 anni, mentre i soggetti contagiati privi di sintomi e ricoverati per altre patologie hanno in media 56 anni.

Per questo motivo, le Regioni hanno chiesto (anche per evitare di passare in zone “colorate” di arancione o di rosso) di non conteggiare come ricoverati per Covid gli ospedalizzati per patologie non-Covid, ed anche le “virostar” con il quadro clinico reale davanti agli occhi frequentando le corsie di ospedale, come il dottor Matteo Bassetti, hanno cercato di sollevare il problema. Ma le autorità sanitarie italiane – e l’immancabile codazzo di stakeholders, guidato da chi ha una visibilità in tv solo perché fornisce “numeri” – hanno fatto orecchie da mercante, trincerandosi dietro la giustificazione che “ogni ricoverato positivo costringe le strutture ad approntare spazi e percorsi separati”.

Peccato, però, che proprio perché la Omicron è ormai nota avere una pericolosità reale pari o inferiore a un’influenza (come vedremo, dati alla mano, in un futuro articolo), un simile ragionamento non è più giustificato, visto che in passato non si sono mai visti spazi e percorsi separati per chi è influenzato. Ma l’errore grave che va rimproverato alle autorità sanitarie non è questo – dato che una scelta di cautela per altre 3-4 settimane ci può stare – bensì il fatto di non fornire poi separatamente i numeri dei ricoverati realmente per Covid e quelli dei pazienti risultati positivi ma ricoverati per altre patologie.

Per fortuna la Lombardia – che conta il maggior numero di ricoverati positivi in terapia intensiva e nei reparti ordinari – ha fatto da capofila alle altre Regioni nel chiedere al Ministero della Salute di non conteggiare come ricoveri Covid i pazienti ospedalizzati per altre patologie e poi risultati positivi. Da alcuni giorni, la Lombardia fornisce ancora il numero totale dei ricoverati positivi ma è in grado di distinguere quali afferiscono direttamente a una patologia Covid-dipendente (polmoniti e gravi insufficienze respiratorie) e quali no. E, naturalmente, si spera che le altre Regioni siano pronte a seguirla.

I dati fuorvianti sui morti giornalieri per Covid-19

E ora arriviamo al dato epidemiologico più importante, quello dei morti per Covid. Qui starete forse pensando “ok, con i dati dei positivi e degli ospedalizzati abbiamo scherzato, ma almeno questi saranno corretti”. E invece no! Qui i problemi dei dati forniti dalle autorità sanitarie sono, se possibile, ancora più gravi e numerosi. Il primo è che i dati ufficiali sono sicuramente “gonfiati”, innanzitutto perché vengono conteggiati nei morti giornalieri non solo i morti per il virus ma anche i morti con il virus.

A questo proposito, per la serie “due pesi e due misure”, va sottolineato il fatto che, per quanto riguarda le morti segnalate ai database degli effetti avversi, avviene esattamente il contrario: cioè, come spiegato già diversi mesi fa dal prof. Paolo Bellavite, l’AIFA usa un algoritmo di farmacovigilanza validato dall’OMS che è viziato da un grosso difetto metodologico, per cui in pratica permette di assolvere tranquillamente i vaccini ogni volta che si trovano “altre cause” per la morte. Ma, come spiega Bellavite, “questo criterio è fonte di molteplici errori se la cosiddetta ‘altra causa’ è una malattia che potrebbe essere peggiorata dal vaccino, cioè se esiste un’interazione tra vaccino e patologia sottostante. Tale interazione non è un’eccezione, ma piuttosto una regola quando si tratta di malattie infiammatorie e del sistema immunitario”.

Inoltre, due persone i cui parenti si trovano all’interno della mia cerchia di conoscenze sono morte, rispettivamente, in un noto ospedale milanese e in un ospedale del Trentino-Alto Adige, entrambe per patologie che nulla avevano a che fare con il Covid, tanto che il loro tampone PCR è risultato negativo. Nonostante ciò, i due ospedali volevano attribuire la loro morte al Covid, fermandosi solo dinanzi alla minaccia di denuncia da parte dei familiari delle vittime. Un ex dirigente medico di un’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) mi ha poi confermato, in privato, che gli ospedali ricevono dei rimborsi ben più alti se in terapia intensiva muore un malato per Covid, il che – evidentemente – spiega tutto.

Del fatto che “qualcosa non torni” se ne è accorto anche il prof. Andrea Crisanti, che nel talk show Accordi e disaccordi del 14 gennaio ha così commentato il dato fornito dal conduttore sul numero di posti di terapia intensiva occupati per Covid in Italia, pari a 1679: “Una persona rimane in terapia intensiva circa venti giorni e ha una probabilità di decesso per Covid del 50 per cento circa. Ciò significa che ogni venti giorni muoiono 800 persone, ovvero quaranta persone al giorno. Allora dove muoiono le altre trecento persone? Lo vorrei chiedere, perché per trasparenza vorrei saperlo”. “Quindi lei vuol dire che ci sono persone annoverate come morti di Covid che sono al di fuori della terapia intensiva?”, ha domandato il conduttore Sommi. “Certo, la matematica non è un’opinione, si vede in un attimo che è così”, ha risposto Crisanti.

Ma quindi quanti sono, in percentuale, i “falsi” morti per Covid presenti nelle statistiche ufficiali delle autorità sanitarie italiane? La questione è fondamentale, dal momento che proprio su questi dati ci si è basati per imporre restrizioni senza precedenti in un Paese democratico. Poiché effettivamente risulta che la mortalità in terapia intensiva dei malati Covid, in Italia, è compresa fra il 40 e il 60 per cento, per avere una stima del numero di falsi morti per Covid basta contare il numero cumulativo di ricoverati in terapia intensiva in un periodo di tempo molto ampio, dividerlo per due per avere il numero di morti atteso e confrontarlo con il numero di morti per Covid ufficiali nello stesso periodo ma sfasato di circa dieci giorni, che è la mediana di una degenza in terapia intensiva (fino a novembre, prima della variante Omicron).

I risultati preliminari di un’analisi molto approfondita che sto preparando sull’argomento mostrano che, in un periodo di circa cinque mesi fra luglio e novembre 2021, i morti ufficiali per Covid sono stati ben 3,8 volte quelli attesi sulla base dei ricoveri in terapia intensiva! In un analogo periodo dell’anno precedente, il 2020 (quindi prima dell’avvento dei vaccini), erano stati invece 2,7 volte quelli attesi, il che è alquanto curioso perché ci si sarebbe aspettato di avere il valore più alto nel 2020, non nel 2021. Dunque un risultato clamoroso, quello degli ultimi mesi, che è circa la metà della stima, per sua natura rozza, fatta con i dati di Crisanti: infatti, se – come dice lui – le morti attese dalle terapie intensive sono quaranta al giorno e quelle ufficiali circa trecento, vorrebbe dire che queste ultime sarebbero 300 : 40 = 7,5 volte quelle attese.

Pertanto, i dati ufficiali, se analizzati opportunamente, paiono mostrare che i morti reali per Covid sono compresi fra 1 su 4 (sostanzialmente sono stati circa il 26 per cento del totale, nella seconda metà del 2021) ed 1 su 3 (circa il 37 per cento del totale, nella seconda metà del 2020). I morti ufficiali restanti (ovvero il 60-75 per cento del totale) non sono morti in terapia intensiva e sono, molto verosimilmente – non essendoci altre possibili spiegazioni (se non per un 5-10 per cento di essi) – “falsi” morti Covid, cioè morti per altre patologie ma (a) positivi al tampone (morti con il Covid, non per il Covid) oppure (b) con tampone negativo ma fatti passare come morti Covid per avere rimborsi più alti dal SSN. La figura seguente riassume e chiarisce meglio la situazione.

Circa 3 morti ufficiali su 4 per Covid, in un arco di 5 mesi nella seconda metà del 2021, sono morti fuori dalle Terapia Intensive, secondo una semplice analisi dei dati diffusi dall’ISS nei suoi Bollettini periodici. Evidentemente c’è “qualcosa che non torna”, per usare un gentile eufemismo

Questa evidente anomalia italiana, peraltro, pare essere confermata dal confronto con altri Paesi. Il 17 gennaio Matteo Bassetti, ospite di Myrta Merlino a L’Aria che tira su La7, incalzato dalla conduttrice, ha spiegato perché in Italia il numero di morti da Covid sia sempre così alto, marcando così una differenza enorme con gli altri Paesi:

“Nel modulo con cui si referta la morte di un paziente, se il medico scrive ‘positivo’ al tampone, automaticamente purtroppo viene classificato come un decesso avvenuto per Covid. Questo è un argomento che dovrebbe essere affrontato, bisogna capire quanti di quei decessi siano realmente collegati alla polmonite da Covid e quanti invece ad altre problematiche”.

Ora una prima stima iniziamo ad averla; le autorità, quindi, dovrebbero fornire dei chiarimenti sul tema.

In conclusione, credo che risulti chiaro come il fornire dati solo in forma aggregata e, nel caso dei morti, non sottoposti a verifiche da parte di ispettori ministeriali, faccia sì che i dati ufficiali sul Covid forniti dalle autorità siano, nella migliore delle ipotesi, una caricatura della realtà (è il caso dei nuovi positivi e delle ospedalizzazioni), e nella peggiore diano un quadro del tutto falsato (è il caso dei morti). Poiché, però, le restrizioni della libertà dei cittadini sono prese sulla base di tali dati aggregati, è fondamentale che: (1) essi siano dettagliati anche in forma disaggregata e (2) che vengano fatte delle verifiche del numero di morti effettivi per Covid da parte di soggetti terzi indipendenti. Giustificare le pesanti misure adottate sulla base della scienza mi pare, quindi, inappropriato: la scienza vera è un’altra cosa, ed è più seria.

Fonte: atlanticoquotidiano.it

 

Aldo Maria Valli:
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