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Riscoprire il distributismo. Per una vita buona

di Squalo

Secondo la rivista letteraria settimanale britannica The Times Literary Supplement, nella classifica dei cento libri più influenti dopo la Seconda guerra mondiale troviamo Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, di Ernst Friedrich Schumacher, del 1973.

Il libro è una critica radicale al consumismo odierno, inumano perché autodistruttivo e perché, spingendoci a consumare e a volere sempre di più, conduce all’epoca della frenesia, la nostra, nella quale non solo consumiamo risorse in modo irresponsabile ma siamo sempre in lotta contro il tempo.

Per una vita buona il tempo deve essere un amico, non un avversario. La prova sta nel fatto che nella vita frenetica si sviluppano disagi e malattie che riguardano sia il corpo sia la mente. Ma vale veramente la pena vivere così, al solo scopo di soddisfare bisogni materiali indotti?

Come dice bene Schumacher, non è la ricchezza che ostacola la via della liberazione, ma l’ attaccamento alla ricchezza; non il godimento delle cose piacevoli, ma la brama di esse.

Ora domandiamoci: da dove originano la frenesia e il materialismo di oggi?

Le risposte possono essere tante, e certamente una sulla quale bisogna riflettere si trova nel lavoro di John C. Médaille Distributismo. Una politica economica di equità e di equilibrio, nel quale l’economista ci spiega come dal XVII e XVIII secolo abbiamo avuto un’inversione di marcia: dall’idea di bene comune siamo passati al concetto secondo cui “l’avidità e buona”, idea che troviamo per esempio in The fable of the bees or private vices, publick benefits (1714), in cui Bernard Mendeville sostiene che i vizi privati ​​creano benefici sociali.

Allora non sorprendiamoci se ogni giorno ci svegliamo nel nostro mondo malato di consumismo e siamo in guerra contro il tempo, tutti impegnati a massimizzare il guadagno per acquisire status e accumulare beni.

La via per uscire dalla frenesia? Una strada da pendere seriamente in considerazione è la creazione di comunità: associazioni volontarie di persone che, come nel Medioevo, condividono uno stile di vita. Per tornare a una dimensione di vita più umana occorre trasformare le relazioni sociali e queste vanno trasformate cambiando presupposti e obiettivi. Al posto del benessere materiale occorre mettere la fede in Dio e l’amore per la verità, veri motori della società. Allora sì che, fra l’altro, torneremo ad avere figli.

La bellezza della vita in comunità, associazione a misura d’uomo perché rivolta a Dio, è il risultato di un processo teso a soddisfare i bisogni umani veramente essenziali. La crescita diviene così, in automatico, crescita sostenibile, perché, al contrario di quanto avviene nell’economia capitalistica e consumistica, riconosce il limite.

Sicuramente il lettore starà dicendo: “Ma questo è un sogno. Viviamo in una società in cui tutto è contro questa idea di comunità”.

In mio aiuto arriva Hilaire Belloc (penso al libro Distributismo. La via d’uscita dallo Stato servile), con l’idea che, sulla base dell’esperienza benedettina, la proprietà dei mezzi di produzione deve essere ripartita nel modo più ampio possibile piuttosto che essere centralizzata sotto il controllo dello Stato (socialismo) o di pochi privati ricchi (capitalismo). Proposta che, sostenuta e sviluppata fra gli altri da G.K. Chesterton e da padre Vincent McNabb, se letta alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, in particolare dell’enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, può diventare qualcosa di più di un progetto da sognatori.

Usciamo dagli schemi che ci sono stati imposti e diventiamo protagonisti della creazione di un mondo veramente umano perché a immagine di Dio. Facciamolo vivendo in comunità che rimettano al centro ciò che conta davvero, tenendoci al riparo dalla frenesia che ci consuma.

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Aldo Maria Valli:
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