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Santità è purezza / Rileggendo san Giovanni Bosco. 2

di don Marco Begato

Natura della castità e castità di don Bosco

Che cosa intendiamo con castità? Sentiamolo dire dalle parole di don Bosco: “Un aborrimento a tutto ciò che è contro il sesto precetto; la virtù più splendida e insieme più delicata di tutte; una virtù celeste”.

E don Ricaldone afferma di don Bosco stesso: “Mi pare non sia stata ancora messa in tutta la sua luce la sua missione e il suo apostolato per la purezza della vita… nel cuore di lui avrebbe regnato un sovrano aborrimento di qualsiasi colpa e una passione ardente per la purezza del cuore”. Se volessimo tradurlo in termini moderni, don Bosco è stato il contraltare alla propaganda corrotta sulla sfrenatezza sessuale e la perversione. E questo ci ricorda un fatto semplice e forse oggi un po’ caduto in sordina: purezza e castità non si difendono da sé, ma chiedono testimoni che ne parlino e vi attirino i giovani e i meno giovani. Questa lettura della Strenna Santità è purezza vuole dunque essere un modo per accendere in molti il desiderio di farsi promotori della purezza e del fascino che essa comporta, per contrastare così la propaganda di quanti oggi inneggiano al suo opposto e convincono molti cuori innocenti a svendersi, spesso irrimediabilmente.

Il segreto della grandezza di don Bosco

Uno dei primi sermoni di don Bosco ai suoi primissimi soci Salesiani neo-professi è proprio sulla purezza. Ne fa memoria don Bonetti, ricordando le espressioni del Fondatore mentre trattava tali temi: “Non mi pare più un uomo, sibbene un angelo, quando viene a parlare di questa regina delle virtù”. Difficile immaginarsi un simile volto, se non lo si è incontrato di persona; penoso pensare a tanti contemporanei che non hanno avuto la fortuna di conoscere simili personaggi, ma che sono stati intrattenuti per anni solo dai volti compromessi di ben più infelici testimonial mediatici. Prosegue la testimonianza: “L’ho sentito parlare di questo argomento e sempre, una volta più dell’altra, sperimentai la forza delle sue parole e sentivami spinto ad ogni sacrificio per amor di così inestimabile tesoro”. E un altro pioniere della Congregazione, don Lemoyne, aggiunge: “Noi siamo persuasi che qui consiste tutto il segreto della sua grandezza… perché si mantenne sempre puro e casto”. E ancora colpisce il portamento del Santo: “L’aria angelica che traspariva dal suo volto aveva un’attrattiva tutta speciale per guadagnare i cuori. Non uscì mai dal suo labbro una parola che potesse dirsi meno propria”.

Qui si inizia a comprendere come mai all’oratorio di don Bosco germinarono tanti buoni cristiani, onesti cittadini e zelanti vocazioni, il santo “elettrizzava i suoi giovani” non con mezzucci moderni o compromessi inappropriati, ma con una vita intimamente pura e per questo piena di luce e di carisma affascinante e pacificante. Tale era il candore del Fondatore che lo si vedeva “piangere al pensiero che tale virtù potesse venire offesa”, al contrario si spendeva per far innamorare i giovani “di questa cara virtù, al punto che il suo volto raggiava di santa gioia”, cosicché appariva chiaro ai suoi studenti come “purità, bontà, santità, fosse tutt’uno”.

Come parlava della castità

Nell’ottobre del 1858 san Giovanni Bosco sosta sui castighi che colpiscono l’impurità e ad ogni episodio biblico ricorda come alcuni eletti vengono risparmiati dai castighi divini: Enoc, Lot, Noè, Giuseppe… “Perché Dio opera tanti prodigi in favore di costoro? Per la loro purità. Sì! La virtù della purità è tanto bella, tanto grata al cospetto di Dio che, in tutti i tempi, in tutte le circostanze, non lasciò mai senza protezione coloro che la possedevano”. E dopo aver commemorato la Vergine e gli angeli, don Bosco si rivolge direttamente ai suoi giovani ascoltatori: “Oh anime fortunate, che non avete ancora perduta la bella virtù della purità, deh, raddoppiate i vostri sforzi per conservarla. Voi possedete un tesoro così bello, così grande, che persino gli angeli ve lo invidiano”. Ne possiamo comodamente dedurre che quanti perdono tale virtù siano degli infelici, depauperati e tristi. Don Bosco per la condizione di costoro riserva il vocabolo “disgrazia”. I tempi moderni non paiono avergli dato torto nemmeno in questo.

2.continua

Aldo Maria Valli:
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