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Chierici e laici: una distinzione necessaria. Contro certe tentazioni sinodali

di Jean Bernard

Poiché l’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo contiene una serie di proposte che rivoluzionerebbero la ripartizione dei poteri nella Chiesa, vale la pena ricordare la legittimità e la necessità della distinzione tra chierici e laici.

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Nel momento in cui il clericalismo è presentato dalla Chiesa stessa come la radice di tutti i mali che la affliggono e, in preparazione al prossimo Sinodo sulla sinodalità, il Vaticano ha appena pubblicato un Instrumentum laboris che delinea la prospettiva di una ridefinizione globale del sistema di potere all’interno della Chiesa, può sembrare controintuitivo sostenere il necessario mantenimento di una distinzione tra chierici e laici, in particolare per quanto riguarda l’esercizio del potere stesso.

Tuttavia, a favore della distinzione ci sono argomenti che non possono essere liquidati a priori e riguardano la tradizione della Chiesa, la sua libertà e l’indipendenza dei laici.

Una Chiesa apostolica

Innanzitutto, per quanto riguarda la tradizione della Chiesa, essa si è sempre considerata apostolica, cioè fondata sugli apostoli e sui loro successori, i vescovi, ai quali è affidato il triplice potere di santificazione, insegnamento e governo. Si potrebbe pensare che questa organizzazione del potere si basi su un concetto superato e abbandonato dal Concilio Vaticano II. Ma l’ultimo Concilio non solo non ha messo in discussione la concentrazione del potere nelle mani dei chierici, bensì l’ha esplicitamente sancita in diversi testi.

È chiaramente il caso della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, il cui capitolo III, intitolato “La costituzione gerarchica e l’episcopato”, contiene questo passaggio: “Responsabili delle Chiese particolari loro affidate, i vescovi le dirigono come vicari e legati di Cristo, con il consiglio, l’incoraggiamento e l’esempio, ma anche con la loro autorità e con l’esercizio della sacra potestà, il cui uso, tuttavia, appartiene loro solo in vista dell’edificazione nella verità e nella santità del loro gregge” (n. 27). È il caso anche del decreto Christus Dominus, nel quale si ricorda che i vescovi ricoprono “l’ufficio di governare” e aggiunge un punto molto significativo nel contesto del dibattito attuale: “Poiché l’ufficio apostolico dei vescovi è stato istituito da Cristo Signore e persegue un fine spirituale e soprannaturale, il santo Concilio ecumenico dichiara che il diritto di nominare e istituire i vescovi è proprio dell’autorità ecclesiastica competente, ed è particolare e di per sé esclusivo” (n. 20).

Condividere il potere nella Chiesa tra chierici e laici significherebbe quindi mettere fondamentalmente in discussione l’ecclesiologia tradizionale, compresa quella sviluppata dal Vaticano II. Ma un’impresa del genere, ammesso che fosse possibile e auspicabile, rientrerebbe senza dubbio nelle competenze di un nuovo concilio più che di un semplice sinodo dei vescovi.

Strumentalizzazione politica

Passiamo al secondo argomento, relativo all’indipendenza della Chiesa. Dare parte del potere effettivo ai laici (per esempio, nella nomina dei vescovi e dei parroci) potrebbe sembrare a prima vista attraente e sarebbe certamente in linea con lo spirito dei tempi. Tuttavia, tali riforme correrebbero il rischio di esporre la Chiesa a possibili manipolazioni politiche. Si tratta di un rischio puramente teorico? Al contrario.

Senza risalire alla riforma gregoriana, il cui grande merito fu proprio quello di liberare la Chiesa dalle intrusioni politiche dei poteri secolari, va ricordato, per esempio, che se nella Germania hitleriana la Chiesa cattolica rimase in gran parte (anche se non del tutto) impermeabile all’ideologia nazista fu perché la sua dottrina e la nomina dei suoi leader non dipendevano dalla scelta dei laici, e in particolare non dei laici tedeschi. Al contrario, all’interno del protestantesimo tedesco, fu proprio attraverso le elezioni di un Sinodo nazionale della Chiesa evangelica tedesca (DEK) che i cristiani tedeschi riuscirono a far eleggere un loro sostenitore alla carica di “vescovo del Reich” nel 1933 e ad associare strettamente la stragrande maggioranza dei luterani al regime hitleriano fino alla fine della guerra (1).

Questo rischio di strumentalizzazione politica oggi non è scomparso, come dimostrano chiaramente i tentativi del regime cinese di imporre la propria scelta dei vescovi al Vaticano, approfittando dell’accordo concluso con la Santa Sede nel 2018.

Per quanto riguarda la possibilità di dare ai laici la possibilità di tenere l’omelia, questa novità (già attuata qua e là. potrebbe portare alla delicata situazione in cui nelle parrocchie con un profilo conservatore membri di partiti politici di destra salirebbero al pulpito per difendere, in nome dell’identità cristiana della Francia, la chiusura delle frontiere o, in nome dell’antropologia cristiana, le virtù del liberalismo. Nel frattempo, nelle parrocchie con un profilo progressista, i membri dei partiti politici di sinistra difenderebbero l’immigrazione illimitata e il transessualismo in nome dell’accettazione incondizionata degli altri. Una prospettiva deliziosa, non è vero?

Laici al comando

Infine, il terzo argomento riguarda la libertà dei laici stessi. Se il Concilio Vaticano II ha ribadito che, nella Chiesa, il potere appartiene al clero, ha aggiunto che, nella società, sono i laici a dover assicurare, “come loro compito proprio” (2), il “rinnovamento dell’ordine temporale”. Ora, se fosse possibile per i laici assumere il potere riservato ai chierici, nulla impedirebbe ai chierici di entrare nella sfera riservata ai laici e di usare il loro status e la loro autorità per conferire autorità religiosa a opinioni politiche puramente personali. Un rischio astratto? Non direi.

In passato, il parroco designava dal pulpito i candidati per i quali i fedeli dovevano votare. Oggi – ed è solo un esempio – la Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, che riunisce i vescovi delegati dalle Conferenze episcopali dei ventisette Stati membri dell’Unione ed è stata guidata fino al marzo 2023 dal cardinale Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo (e relatore generale del futuro Sinodo), non esita a esprimere le sue posizioni politiche – numerose, concrete e precise – in ambiti diversi come la politica di asilo, la salute, l’ecologia, la politica economica e sociale. E lo stesso Vaticano ha talvolta ceduto a questo “clericalismo del papa”, esprimendo scelte preferenziali in materie di competenza dei laici.

Da queste tre argomentazioni dovremmo dedurre che nulla deve essere cambiato nell’organizzazione del potere all’interno della Chiesa? Al contrario. La crisi attuale basterebbe a convincerci della necessità di adottare misure forti ed efficaci. Ma le soluzioni da prevedere non dovrebbero consistere tanto nel privare vescovi e sacerdoti di tutto o parte del loro potere di governo, quanto nel mettere in atto procedure volte a garantire che questo potere sia effettivamente esercitato e che lo sia in modo consapevole e non arbitrario.

Prendiamo l’esempio delicato della gestione degli abusi: l’incapacità dei vescovi di agire in questo ambito ha raggiunto nuove vette a causa del fatto che, nonostante le segnalazioni e in palese violazione del diritto ecclesiastico, non hanno aperto inchieste canoniche e organizzato processi. L’istituzione, all’interno di ogni diocesi, di una commissione composta da laici che non dipendono gerarchicamente dal vescovo e devono essere consultati per un parere ogni volta che viene fatta una segnalazione, renderebbe di fatto molto difficile insabbiare i casi. Un altro esempio: la nomina dei vescovi da parte di Roma e quella dei parroci da parte dei vescovi potrebbe dar luogo a meccanismi di consultazione preventiva in cui i laici sarebbero maggiormente coinvolti, in modo che le nomine avvengano in condizioni di maggiore informazione e trasparenza.

L’attuazione di tali proposte non costituirebbe una rivoluzione, tanto più che il Codice di diritto canonico prevede già procedure di consultazione che coinvolgono i laici (consigli pastorali). Ma avrebbero il merito di consentire alla Chiesa di compiere un significativo progresso nella sua governance.

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(1) A eccezione di una piccola minoranza riunita nella mirabile “Chiesa confessante”.

(2) Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, n. 7.

Fonte: lanef.net

© LA NEF n. 361, settembre 2023

Aldo Maria Valli:
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