Jean-Marc Aveline, ecco il favorito di Bergoglio per la successione. Ma c’è un problema: la sua teologia non è cattolica

Propongo un’ampia sintesi dello studio che SD Wright dedica alla teologia del cardinale Aveline, 66 anni, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza episcopale francese. Aveline è da molti considerato un papabile e si dice sia il favorito di Francesco.

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Si vocifera che il cardinale Jean-Marc Aveline sia il favorito per succedere a Francesco nel prossimo conclave. Fonti interne al Vaticano hanno espresso a LifeSiteNews la loro convinzione che “sarà il prossimo papa”.

Aveline è presente in tutte le liste dei cardinali papabili, e il Cardinalium Collegii Recensio di Edward Pentin e Diana Montagna afferma che questo “prelato affabile e colto” è “presumibilmente il cardinale preferito di papa Francesco per la successione”.

Alla luce di questo profilo, esaminiamo la teologia di Aveline. Dimostreremo che, nonostante la sua autorappresentazione come moderato e di “centro-sinistra”, la sua prospettiva teologica è radicalmente bergogliana, e smantella in modo sottile ma sistematico la dottrina cattolica.

Il suo progetto è un tentativo di svuotare completamente la religione cattolica e di sostituirla con un sistema del tutto nuovo, pur mantenendo una parvenza di cattolicesimo attraverso l’uso di termini cattolici rivisitati. Questo nuovo sistema si basa su presupposti diversi da quelli cattolici, è ordinato secondo priorità diverse e produce conclusioni diverse, conducendo a una radicale riconfigurazione della Chiesa, della fede, della rivelazione e della salvezza.

Tre affermazioni di Aveline 

Esaminiamo tre affermazioni interconnesse che definiscono il pensiero di Aveline e che, secondo lui, rappresentano “la posizione attuale del magistero cattolico”.

Le religioni non cattoliche svolgano un ruolo positivo nel piano della salvezza.

Tutti gli uomini siano inclusi in una “mediazione cristica universale”.

La missione della Chiesa ha un “fondamento dialogico”, affermazione che ripropone il dialogo non come metodo, ma come essenza stessa della sua identità.

Sebbene alcuni possano considerare queste tre affermazioni come conservatrici o ortodosse, vedremo che sono gravemente errate e incompatibili con la dottrina cattolica, sia in sé sia per come Aveline le intende.

Trattando le false religioni come salvifiche – nonostante le precisazioni che offre – Aveline nega la necessità della Chiesa cattolica e ridefinisce la natura della fede soprannaturale e lo status di Cristo come unico mediatore tra Dio e l’uomo. Così facendo, smantella i fondamenti della religione cattolica e li sostituisce con i principi del dialogo interreligioso.

Il dialogo, quindi, non è semplicemente una strategia per la coesistenza pacifica: diventa il nuovo fondamento dottrinale della vita e della missione della Chiesa. Ogni revisione dottrinale di Aveline è al servizio di questo “imperativo dialogico”.

Queste tre affermazioni non sono mere speculazioni. Sono i principi operativi del regime attuale. Influenzano tutto, dalla dichiarazione di Francesco ad Abu Dhabi alle sue denunce del “proselitismo”. Aveline fornisce un’impalcatura teorica e pseudo-teologica per la rivoluzione incarnata dal suo maestro.

Prenderemo in considerazione il fondamento della religione cattolica: la necessità della Chiesa per la salvezza e la natura della fede soprannaturale. Le revisioni di Aveline di queste verità costituiscono la pietra angolare del suo progetto più ampio. Perché se le false religioni devono essere interpretate come dotate di un “valore salvifico o rivelatorio”, allora la fede soprannaturale e la Chiesa visibile devono essere ridefinite, ed è esattamente ciò che egli cerca di fare.

Problematizzare la fede cattolica: la sovversione di Aveline attraverso il dubbio 

Il progetto teologico di Aveline si basa su una tecnica ampiamente utilizzata dai pensatori liberali moderni: la problematizzazione. Questo metodo cerca di decostruire idee comunemente accettate, trattandole non come realtà consolidate, ma come costrutti contingenti che richiedono una reinterpretazione. Il suo obiettivo non è affinare o comprendere, ma destabilizzare.

La genealogia di questo metodo è inequivocabilmente liberale: emerge dalla filosofia post-illuminista ed è particolarmente presente nella critica letteraria postmoderna. Spesso è poco più di un mezzo per ottenere una qualche forma di cambiamento.

Quando applicata a idee, valori e istituzioni tradizionali, la problematizzazione non mira a chiarire, ma è utilizzata come mezzo di decostruzione e dissoluzione.

Applicato alla Chiesa, questo metodo non affronta né nega apertamente l’insegnamento cattolico. A volte, può affrontare problemi autentici come il pluralismo religioso, seppur in modo sovversivo e a scapito della dottrina cattolica consolidata.

Altre volte, problematizza direttamente le verità rivelate, come se fossero soggette a problemi irrisolti e quindi necessitassero di essere ripensate per rimanere sostenibili. Questo ripensamento può avvenire alla luce di fenomeni come il pluralismo, la coscienza storica o l’esperienza moderna.

In realtà, si tratta di un’inversione significativa. È l’insegnamento della Chiesa che ci illumina per valutare questi altri problemi, non il contrario.

L’approccio di Aveline priva la Chiesa e la sua dottrina della loro autorità divina, riducendole a costrutti umani, culturalmente condizionati e storicamente mutevoli. Sia il metodo sia la motivazione erano centrali nell’eresia modernista, come descritta dal cardinale Pietro Parente, che definì il modernismo come “un’eresia, o meglio un insieme di eresie […] con la pretesa di elevare e salvare la religione cristiana e la Chiesa cattolica mediante un radicale rinnovamento”.

Ma, come avvertiva Parente, questa “ristrutturazione radicale” non ha prodotto alcun risultato. Ha invece prodotto: “Una fusione ibrida di cattolicesimo verbale con un reale razionalismo naturalistico”.

Questa è la manovra intellettuale al centro del sistema teologico di Aveline. Egli problematizza sia il fenomeno del pluralismo religioso sia il solenne dogma extra ecclesiam nulla salus. Il primo diventa un “mistero”, una fonte di rivelazione e grazia con cui confrontarsi attraverso la lente quasi sacramentale del “dialogo”. Il secondo non è più una verità rivelata, ma una formula storica da mettere in discussione, reinterpretare e, in ultima analisi, subordinare all’evoluzione della coscienza religiosa dell’uomo.

Fonti di errore: influenza protestante e modernista 

L’opera del cardinale Aveline si basa su una serie di presupposti che sono in realtà errori teologici, errori che portano a un completo indebolimento della dottrina cattolica. Primo fra tutti, l’affermazione che le altre religioni svolgano un ruolo necessario e voluto da Dio nel piano di salvezza.

Da tempo immerso nel dialogo interreligioso, Aveline plasma la sua teologia attorno ad esso. La sua tesi di dottorato, Per una teologia cristologica delle religioni, Tillich in dibattito con Troeltsch, ha esaminato come le false religioni potrebbero “partecipare all’unica mediazione [di Cristo]”. Un esempio lampante della “problematizzazione” di un’area dottrinale precedentemente chiara e definita, basata su un impegno precedente alla possibilità di salvezza per coloro che sono al di fuori della Chiesa.

La sua scelta delle fonti – un luterano tedesco-americano e un protestante liberale – segnala già un quadro problematico. Il suo trattamento dei loro errori è evasivo: si astiene dal giudizio, ma trae costantemente conclusioni dalle loro fonti. Piuttosto che affrontare la loro contraddizione con la verità cattolica, accetta i loro errori come base per reinterpretare il cristianesimo stesso.

Il suo modello esclude tacitamente la fede soprannaturale, senza la quale nessuno può piacere a Dio. Segue Claude Geffré nel parlare di un “mistero del pluralismo religioso”, concetto che esige da parte del cristianesimo un riesame delle sue pretese alla luce delle altre religioni. Cita con approvazione coloro che insistono sul fatto che le altre religioni pongono al cristianesimo una “questione assolutamente urgente”, “che deve, in loro presenza, riconsiderare le sue pretese e quindi ricevere da loro almeno un servizio di purificazione”.

Per Aveline e coloro che cita, la diversità delle religioni non è un problema da superare, ma una realtà voluta da Dio, ricordando le parole di Francesco: “Il pluralismo e la diversità delle religioni […] sono voluti da Dio”.

Partendo da questi presupposti, Aveline imposta il compito rinnovando la comprensione della fede a partire non solo dalla considerazione della pluralità religiosa, ma anche dalle domande specifiche che ogni religione rivolge alla teologia cristiana.

Questo approccio relativizza il cristianesimo, trattandolo come un fenomeno storicamente condizionato. Aveline afferma infatti che c’è “bisogno di consapevolezza della relatività del cristianesimo nella storia delle religioni”. Sebbene l’analisi storica abbia il suo posto, Aveline la invoca per relativizzare la rivelazione divina. Nel creare falsi dilemmi che minano la fede, Aveline rifugge dalla tradizione cattolica e inquadra il suo approccio attraverso la lente dei teorici protestanti e del naturalismo. Il risultato è che le verità fondamentali vengono problematizzate, riformulate come tensioni da superare e infine subordinate al nuovo summum bonum del “dialogo”, inteso non come mezzo per raggiungere la verità, ma come la lente attraverso cui comprendere l’annuncio del Vangelo.

Visione naturalistica della religione  

Nel 2019, durante la sua visita a una moschea, Aveline ci ha fornito la chiave per comprendere le sue convinzioni religiose: “La cosa più importante per me sono questi rapporti di amicizia. In fin dei conti, che siamo credenti o no, siamo tutti uomini e donne che vivono una vita umana con tutti gli interrogativi che solleva. Possiamo avere teorie in testa, contrapporre versetti del Corano a versetti della Bibbia, ma prima o poi ci troviamo di fronte alle stesse domande: cos’è la vita? Cosa ci aspetta? Come troviamo la felicità? Perché esiste la sofferenza? In sostanza, le religioni sono mezzi attraverso cui uomini e donne cercano risposte alle grandi e semplici domande della vita. È meglio avere una religione che ti aiuti, che non ti dia risposte a domande che non ti poni, ma che ti aiuti a vivere veramente la vita: questa è la cosa più importante”.

Aveline presenta anche una concezione naturalistica della virtù della fede (discussa più avanti), senza una netta distinzione tra la fede soprannaturale dei cattolici e la fede naturale (o meglio, le opinioni) dei non cattolici.

Questo naturalismo non sorprende, dato il ruolo di Henri de Lubac, decisivo nel pensiero di Aveline. La sua sfocatura di natura e grazia permette ad Aveline di trasformare le false religioni da ostacoli alla salvezza in strumenti di “mediazione cristica”. Questa sfocatura eleva la natura al livello del soprannaturale e riduce il soprannaturale al livello della natura, il che si traduce in ciò che papa Pio XII condannò nell’Humani generis: “Altri distruggono la gratuità dell’ordine soprannaturale, poiché Dio, dicono, non può creare esseri intellettuali senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica”.

Aveline loda le riflessioni teologiche di de Lubac per aver “aperto la strada” a gran parte della teologia moderna.

Il ruolo positivo delle religioni non cattoliche: un dogma ripensato  

Torniamo all’affermazione in discussione. Aveline afferma che la Chiesa cattolica riconosce “la possibilità di un ruolo positivo per le altre religioni, in quanto realtà socio-culturali, nell’economia generale della salvezza. Ciò esclude una posizione esclusivista che, sulla base di un ristretto ecclesiocentrismo, negherebbe alle religioni non cristiane qualsiasi valore salvifico o rivelatorio, basandosi su un’interpretazione indurita, e quindi distorta, dell’antico adagio patristico secondo cui fuori dalla Chiesa nessuna salvezza”.  Poiché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati (1 Tm 2,4), è possibile affermare che all’interno delle religioni stesse sono depositati ‘semi del Verbo’, ‘raggi di verità che illuminano ogni uomo’, e che ‘lo Spirito Santo offre a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di associarsi al mistero pasquale’.”

Ma la frase “Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza” non è semplicemente un “antico adagio patristico”. È un dogma, definito dal magistero straordinario e insegnato in modo coerente dal magistero ordinario. Il modo in cui Aveline lo tratta è un chiaro esempio di problematizzazione: non ammette di rifiutare il dogma, ma lo riformula come un problema, suggerendo che richieda una reinterpretazione perché oggi mantenga il suo significato.

Presentare il dogma come un mero “antico adagio patristico” appare sprezzante, così come mettere in guardia contro un “ecclesiocentrismo ristretto” che “nega alle religioni non cristiane qualsiasi valore salvifico o rivelatore” è estremamente fuorviante.

Parafrasando il Concilio di Firenze al contrario, sembra che Aveline sostenga che “non solo i pagani, ma anche gli ebrei, gli eretici e gli scismatici possano davvero condividere la vita eterna”, a patto che si insista sul fatto che ciò si realizzi grazie alla Chiesa e a Cristo, piuttosto che al di fuori di essi. Afferma che questa è l'”eredità patristica” del dogma: “Rifacendosi all’eredità patristica, de Lubac ha mostrato che il giudizio sfumato dei Padri nei confronti delle religioni pagane dovrebbe oggi tradursi in un paziente e rigoroso lavoro di discernimento, riguardante ciascuna religione in sé, al di là della mera seduzione o del semplice rifiuto”.

Ma dov’è questo presunto “giudizio sfumato” nei Padri stessi? Ad esempio, le seguenti affermazioni non lasciano spazio ad ambiguità.

Origene: “Nessuno si inganni. Fuori di questa casa, cioè fuori della Chiesa, nessuno si salva”.

San Cipriano (m. 258): “Non può più avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre. Se qualcuno è potuto sfuggire a chi era fuori dall’Arca di Noè, allora potrà sfuggire anche chi sarà fuori dalla Chiesa”.

Sant’Agostino: “Nessuno può trovare la salvezza se non nella Chiesa cattolica. Fuori della Chiesa cattolica si può avere tutto, tranne la salvezza”.

San Fulgenzio: “Sostenete fermamente e non dubitate mai che non solo i pagani, ma anche tutti gli ebrei, tutti gli eretici e tutti gli scismatici che terminano questa vita fuori della Chiesa cattolica, andranno nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.

Queste affermazioni (che potrebbero essere moltiplicate) non sono né indurite né distorte: sono la voce unanime dei Padri e della tradizione. In breve, pur affermando di tornare ai Padri della Chiesa, il revisionismo di Aveline li contraddice.

Che cos’è la fede soprannaturale? 

Il dogma extra Ecclesiam nulla salus non può essere compreso prescindendo dalla natura e dal ruolo della fede; inoltre, la concezione della fede di Aveline diverge notevolmente dall’insegnamento cattolico.

Nessuno è salvato senza la carità, cioè l’amore di Dio sopra ogni cosa e del prossimo per amore di Dio. In ciò è implicita la contrizione per i propri peccati.

Tuttavia, né la carità né la contrizione sono sentimenti naturali di filantropia o di rimorso. Sono realtà soprannaturali; e a loro volta dipendono assolutamente dalla presenza della fede soprannaturale.  La Sacra Scrittura è chiara: “Senza fede è impossibile piacere a Dio” (Eb 11,6). Mentre la fede soprannaturale è di per sé insufficiente per la salvezza, la carità e la contrizione soprannaturali sono impossibili senza di essa. In quanto tali, sono assolutamente necessarie per la salvezza.

Papa Gregorio XVI ha affermato che questo è di per sé un dogma della fede cattolica: “Voi sapete con quanto zelo i Nostri Predecessori insegnarono proprio quello stesso articolo di fede che costoro osano negare, cioè la necessità della fede cattolica e dell’unità per la salvezza”.

Ma che cos’è questa fede soprannaturale? La fede è spesso definita in modo errato, come nell’affermazione di Martin Lutero secondo cui essa è “una fiducia viva e audace nella grazia di Dio”. Questa definizione – comune anche tra i cattolici più sconsiderati – è più affine alla virtù teologale della speranza. San Paolo, al contrario, distingue la fede dalla speranza e definisce la prima come “sostanza di cose sperate” (Eb 11,1). In altre parole, non è la speranza stessa.

Nel suo senso più ampio, la fede significa accettare una proposizione sull’autorità di un altro. Tuttavia, sotto papa Beato Innocenzo XI, Roma condannò l’idea che la fede “in senso lato […] sia sufficiente per la giustificazione”.

Al contrario, la fede richiesta per la giustificazione e la salvezza è soprannaturale: è il “dono soprannaturale di Dio, che ci rende capaci di credere senza dubitare di tutto ciò che Dio ha rivelato”. Questa fede soprannaturale è specificamente: un assenso alle verità divinamente rivelate; fondata sull’autorità di Dio, proposta dalla Chiesa sia esplicitamente (attraverso le definizioni dei papi o dei concili) sia implicitamente (attraverso il magistero universale).

Il Credo atanasiano rafforza la necessità della fede cattolica soprannaturale per la salvezza: “Chiunque voglia essere salvato, prima di tutto è necessario che abbia la fede cattolica; se nessuno la conserva integra e incontaminata, perirà senza dubbio in eterno. Poiché la fede è un assenso soprannaturale alla rivelazione divina, ne consegue che tale assenso deve essere fondato sull’autorità di Dio come rivelatore e sulla condizione della proposizione della Chiesa.”

La rivelazione divina raggiunge gli individui in due modi: direttamente (immediatamente), come nel caso degli Apostoli, che ricevettero la rivelazione direttamente da Cristo; indirettamente (mediatamente), attraverso la Chiesa, che trasmette la verità divina attraverso il magistero.

Sebbene la rivelazione divina immediata sia ancora possibile, è necessario rispettare alcuni principi.

Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Chi afferma di aver ricevuto una rivelazione privata deve avere fondamenti solidi, certi e indubitabili; in caso contrario, la presunta rivelazione non possiede la certezza necessaria per la fede.

La rivelazione non è una questione di esperienza personale. Sentimenti, intuizioni o convinzioni soggettive, anche forti, non sono rivelazione divina e non possono costituire oggetto di fede soprannaturale.

La rivelazione diretta indirizza verso la Chiesa. Saulo, nonostante l’incontro diretto con Cristo, fu inviato alla Chiesa per ricevere istruzione. Allo stesso modo, i resoconti di Cristo che appare immediatamente ai musulmani (ad esempio, Joseph Fadelle) indirizzano verso la Chiesa, affinché la pienezza della rivelazione venga data in modo ordinario e mediato.

Perché la fede è necessaria per la salvezza? 

Potremmo cominciare col notare che la fede è necessaria alla salvezza perché la carità è necessaria alla salvezza.

In primo luogo, il nostro destino soprannaturale è vedere Dio nella visione beatifica, cioè conoscere e amare Dio per tutta l’eternità. Conoscenza e amore corrispondono al nostro intelletto e alla nostra volontà; e queste facoltà devono essere elevate e ordinate verso questo fine del tutto soprannaturale. Questo è il ruolo della fede e della carità soprannaturali, che perfezionano rispettivamente il nostro intelletto e la nostra volontà.

In secondo luogo, è attraverso la mediazione di Cristo che possiamo raggiungere questo fine. Per beneficiare di questa mediazione, dobbiamo essere uniti o associati a Cristo. Per questo parliamo della Chiesa come del suo corpo mistico: è come membra del corpo che siamo uniti al capo e possiamo beneficiare del suo sacrificio espiatorio e redentore sulla Croce. Ma la semplice appartenenza non è sufficiente: dobbiamo anche essere membra vive del suo corpo. Questa unione e questo stato di amicizia si realizzano attraverso la carità, che presuppone necessariamente la fede e da essa dipende.

Potremmo aggiungere che la carità dipende dalla fede perché non possiamo amare ciò che non conosciamo, e la fede è il mezzo attraverso il quale raggiungiamo la certezza delle verità soprannaturali che Dio ha rivelato. Al contrario, non si può dire che amiamo Dio se rifiutiamo di credere a ciò che ci ha insegnato.

Sia la fede sia la carità rappresentano l’inizio della vita eterna, qui e ora, e sono assolutamente indispensabili per raggiungere questo fine soprannaturale.

Il silenzioso accantonamento da parte di Aveline della fede soprannaturale come mezzo chiave attraverso cui l’uomo si unisce a Dio è cruciale anche per la sua problematizzazione del pluralismo religioso, nonché per la sua ridefinizione del ruolo di mediazione di Cristo e per il suo concetto di “mediazione cristica”.

Il naturalismo e il crollo del soprannaturale 

Sebbene Aveline non neghi esplicitamente la necessità della fede soprannaturale, in realtà non ne ha bisogno. La fede è semplicemente vittima di una problematizzazione che si riscontra altrove, e si traduce in una concezione della fede in termini naturalistici, piuttosto che in un assenso alla rivelazione divina proposta dalla Chiesa.

In pratica, questo rende superflua la fede soprannaturale. È una negazione funzionale della verità che “senza fede è impossibile piacere a Dio” (Eb 11,6). Non si tratta di un adattamento di poco conto: è il frutto di una problematizzazione continua, in cui l’atto di fede non è più un assenso alla rivelazione di Dio, ma una risposta interpretativa umana.

Ad esempio, Aveline fornisce la definizione alternativa di fede, molto problematica, proposta da Claude Geffré: “Se la fede è fondamentalmente un atto di interpretazione, che combina un’ermeneutica della Parola di Dio e un’ermeneutica dell’esistenza umana, e se la situazione di pluralità religiosa e di mescolanza delle credenze è diventata una componente costitutiva dell’esistenza umana oggi, allora una teologia che aspira ad essere ermeneutica deve impegnarsi in un lungo e paziente lavoro di interpretazione della dimensione religiosa dell’esistenza umana, una dimensione espressa attraverso i simboli, i miti e i riti delle varie religioni”.

Aveline nota che da tali idee Geffré “deduce la necessità di un vero ‘cambiamento di paradigma’ nella teologia”. Ma parlare di un “cambio di paradigma” in teologia significa già riconoscere il deposito della fede e poi rifiutarlo. Non si tratta di un innocente interrogativo o di uno sviluppo benigno: presuppone la conoscenza dell’insegnamento della Chiesa, ma solo per sostituirlo. Il linguaggio tradisce il vero obiettivo: non illuminare il concetto di fede, ma problematizzarlo e dissolverlo nell’irrilevanza.

Inoltre, dobbiamo anche notare che la fede non è “fondamentalmente un atto di interpretazione”, come affermano Aveline e Geffré.

Va inoltre notato che la citazione di Geffré da parte di Aveline ignora il fatto che il pluralismo religioso non è un fenomeno esclusivamente moderno. La Chiesa è sempre esistita in mezzo a una molteplicità di religioni, e Aveline sta semplicemente tentando di applicare il metodo della problematizzazione nel mondo moderno. Ma anche se questa fosse una realtà nuova, non giustificherebbe un ripensamento radicale della comprensione che la Chiesa ha di se stessa o della natura della fede.

La Chiesa non è una religione tra le tante  

Il dogma extra ecclesiam nulla salus è inscindibile dall’unicità della Chiesa cattolica. La Chiesa non è semplicemente una religione tra tante, anche se è quella vera. Sebbene si possa parlare di “religioni” in senso lato, è un errore trattarle come una categoria comune in cui il cattolicesimo è semplicemente la più corretta. La Chiesa non è semplicemente la migliore tra le religioni: è di un ordine completamente diverso.

Aveline sembra riconoscerlo: “La Chiesa non è interamente riducibile a ciò che ordinariamente si intende con la parola religione. Ed è proprio questo che la rende inquieta nelle forme che talvolta assume oggi il dialogo interreligioso”. Ma come in gran parte dell’opera di Aveline, il linguaggio tradizionale maschera un significato non ortodosso. Subito dopo questa affermazione, aggiunge: “Essa [la Chiesa] sa che, secondo il suo Vangelo, Dio non è più vicino all’uomo religioso che all’uomo secolare!”.

Questa idea è fuorviante. Cristo è venuto a chiamare i peccatori e Dio è glorificato nell’esercizio della sua misericordia verso di noi.

Le pratiche religiose esteriori non costringono, di per sé, Dio ad essere vicino all’uomo religioso. Tuttavia, lo scopo della Chiesa è unire gli uomini a Cristo stesso, permettendo loro di partecipare alla sua vita divina per grazia. Come discusso in precedenza, il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa, è il mezzo attraverso il quale le anime sono portate in comunione con Lui. Un’anima in stato di grazia, animata dalla fede e dalla carità, ha la Santissima Trinità che dimora in sé, e la salvezza è in definitiva il compimento di questa unione tra Cristo e le membra del suo corpo.

Questo legame tra Cristo e la sua Chiesa (e i suoi membri) è così intimo che, quando affrontò Saulo sulla via di Damasco, si identificò con i cristiani che Saulo stava perseguitando. Questa unità spiega perché il Laterano IV, nel definire che al di fuori della Chiesa non c’è salvezza, collega immediatamente questa verità alla Santa Eucaristia, attraverso la quale il sacrificio di Cristo è reso presente e applicato ai fedeli.

In uno degli articoli in questione, Aveline sembra concentrarsi maggiormente sul corpo naturale dell’umanità che sul Corpo Mistico di Cristo. Sembra dare priorità all’unità dell’umanità nel suo insieme rispetto all’unità soprannaturale della Chiesa e considera il corpo naturale degli uomini come fondamento per la comprensione del soprannaturale. Questo errore deriva direttamente dalla sua approvazione della distorsione naturalistica della missione della Chiesa operata da de Lubac: “Senza attribuire alle istituzioni religiose tale funzione, de Lubac ha stabilito che gli ‘altri’ non sono radicalmente estranei alla salvezza che la Chiesa deve comunque annunciare loro. Non perché posseggano implicitamente ciò che la Chiesa confessa esplicitamente, ma perché, in quanto membri dell’unico corpo dell’umanità, chiamati interamente alla salvezza, intrattengono già, con il corpo ecclesiale che ne è il sacramento, scambi vitali attraverso i quali lo Spirito Santo fa crescere il corpo di Cristo. Provvidenzialmente indispensabili all’edificazione del Corpo di Cristo, gli ‘infedeli’ devono beneficiare a modo loro degli scambi vitali di questo corpo. Per estensione del dogma della comunione dei santi, sembra quindi giusto pensare che, pur non essendo essi stessi posti nelle normali condizioni di salvezza, possano tuttavia raggiungere questa salvezza in virtù dei misteriosi legami che li uniscono ai fedeli. In breve, possono essere salvati perché sono parte integrante dell’umanità che sarà salvata. Ecco perché, spiega de Lubac, se non tutti sono membri della Chiesa visibile, tutti saranno comunque salvati dalla Chiesa. Così egli comprende la verità dell’assioma ‘fuori dalla Chiesa, nessuna salvezza’. È una verità prasseologica, perché la cattolicità che segna la Chiesa resta per essa un’esigenza e non può rivendicarla senza adempiere al compito: essere ‘nella Chiesa’ non basta per vivere ‘dalla Chiesa’!”.

In questo testo, Aveline non presenta la Chiesa come una religione tra le tante, ma non ne presenta neppure l’unicità in modo ortodosso. Piuttosto, la sua problematizzazione dello status unico della Chiesa lo porta a trattarla come una meta-religione, che trascende e avvolge le false religioni anziché opporsi a esse. Tutta l’umanità, a suo avviso, intrattiene “scambi vitali” con la Chiesa, a prescindere dalla fede.

Questo approccio problematizzante ridefinisce l’ortodossia. In alcuni punti, il linguaggio di Aveline ricorda le distinzioni tradizionali tra la Chiesa e le altre religioni ma, nella sostanza, questo serve a promuovere un quadro completamente diverso.

Le false religioni: non sono salvifiche, ma pericolose, anche nei loro “elementi buoni”  

La dottrina cattolica rifiuta l’idea che le false religioni siano mezzi di salvezza. Se è vero che alcuni aspetti di queste religioni possono, per accidens, fungere da trampolini di lancio verso la verità, resta il fatto che sia le false religioni che i loro cosiddetti elementi buoni sono in ultima analisi ostacoli alla salvezza.

Paradossalmente, quanti più elementi buoni contiene una religione falsa, tanto più può diventare pericolosa, proprio perché questi elementi servono a radicare i suoi seguaci nell’errore.

Ciò è particolarmente vero per ciò che i gruppi “cristiani” non cattolici hanno conservato dalla Chiesa. Come ammonisce un testo patristico attribuito a sant’Ambrogio, citato da papa Leone XIII: “Ma coloro che hanno molte cose in comune con noi possono facilmente trarre in inganno le menti innocenti, devote unicamente a Dio, attraverso associazioni ingannevoli, difendendo le proprie credenze corrotte appellandosi alle nostre buone. Poiché nulla è più pericoloso di questi eretici, che sembrano procedere correttamente in ogni cosa, ma con una sola parola, come una goccia di veleno, corrompono la fede pura e semplice del Signore, e, attraverso di essa, la tradizione apostolica”.

Nel 1761, papa Clemente XIII espresse un’opinione simile, ovvero che i presunti “elementi buoni” nelle false religioni servono da esca e copertura per strade che portano alla morte: “L’errore diabolico, quando ha colorato ad arte le sue menzogne, si riveste facilmente di sembianze di verità, mentre aggiunte o cambiamenti molto brevi corrompono il significato delle espressioni; e la confessione, che di solito opera la salvezza, a volte, con un leggero cambiamento, si avvicina alla morte”.

Anche padre Henry James Coleridge osservò che gli “elementi buoni” nelle religioni pagane sono “abilmente usati dagli autori del male per mascherare il proprio lavoro e ingannare gli uomini”.

San Beda, detto il Venerabile, spiegò come anche i sacramenti, se ricevuti fuori dalla Chiesa, portino distruzione anziché beneficio: “Il fatto che l’acqua del diluvio non salvi, ma uccida coloro che si trovano fuori dell’arca prefigura senza il minimo dubbio che ogni eretico, pur possedendo il sacramento del battesimo, non viene precipitato nell’inferno da altre acque se non dalle stesse acque che sollevano l’arca al cielo”.

Sant’Agostino aggiunge che è nella Chiesa cattolica “solamente in cui esiste il battesimo per la salvezza”. La partecipazione ai riti di una comunità non cattolica, come spiega Gaudron, “è di per sé, per sua stessa natura, un atto di assenso alla fede di questa comunità. Così anche il battesimo diventa, in questi casi, peccaminoso e occasione di scandalo”. Naturalmente, una volta che qualcuno entra nella Chiesa cattolica, l’ostacolo alla grazia battesimale viene rimosso.

Riguardo a coloro che non professano neppure di adorare Cristo, l’insegnamento della Sacra Scrittura e della Chiesa è chiaro: “Tutti gli dei delle genti sono demoni” (Salmo 95,5). “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14,6). “Non c’è salvezza in nessun altro [che in Gesù Cristo]. Poiché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, mediante il quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4,12). “Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre” (1 Giovanni 2.23).

Molti altri testi simili affermano questa dottrina. Inoltre, il Sillabo degli errori di Pio IX contiene i due seguenti errori:

“L’uomo può, nell’osservanza di qualsiasi religione, trovare la via della salvezza eterna e giungere alla salvezza eterna (Qui pluribus, 9 novembre 1846).

“Si può almeno nutrire una buona speranza nella salvezza eterna di tutti coloro che non sono affatto nella vera Chiesa di Cristo (Quanto conficiamur, 10 agosto 1863).

Papa Pio XI, nella Mortalium animos, condanna l’idea che tutte le religioni siano “più o meno buone e degne di lode”, poiché presumibilmente esprimono il senso innato di Dio nell’uomo: “Certamente tali tentativi non possono in alcun modo essere approvati dai cattolici, fondati come sono su quella falsa opinione che considera tutte le religioni più o meno buone e degne di lode, poiché tutte, in modo diverso, manifestano e significano quel senso che è innato in tutti noi, e per mezzo del quale siamo condotti a Dio e all’obbediente riconoscimento del suo regno”.

È difficile non vedere come ciò differisca dall’affermazione di Aveline secondo cui Dio vuole la pluralità religiosa in senso positivo e che le false religioni svolgono un “ruolo positivo […] nell’economia generale della salvezza”, anche se solo “come realtà socio-culturali”. Pio XI categorizza esplicitamente tale visione come apostasia: “Non solo coloro che sostengono questa opinione sono nell’errore e nell’inganno, ma anche, deformando l’idea della vera religione, la rigettano e a poco a poco si volgono al naturalismo e all’ateismo, come viene chiamato; da cui consegue chiaramente che chi sostiene coloro che sostengono queste teorie e tenta di realizzarle, abbandona del tutto la religione divinamente rivelata”.

Relativizzare il cristianesimo: la caricatura della tradizione  

Possiamo ora considerare la discussione di Aveline sulla presunta necessità di “relativizzare il cristianesimo”.

In un articolo del 2006, Aveline fece riferimento con approvazione a una lezione del protestante liberale Ernst Troeltsch, in cui quest’ultimo respingeva quella che chiamava “la concezione soprannaturalista” dello status assoluto del cristianesimo: “Il cristianesimo è la religione assoluta perché Dio stesso lo ha voluto: attraverso una rivelazione soprannaturale, Egli ha fondato il cristianesimo, isolandolo dal resto della storia”.

Aveline tratta questa affermazione come una caricatura semplicistica, lasciando intendere che sia insostenibile. Eppure questa è semplicemente la dottrina cattolica, sebbene l’idea di “isolarla dal resto della storia” sia una caricatura e un’aggiunta ingiustificata, tale da giustificare la problematizzazione della definizione.

Aveline sostiene che questa “definizione soprannaturalista” debba essere reinterpretata attraverso la lente della scienza storica: “Questa strategia di ritiro [della Chiesa dalla storia] non può resistere alle esigenze metodologiche della scienza storica”.

La caricatura di Aveline risiede nell’implicazione che la cosiddetta “concezione soprannaturalista” del cristianesimo lo isoli necessariamente dalla storia, come se non potesse esserci alcun legame tra lo sviluppo concreto del cristianesimo e il contesto religioso dell’umanità. Egli presenta questa posizione come insostenibile, sostenendo che la teologia cristiana “deve prendere coscienza della relatività del cristianesimo come fenomeno storico e affrontare teologicamente la sfida che esso presenta”.

La caricatura che presenta è in effetti una posizione insostenibile, perché la Chiesa ha chiaramente avuto interazioni di questo tipo con altre religioni nel corso della storia. Ma questa posizione insostenibile non è implicita nella comprensione tradizionale delle origini soprannaturali del cristianesimo.

Aveline inquadra tutto questo come una risposta a una crisi presumibilmente irrisolta: “La sfida posta dalla scienza storica a una teologia troppo abituata ad affermare la natura assoluta del cristianesimo senza riconoscere sufficientemente la relatività e il condizionamento storico di tutte le istituzioni e iniziative umane, comprese le religioni, e tra queste, il cristianesimo”.

Una volta affermata questa “relatività”, Aveline procede a riformulare le questioni teologiche fondamentali: “Dopo aver riconosciuto la relatività storica del cristianesimo, ci chiediamo ora che cosa sia specifico della fede cristiana: che cosa caratterizza la sua comprensione della dimensione universale del messaggio che la sostiene? In che modo è «cattolica», nel senso più ampio del termine, al di là delle differenze confessionali? Come può rendere conto del ruolo che le religioni svolgono nel piano divino di salvezza?”.

Ancora una volta, queste idee e domande ci hanno portato molto lontano dalla comprensione tradizionale della fede, della rivelazione divina e della necessità della Chiesa per la salvezza.

Torniamo al punto da cui siamo partiti. La Chiesa cattolica, per Aveline, riconosce innanzitutto la possibilità di un ruolo positivo per le altre religioni, in quanto realtà socio-culturali, nell’economia generale della salvezza. Ciò esclude una posizione esclusivista, che, sulla base di un ristretto ecclesiocentrismo, negherebbe alle religioni non cristiane qualsiasi valore salvifico o rivelatorio, basandosi su un’interpretazione indurita, e quindi distorta, dell’antico adagio patristico “Fuori dalla Chiesa, nessuna salvezza”.

Ora, con tutto ciò messo a nudo, possiamo vedere la cosa per quello che è. Ciò a cui abbiamo assistito non è un fraintendimento della dottrina, ma la sua deliberata problematizzazione: il trattamento di verità definite come se fossero questioni negoziabili. È una svalutazione del dogma, la ridefinizione della fede soprannaturale e del ruolo della Chiesa, e la subordinazione della rivelazione alla storia: tutto questo appare qui, riassunto in questo singolo paragrafo. Il paragrafo riassume perfettamente il metodo di Aveline: il dogma non viene negato, ma problematizzato, e quindi dissolto.

Questo è il primo atto di un dramma teologico che cerca di dissolvere la religione cattolica dall’interno.

L’atto successivo consiste nell’estendere questa inversione a Cristo stesso, ridefinendo la sua mediazione unica come qualcosa di diffuso in ogni religione.

Ma Aveline non si ferma qui. Se si vuole che le altre religioni abbiano un ruolo nella salvezza, anche i loro seguaci devono essere considerati in qualche modo legati a Cristo e, per estensione, la mediazione di Cristo deve essere ripensata per accoglierli.

Come vedremo, ciò è inconciliabile con le verità della fede cattolica.

Se Aveline è davvero il favorito di Francesco per succedergli, e se le fonti vaticane di LifeSiteNews hanno ragione nel dire che Aveline “sarà il prossimo papa”, allora la posta in gioco non potrebbe essere più alta.

LifeSiteNews

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Tutte le note relative alle citazioni sono consultabili nell’originale.

 

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