A proposito dei bambini di una scuola cattolica inginocchiati verso la Mecca

di Investigatore Biblico

Assistiamo con turbamento e dolore alla notizia di bambini cristiani inginocchiati in direzione della Mecca in una moschea durante una visita didattica organizzata da una scuola parrocchiale. Non si tratta qui di giudicare l’intenzione soggettiva degli insegnanti o dei genitori coinvolti. Ma lo Spirito ci chiede di discernere i segni dei tempi (cfr. Mt 16,3) e di vigilare su ciò che si semina nei cuori dei più piccoli.

Inginocchiarsi è un gesto sacro. È atto di adorazione, non di semplice cortesia. È un gesto che, nella Scrittura, appartiene solo a Dio: “Al Signore tuo Dio ti prostrerai, a lui solo renderai culto” (Dt 6,13; cf. Mt 4,10).

Lasciare che dei bambini cristiani, per quanto in spirito di “dialogo”, si inginocchino in direzione di un dio che non è il Padre di nostro Signore Gesù Cristo è una ferita alla chiarezza della fede. È un gesto che confonde, che relativizza ciò che nel Vangelo è assoluto. È come se il vitello d’oro (cfr. Es 32) avesse trovato nuove forme: non più fatto di metallo, ma di buone intenzioni disorientate.

Abbiamo trasformato l’educazione al dialogo in un sincretismo senza spina dorsale. Abbiamo scambiato la pace con l’indifferenza religiosa. Ma chi custodirà la fede dei piccoli, se la Chiesa non ha il coraggio di dire: questo non si fa?

Geremia gridava al popolo: “Hanno curato alla leggera la piaga del mio popolo, dicendo: pace, pace, ma pace non c’è” (Ger 6,14).

Anche oggi, per amore di una pace di facciata, si svuota la fede della sua sostanza, si impoverisce la testimonianza evangelica e si abbandonano i piccoli a una pedagogia del compromesso. Chi si inginocchia davanti ad altro che non sia il Dio vivente tradisce l’alleanza.

Gesù ha detto: “Lasciate che i bambini vengano a me… perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19,14).
Ma li abbiamo portati altrove. E non certo in spirito di libertà, ma accompagnati da adulti che, forse senza volerlo, li hanno consegnati a un gesto che non è più osservazione, ma partecipazione.

Mi chiedo: nelle nostre scuole cristiane, oggi, sarebbe pensabile che bambini musulmani fossero invitati a inginocchiarsi davanti al tabernacolo? Sarebbe ritenuto accettabile che si recitasse insieme il Padre nostro? E allora perché questo silenzio, questa cecità unilaterale, che lascia passare tutto in una direzione e nulla nell’altra?

È scritto: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che trasformano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5,20).

La Chiesa deve difendere la purezza del cuore dei piccoli. Deve insegnare il rispetto per ogni persona, la conoscenza delle altre religioni, ma non cedere mai sull’identità di Cristo. “In nessun altro c’è salvezza” (At 4,12): parole forti, non per giudicare, ma per ricordare chi siamo.

Non c’è dialogo quando si rinuncia alla verità. Non c’è pace quando si svende la propria fede. Non c’è amore se non si protegge la coscienza del piccolo, che Dio ascolta per primo (cfr. Mt 18,6).

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Foto: corrieredelveneto

 

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