
Cronache dalla grotta / Di leoni, lupi e prime impressioni
di Rita Bettaglio
È arrivato il maggio odoroso, come lo chiamava il Leopardi. Ed è stato donato alla Chiesa un nuovo vicario di Cristo e successore di Pietro, papa Leone XIV.
Anche nella grotta si fa festa e, come le folle di piazza San Pietro, si fa un atto di fede e ci si affida a colui che i signori cardinali (e non solo loro, speriamo) hanno scelto per guidare la barca della Chiesa in acque infide e perigliose.
Nella grotta, maggio si è presentato con un’esplosione prematura d’estate seguita da un subitaneo ripensamento, bagnato di pioggia. Ma, ormai, le giornate si sono dilatate e ci affrettiamo verso il punto di loro massima durata, per poi declinare lentamente. Mi ha sempre stupito il fatto che i mesi di luglio e agosto, coi loro trionfi e la sfacciataggine di chi si sente invincibile, in realtà abbiano già in sé il declino, mentre giugno, talora incerto e delicato, sia l’apice della parabola della luce solare. Ma “l’amor che move il sole e l’altre stelle” conosce l’opportunità di ogni cosa, dalla rivoluzione di pianeti e astri agli accadimenti di questo (e dell’altro) mondo.
Ebbene, l’8 maggio, giorno della Supplica alla Madonna di Pompei, festa di san Michele arcangelo, la Chiesa ha avuto il suo Leone: il decimoquarto, per la precisione. Gli echi delle disquisizioni, invero un po’ pusillanimi e troppo umane, su che papa sarà, cosa farà, cosa ha pensato, pensa e penserà, sono giunti fino alla grotta ma ivi si sono fermati, sulla soglia. Che avessero paura della cavernicola armata (di rosario)? Forse. Gente selvatica quella che abita le caverne e non di rado minimamente urbana. Cave speluncariam, dunque!
Ella è un soggetto di non agevole comprensione (neanche a sé stessa) e talora sorprende i pochi avventurati che si spingono fin alla grotta con parole e opinioni inattese per la libertà con cui vengono espresse. Come diceva il di lei padre, non è facile metterle il sale sulla coda.
Torniamo a Leone XIV, colto figlio di sant’Agostino. La speluncaria va a sentimento: i suoi occhi umidi, il groppo in gola alla vista di quel popolo che, in piazza San Pietro, lo accoglieva incondizionatamente, le mani giunte e il capo chino mi hanno colpito profondamente. Mi è sembrato un padre che vede i suoi figli, diventati numerosissimi, come la discendenza di Abramo, e sente tutta la responsabilità della fiducia che essi ripongono in lui.
Il popolo cristiano ha accolto il suo nuovo padre con la fede incondizionata con cui Isacco seguì Abramo sul monte per il sacrificio. Nello sguardo del pontefice c’era la consapevolezza di questo atto di fede, completo, spontaneo a cui Cristo stesso lo chiamava a rispondere degnamente. Una nuova missione, l’ha chiamata: quella di essere “per voi vescovo, con voi cristiano”, come insegna il suo, il nostro, padre Agostino.
Mi è parso un uomo spirituale, di preghiera: aperto a Dio ancor prima che ai fratelli. Lo ha affermato chiaramente nella sua prima omelia ricordando sant’Ignazio d’Antiochia condotto in catene a Roma per essere finalmente vero discepolo di Cristo, quando il mondo non avrebbe più visto il suo corpo, divorato dalle fiere. Questo è “un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”. Il giorno prima, dalla loggia della basilica, aveva assicurato che “il male non prevarrà”, come le fiere al Colosseo, come i lupi che ghermiscono il gregge di Dio. Mi ha ricordato Benedetto XVI quando, nella Messa d’inizio pontificato, il 24 aprile 2005, accorato, chiese la preghiera di tutti: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”. Entrambi consci della presenza del male che insidia ogni uomo e tutti gli uomini, fin da quel giardino.
E i lupi ci sono: ci sono fuori e dentro la Chiesa, ci sono fuori e dentro le nostre anime. Ciò che è nel grande è anche nel piccolo e viceversa.
“Fratres: sóbrii estóte, et vigiláte: quia adversárius vester diábolus, tamquam leo rúgiens círcuit, quaerens quem dévoret: cui resístite fortes in fide” (1Pt 5, 8-9): recitiamo tutte le sere a compieta.
Un leone ruggente è il nostro avversario, il diavolo; un altro leone è posto a nostra difesa. Dice infatti il motto di sant’Antonio di Padova, che Sisto V fece scolpire alla base dell’obelisco di piazza San Pietro e Aldo Maria Valli ha proposto a più riprese ai lettori del blog: Ecce Crucem Domini! Fugite partes adversae! Vicit Leo de tribu Juda, Radix David! Alleluia!
Ciò alla cavernicola basta e avanza.
_________________________________
Per contattare la cavernicola: cronachedallagrotta@gmail.com