E ora “Cronache dalla grotta” è anche un libro. Tutto da gustare

Chi mi conosce lo sa: sono un orso. Sto bene per conto mio, non m’intruppo. Ho adottato il motto di Charlie Brown: “Amo l’umanità, è la gente che non sopporto”.

Essendo a mia immagine e somiglianza, anche il blog è un po’ così. Tante volte mi è stato detto: “Collaboriamo, uniamo le forze, facciamo gruppo”. Ma con me non attacca. Se vi va, fate gruppo voi. Io sto bene così, grazie.

Tuttavia, inspiegabilmente, il blog ha molti amici. Gente che non solo, a quanto pare, apprezza il mio lavoro, ma tende ad avere con il sottoscritto una certa familiarità e, diciamolo pure, dell’affiatamento.

Fra queste strane persone un posto di spicco è certamente quello occupato da Rita Bettaglio, l’amica genovese, che un giorno mi scrisse proponendo un articolo e da allora non ha più smesso. Anzi, non solo non ha smesso, ma è diventata seriale con la rubrica che conoscete, “Cronache dalla grotta” (il copyright è mio, modestamente), in cui racconta della sua vita da cavernicola alle prese con l’esperienza monacale.

Ho fatto per tanti anni il caposervizio e il caporedattore. Ho “passato” migliaia di articoli. Dunque, non dovete stupirvi se, quando qualcuno mi propone un testo, per prima cosa guardo la forma. Qualunque sia la tesi sostenuta nel pezzo, verifico subito se il soggetto in questione sa scrivere o non sa scrivere. E se non sa scrivere, ciao.

Ebbene, la nostra genovese sa scrivere, ha alle spalle studi classici che non sono stati dimenticati, riesce a essere profonda senza stufare, ha ritmo e fa pure battute, quindi… Mi è bastato quel primo articolo per dire: ok, sei imbarcata. E da allora le “Cronache dalla grotta” ci fanno compagnia immergendoci in un mondo parallelo, che non è il nostro di tutti i giorni ma ci riguarda da vicino, perché nella grotta si vedono, si sentono e si toccano le cose che contano davvero. Se crediamo alla salvezza dell’anima, ovviamente.

E ora Le “Cronache dalla grotta”, udite udite, sono diventate un libro. Eccolo qua: “Cronache dalla grotta. Meditazioni tra silenzio, Parola e Mistero”. Così vi potrete godere la cavernicola tutta d’un fiato, senza interruzioni, abbeverandovi a una fonte sicura.

Una cosa che mi piace della Rita (lo dico con l’articolo, all’ambrosiana) è che mastica il latino e lo propone senza scomporsi. Da Deus non irridétur a In æternum, Domine, verbum tuum permanet in cælo, da Semen est verbum Dei a Libera me de ore leonis, la nostra cavernicola in ogni puntata cita, traduce e spiega alla grande. Non per sfoggiare un vuoto latinorum, ma perché certe cose in latino si dicono meglio. E perché lei nella grotta, giustamente, fa come le pare.

Ma non di solo latino vive l’uomo (e la donna). Infatti la Rita, pur destreggiandosi tra santi monaci, martiri, padri del deserto, eremiti e compagnia bella, conosce e cita a puntino anche diversi scrittori moderni, primo fra tutti l’amato Giovannino Guareschi. Ed è stato così che mi ha conquistato definitivamente, perché il sottoscritto per Giovannino ha un debole e quando trovo un altro guareschiano (o una guareschiana) smetto per qualche attimo di essere un orso e mostro persino un pizzico di umanità.

Il sottoscritto è un orso, la Rita ha scelto la solitudine della grotta. Non potevamo non incontrarci. A modo nostro, s’intende.

“Einsamkeit”, solitudine, il titolo al quale Oswald Spengler, l’autore di “Tramonto dell’Occidente”, pensava per un’autobiografia spirituale, avrebbe potuto essere un buon sottotitolo per le pagine della Rita. Ma Spengler, se non ricordo male, aveva anche immaginato un altro libro, “Vita del ripudiato”, che non pubblicò mai. Ecco. Diciamo che tra solitari, e ripudiati, ci si intende.

“Nella solitudine – scrive la cavernicola in una delle sue cronache – si combatte infatti la battaglia decisiva dell’uomo: nel deserto egli si trova faccia a faccia con se stesso, con i propri limiti e con tutto ciò che il clamore della vita nel mondo copriva. E incontra Dio. E spesso vi combatte per tutta la notte, come Giacobbe”. E “non bisogna andare fino a Subiaco per trovare una grotta come quella del santo patriarca. Basta una stanza qualunque. Più è vuota, meglio è. Ognuno, se lo accetta, se lo vuole, ha la sua grotta, la grotta che gli ha preparato Dio, nell’anima e fuori. Non bisogna solo entrare nella propria camera, ma anche chiudere la porta. Ognuno istintivamente sa cosa significhi per sé chiudere la porta e cosa debba lasciar fuori”.

Quella del “chiudere la porta” è proposta che mi piace e nella quale mi ritrovo. Vi dirò che più sento parlare di ponti e di “chiesa in uscita”, più chiudo la porta. “Et Pater tuus, qui videt in abscondito, reddet tibi”.

Insomma, leggete “Cronache dalla grotta”. E diffondetelo. Questo è un caso in cui melius abundare quam deficere. E, se è vero che mala tempora currunt, è pur vero che omnia vincit amor. E qui siamo di fronte a una genovese tanto generosa da mettere la sua spiritualità a disposizione della crescita interiore di tutti. Mirabile dictu!

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Rita Bettaglio, “Cronache dalla grotta. Meditazioni tra silenzio, Parola e Mistero”, prefazione di Cassian Folsom, Monasterium, 176 pagine, 16,15 euro

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