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Diaconesse? Il cardinale Ravasi la pensa così.

Nei mass media ha fatto molto rumore l’idea, accolta da Francesco su richiesta di alcune suore ricevute in udienza, di istituire una commissione di studio sulle funzioni diaconali che le donne ricoprivano nella Chiesa dei primi secoli. In realtà la Commissione teologica internazionale elaborò già uno studio nel quinquennio 1992 – 1997 e poi, nel 2003, pubblicò un testo specifico, Il diaconato: evoluzione e prospettive. In ogni caso, le parole di Francesco (che il Centro televisivo vaticano, curiosamente, non ha messo a disposizione dei giornalisti) rilanciano un tema interessante sotto molti aspetti.

Ne parliamo con il cardinale Gianfranco Ravasi, teologo e biblista, presidente del Pontificio consiglio della cultura.

 

Eminenza, qual è la situazione attuale circa il diaconato femminile?

 

Credo che la costituzione di una nuova commissione sia necessaria per riuscire a studiare che cosa è avvenuto alle origini del cristianesimo. Noi sappiamo che nel Nuovo Testamento ci sono due passi significativi, di San Paolo, che scrivendo ai cristiani di Roma saluta una diaconessa di nome Febe (in greco Phoebe, cioè luminosa, pura) appartenente alla Chiesa di Corinto, e poi, quando parla dei diaconi, si occupa proprio delle donne, spiegando che devono possedere alcune spiccate qualità umane e morali, come essere sobrie e non maldicenti. Ciò significa chiaramente  che in quelle comunità delle origini c’era una presenza femminile che aveva qualche incarico. Dobbiamo però aggiungere che la parola diacono (dal greco diakonos, servitore) è piuttosto  generica: indica infatti un ministero, un servizio, che può essere di diverso tipo. Può comportare per esempio il sostegno ai poveri, ma non sappiamo se avesse anche funzioni strettamente liturgiche, legate al culto. È su questo fronte che sarebbe necessario approfondire la ricerca.

 

Quindi un’eventuale commissione di che cosa dovrebbe occuparsi?

 

Dovrebbe occuparsi innanzitutto dello studio della tradizione, considerando che al riguardo le testimonianze non si fermano solo al Nuovo Testamento, ma proseguono. Abbiamo per esempio un padre della Chiesa, Epifanio di Salamina (circa 315 – 403 dopo Cristo), che parla esplicitamente di una funzione attribuita alle donne, cioè quella di prestare assistenza durante il battesimo amministrato alle catecumene. All’epoca il battesimo avveniva per immersione ed era una diaconessa a occuparsi della donna da battezzare. Abbiamo poi le Costituzioni apostoliche (una sorta di manuale sulla disciplina, la dottrina e il culto, risalente al quarto secolo) che forniscono indicazioni concrete per quanto riguarda questa funzione femminile. Dovremo quindi studiare per vedere come la Chiesa ha vissuto e interpretato tali esperienze. Naturalmente tutto ciò non significa, come qualcuno sostiene, fare un primo passo verso l’ingresso della donna nel sacerdozio, perché anche in questi testi antichi la funzione della donna  resta comunque abbastanza circoscritta.

 

Secondo lei c’è il rischio che anche nella Chiesa cattolica, un po’ com’ è successo fra gli anglicani, su queste questioni – ruolo della donna, sacerdozio femminile – ci si possa dividere?

 

Noi sappiamo, da una parte, che Giovanni Paolo II e lo stesso papa Francesco hanno ribadito la grande tradizione ecclesiale che ha affermato la tipicità del sacerdozio cattolico come sacerdozio maschile. Dall’altra parte però bisogna dire che non ci sono mai state dichiarazioni per quanto riguarda altri ministeri più specifici e circoscritti. Dunque una riflessione potrebbe servire anche per dare valore a qualche funzione ecclesiale, liturgica e sociale che potrebbe essere ricoperta dalle donne. E tutto questo secondo me non dovrebbe creare difficoltà; anzi dovrebbe essere un bel segno della presenza femminile all’interno della Chiesa, che è una presenza decisiva per la comunità cristiana, e non va necessariamente letta sempre in chiave clericale, in base al dilemma sacerdozio sì – sacerdozio no.

 

Ma se si dovesse davvero arrivare alla figura della diaconessa, questa donna che cosa farebbe in più rispetto a ciò che già tante donne fanno nelle parrocchie e nelle comunità?

 

Definirne la funzione in maniera più istituzionale vorrebbe dire da un lato arrivare ad assegnare alle donne incarichi per quanto riguarda il battesimo, la celebrazione dei matrimoni e l’annuncio della parola di Dio all’interno di particolari contesti liturgici (non necessariamente quello dell’eucaristia), e dall’altro significherebbe dare un rilievo formale ufficiale alla donna all’interno delle strutture ecclesiali, con funzioni ben precise, ben delineate. Sarebbe un modo per riportare il volto femminile nella comunità ecclesiale in maniera incisiva, come, a quanto pare, avveniva nelle comunità cristiane dei primi secoli.

 

Aldo Maria Valli:
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