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Sui ruzzoloni di Bergoglio e dei paladini della sua chiesa in uscita

Giancarlo Lehner si definisce [qui] un “meschino laico, miscredente matricolato, più vicino a Voltaire che a santa Maria Goretti”. Ma, come spesso accade, proprio uno così, più che un baciapile, è in grado di vedere, e dichiarare, che il re è nudo.

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di Giancarlo Lehner

Non credendo ai miracoli e neppure ai segnali divini, non mi soffermerò, avendolo già descritto nel mio pamphlet (Bergoglio, da Cristo a Castro: Paolo mi fè, disfecemi Jorge Mario) sul ruzzolone di Bergoglio, cascato di brutto davanti alla sacra icona di Częstochowa. Il Pontefice sdrumato a terra venne letto dai cattolici maliziosi in foggia di perentorio vade retro della Madonna più adorata in Polonia. Quindi, non andrò a lambiccarmi le meningi, cercando spiegazioni sull’ultimo schianto portentoso. Pasqua 2024: durante la messa, l’icona del Cristo redento cade sul sagrato di San Pietro, a pochi metri dal diversamente Papa. Evito, inoltre, di denominare come segno premonitore il fulmine scaricatosi con veemenza (2013) sulla Croce posta alla sommità di San Pietro, proprio nel momento in cui Benedetto XVI decise liberamente (o costretto) le dimissioni dal soglio petrino. Delego, inoltre, ai cattolici l’onere di giudicare un Pontefice che dice bugie: “Il libro di don Gänswein è stato pubblicato il giorno della sepoltura di Benedetto XVI”.

L’irriverente calendario sbugiarda Jorge Mario: 5 gennaio, funerale; 12 gennaio, uscita del libro. Sempre ai fedeli il compito di valutare se nel galateo del presunto Vicario di Cristo siano previste le piazzate, tipo questionare ed offendere sanguinosamente l’arcivescovo più vicino a Ratzinger, attribuendogli addirittura “mancanza di nobiltà e umanità”. Su altri aspetti non posso che esprimere rammarico e costernazione. Pur da agnostico, mi assumo la piena responsabilità di mettere becco sui fondamenti della tradizione giudaico-cristiana sistematicamente divelti. Nessuno – e tantomeno il Pontefice – può correggere colui che consegnò il Decalogo a Mosè. Sta scritto: “Non nominare il nome di Dio invano”. Eppure, Jorge Mario gli dà quotidianamente del tu.

Ci sono, poi, le infelici parole in libertà: “Anche i ladri ci aiutano spesso a non essere avari. Il loro comportamento è censurabile, ma può anche rappresentare un ammonimento salutare contro l’avarizia”. Con un colpo solo vengono, così, cancellati “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”, divieti presenti anche nella ragion pratica dei non credenti. Parafrasando Benedetto Croce, è giusto ribadire che non possiamo non dirci giudaico-cristiani.

Jorge Mario eleva a cosa buona e giusta il furto, anzi, ad azione provvidenziale, visto che ci affrancherebbe dal peccato mortale della proprietà. Il comandamento aggiunto introdotto da Bergoglio è: “Non possedere”. Certo, c’è un precedente illustre: Proudhon. Tuttavia, il compagno Pierre-Joseph non risulta tra gli evangelisti e neppure tra i profeti. A emendare il “Non fornicare” ci ha pensato il sex-teologo Víctor Manuel Fernández, la cui bibliografia erotica, sommata alla dote di essere argentino, gli ha fatto guadagnare prima la nomina a cardinale, quindi a prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, postazione fondamentale a lungo nelle sapienti mani del cardinale Ratzinger. Non so a chi si riferisca Jorge Mario, quando, onorando Fernández, macchia d’infamia i predecessori: “Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali”. E il nuovo prefetto, di rimando, più modernista che mai: “La misericordia di Dio non deve essere negata da ragionamenti teologici”.

L’imperativo, secondo Víctor Manuel è il “rinnovamento” sostanziale della morale cattolica: “Mi spinge la preoccupazione di rimarcare il primato della carità nella teologia morale… quando vanno prese decisioni a livello personale o pastorale”. Detta in maniera più comprensibile, la morale non può essere “ridotta al compimento dei comandamenti (sic!)”. Inoltre, cita Bergoglio, che gli avrebbe chiesto di “mettere in dialogo il sapere teologico con la vita del santo Popolo di Dio… che se ne lasci stimolare, che si lasci ferire e disarmare da esso”. Infatti, il disarmo è pur avvenuto, attraverso l’orgasmo, vedi l’opuscolo La Pasión Mística, rivenduto come prima visione del Paradiso. Ecco fanciulle vogliose: “Gesù, perché non godere di te?”. E via con tutti i “godimenti” degli “incontri appassionati con Gesù”.

Fernández: “Il piacere sessuale non ostacola la spiritualità né la contemplazione, perché se l’unione sessuale è un atto d’amore, non fa altro che aprire il cuore, e così facilita la contemplazione di Dio”. Le donne, del resto, sarebbero “insaziabili”, mentre i maschietti potrebbero vantare “peni duri in guerra nelle vagine”. L’orgasmo, però, vige anche nei rapporti omosessuali, quindi il Paradiso è davvero aperto, anzi spalancato. Nel libro Sáname con tu boca. El arte de besar, dopo il quale in Argentina lo chiamano El Tucho besame mucho, insegna a noi agnostici, quindi frigidi e asessuati, i piaceri labbra a labbra.

Duro sex, sed sex potrebbe anche essere lo slogan vincente del nuovo corso bergogliano, se non si registrassero parallelamente cadute nel cattivo gusto ben oltre l’empietà. Vedi quel sacerdote bergoglista che per festeggiare la Pasqua ci ha propinato un osceno fotomontaggio che stravolge la Pietà, depositando nelle braccia di Maria non il Cristo morente, bensì la nera nudità di un migrante. Ebbene, qui siamo davanti ad una sostituzione che offende anche i non credenti: Cristo si sacrifica per salvare l’umanità. Il migrante, nel migliore dei casi, salva solo se stesso, a spese nostre. Un conto è accogliere il migrante, un altro è farne un Idolo. Se le due figure sono divenute religiosamente intercambiabili, allora la Porta Pia dall’interno ha avuto successo: se a risorgere è il migrante, allora Sancta Romana Ecclesia non esiste più.

Fonte: opinione.it

 

 

Aldo Maria Valli:
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