Israele-Iran. Che cosa sta succedendo e che cosa ci attende

di Luca Foglia

Israele-Iran. Cerchiamo di spiegare cosa è successo e cosa potrebbe accadere senza l’utilizzo degli slogan tanto cari a certa stampa.

I fatti

Israele ha attaccato l’Iran con oltre trecento bombe lanciate da duecento aerei da combattimento (F-35, F-16 e F-15). Ha colpito la capitale Teheran e Tabriz, le centrali nucleari di Natanz e Arak, alcuni siti militari e diverse zone residenziali dove sono stati uccisi quattro membri dei vertici militari e sei scienziati addetti al programma nucleare, oltre al capo negoziatore (schema simile a quello utilizzato l’anno scorso contro Hezbollah e Hamas).

L’Iran non ha inizialmente reagito perché i servizi segreti israeliani avevano distrutto o disabilitato le difese aeree tramite squadre di incursori presenti sul territorio. È la terza volta in un anno che il Mossad si muove abbastanza liberamente nella ex Persia.

Israele ha poi proseguito l’offensiva fino a questa mattina, prendendo di mira nuovamente la capitale Teheran, alcune infrastrutture militari, diverse città secondarie e il più importante sito nucleare iraniano, quello di Fordow, protetto da un bunker a diversi metri di profondità e in parte all’interno di una montagna. Stupisce l’accuratezza degli attacchi, niente a che vedere con quanto avviene a Gaza, segno che i missili erano probabilmente guidati da agenti nascosti nelle vicinanze degli obiettivi.

In serata le difese antiaeree iraniane hanno ripreso a funzionare e così la guida suprema Alì Khamenei ha dato il via libera alla ritorsione, durata tutta la notte e condotta tramite droni e missili balistici (alcuni ipersonici). Tel Aviv il bersaglio preferito, ma anche la Cisgiordania e il Nord di Israele sono stati interessati. Pare che anche la centrale nucleare di Dimona e le basi da cui sono partiti gli aerei siano state attaccate. Al momento in cui scrivo le ostilità sono cessate da poco.

Considerazioni tecniche

I servizi segreti israeliani, grazie a decenni di esperienza sul campo, sono riusciti a infiltrarsi in diverse zone dell’immenso Iran e, tramite droni, missili guidati e probabilmente apparecchi per la guerra elettronica, hanno distrutto o disabilitato i sistemi di difesa antiaerea iraniana. I loro jet hanno così potuto operare indisturbati dai cieli dell’Iraq (a oggi ancora sotto controllo Usa). Le poche difese rimaste attive si sono concentrate a proteggere i siti sensibili della capitale e la centrale di Fordow, che pare non abbia subito danni. Si tenga presente che la maggior parte delle installazioni militari iraniane si trova a molti metri di profondità ed è per questo difficilmente raggiungibile dai missili. Grazie a ciò, l’Iran è stato in grado di reggere l’urto e contrattaccare.

Non avendo un’aviazione paragonabile a quella di Israele, l’Iran si è affidato a droni e missili balistici. I primi hanno impiegato diverse ore per raggiungere Israele e sono stati utilizzati come esche per le difese, mentre i secondi sono arrivati a destinazione in una quindicina di minuti (sette per gli ipersonici) saturando il sistema di difesa a tre strati che protegge il territorio israeliano.

Tirando le somme, come la guerra russo-ucraina ci insegna, difendersi da un’aggressione dal cielo è assai più complicato e costoso che attaccare, mentre via terra è esattamente il contrario. Per non avere spiacevoli sorprese sono quindi fondamentali la sorveglianza dei confini e il monitoraggio dei siti sensibili. Se nei primi vent’anni del millennio siamo stati ossessionati dalla privacy, nei prossimi venti lo saremo dalla sicurezza. I droni low cost hanno cambiato gli scenari bellici.

Considerazioni politiche

Ci sono quattro Stati nel mondo che adottano una politica estera spregiudicata: la Turchia, il Rwanda, gli Stati Uniti e Israele (lasciamo stare per il momento il conflitto russo-ucraino). Mentre i primi tre hanno dei limiti, o per lo meno cercano ogni tanto di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, il quarto no.

Israele ha un piano ben preciso da almeno trent’anni (in realtà da molto prima, lo vedremo prossimamente) e con l’aiuto degli Stati Uniti sta cercando di implementarlo. È quello delle famose sette guerre, per assumere il controllo del Medio Oriente, rivelato dal generale statunitense Wesley Clark nel 2001 (qui). All’appello mancava solo l’Iran che, senza il supporto made in Usa, non sarebbe stato attaccato.

Quindi, da ieri anche gli Stati Uniti sono in guerra con l’Iran. Con buona pace di Tulsi Gabbard (direttrice dell’Intelligence), di Steve Witkoff (il vero ministro degli esteri Usa) e del giornalista Tucker Carlson che hanno cercato in tutti i modi di spiegare a Trump che con l’Iran bisognava giungere ad un accordo.

A Netanyahu, invece, va bene così: è un presidente adatto a tempi di guerra (come qualcun altro più a Nord). In tempi di pace probabilmente la sua carriera politica finirebbe in un amen.

A Teheran per ora pare facciano finta di niente e attacchino solamente obiettivi israeliani, evitando di colpire le numerose basi americane presenti in Medio Oriente. Certo, il colpo subito è stato pesante, anche perché era nell’aria nonostante gli imminenti negoziati con gli inviati di Trump.

Impedire all’Iran di fabbricare la bomba atomica sembra quindi un pretesto. Tra l’altro basterebbe che Teheran ne chiedesse una decina delle seimila in dotazione a Mosca per averla già domani in pronta consegna; peccato che anche la Russia sia contraria a un Iran atomico perché poi lo diventerebbero anche le monarchie del Golfo (Arabia, Qatar). Certo, qualche sistema di difesa avanzato e qualche caccia la Russia potrebbe fornirlo in tempi rapidi, ma il presidente Putin ragiona con schemi diversi; basti pensare che è l’unico capo di Stato ad aver già parlato al telefono con le due controparti. L’Iran è sì un suo alleato, ma in Israele vivono circa un milione e mezzo di russi.

La Cina, la Turchia e l’Arabia Saudita si sono fermate alle solite condanne formali, mentre il Pakistan, pur non essendo in ottimi rapporti con Teheran, ha dichiarato che l’Iran ha il diritto di difendersi in base all’articolo 51 delle Nazioni Unite.

Sull’ Europa stendiamo il solito velo pietoso.

Possibili scenari

Di sicuro non sarà una toccata e fuga come nel 2024. Entrambi i contendenti hanno dichiarato che ci saranno altri attacchi.

Altra certezza è che le leadership occidentali non capiscono che mettendo pressione a popoli con secoli di storia la reazione è quella opposta a quella desiderata. Si cementano attorno ai loro leader. Perciò Tel Aviv e Washington possono scordarsi un cambio di regime come avvenuto in Siria nel giro di poche ore. L’Impero Romano, che era l’Impero Romano, cercò per settecento anni di sottomettere la Persia e non ci riuscì; possibile che nessun leader studi un filino di storia?

Oltretutto, un’azione del genere è forse il miglior incentivo a dotarsi di un’arma atomica prima possibile. In stile Nord Corea, che sarà anche un paese “brutto e cattivo”, però, per lo meno, non ha missili che gli piovono sulla testa.

Quindi, dal punto di vista militare, tutto è possibile a meno che Stati Uniti e Russia non trovino un accordo su vasta scala. Magari la Cina rivedrà la sua teoria del “vinco senza far niente” perché a questo punto potrebbe non essere più sufficiente. Se Russia e Iran rimarranno impantanati per anni nelle rispettive guerre, chi sarà il prossimo obiettivo? La butto lì: Pechino?

Non aspettiamoci alcunché da Paesi arabi e Turchia: a loro in fondo va bene così, se poi non si porrà freno all’escalation vedremo se avranno ragione a farsi gli affari propri. Ne dubito fortemente.

Occorre una conferenza internazionale in cui si discuta della sicurezza di tutti e non solo di alcuni.

Dal punto di vista economico la reazioni più ovvie potrebbero essere la discesa dei mercati azionari e la salita delle materie prime, soprattutto se Iran e Yemen decidessero di chiudere i due stretti attorno alla Penisola arabica. Dico potrebbero essere perché, se intervengono le banche centrali, non c’è guerra o crisi che tenga, come nel 2008, nel 2020 e nel 2022. Per ora hanno ancora la forza di sostenere i mercati indipendentemente da tutto, c’è poco da fare.

In conclusione, la situazione è grave.

L’Iran non è l’Afghanistan, né la Siria, né l’Iraq, né la Libia; è uno Stato con il controllo delle proprie risorse, senza divisioni “tribali”, con una popolazione tendenzialmente giovane di novanta milioni di persone e un apparato militare sviluppato.

Che Dio ce la mandi buona!

I miei ultimi libri

Sei un lettore di Duc in altum? Ti piace questo blog? Pensi che sia utile? Se vuoi sostenerlo, puoi fare una donazione utilizzando questo IBAN:

IT64Z0200820500000400192457
BIC/SWIFT: UNCRITM1D09
Beneficiario: Aldo Maria Valli
Causale: donazione volontaria per blog Duc in altum

Grazie!