
Dibattito / Papa Leone, il diritto naturale, l’Onu. Risposta al professor Mora
di Mario Grifone
Caro Valli,
il professor Mora [qui] proprio non ce la fa: questo nuovo pontefice non gli va giù e mi stupirei del contrario visto che dopo il Vaticano II nessun Papa potrà mai entrare nelle sue grazie, salvo che non disconosca apertamente il Concilio e riporti la Chiesa alla sua purezza tridentina.
Non importa che Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II siano santi della Chiesa. Avendo partecipato direttamente o indirettamente al vituperato Concilio, per Mora portano uno stigma che li rende inidonei a guidare la Chiesa cattolica.
L’occasione di cotanto sdegno è il discorso tenuto dal Papa ai governanti in occasione del loro giubileo. Un discorso che a detta di Mora «è un vero manifesto di teologia politica liberale riverniciata con concetti cattolici e tomistici».
Mi permetto di dissentire da questa lettura, a mio avviso molto manichea. Secondo Mora, il Papa non avrebbe dovuto parlare di rispetto della libertà religiosa e di dialogo interreligioso, ravvisando in questo appello un cedimento all’individualismo. Al contrario, secondo il nostro autore, il pontefice avrebbe dovuto richiamare il mondo all’unità religiosa in ossequio al principio extra Ecclesiam nulla salus, affermazione sicuramente corretta, ma in un mondo quale quello presente l’appello del Papa assume una connotazione esattamente contraria. Sono convinto, infatti, che Leone XIV abbia richiamato i governanti a rispettare innanzitutto i cristiani che ancora oggi sono i fedeli più perseguitati nel mondo. La loro libertà va tutelata e ciò può avvenire se non vengono bruciate le chiese e ad essi è riconosciuta pari dignità rispetto agli altri cittadini, senza discriminazioni di sorta. Il dialogo interreligioso mira anche a questo, e l’apostolato inizia proprio dal dialogo e dall’amicizia. Mora fa presente che il concetto di ecumenismo era estraneo a sant’Agostino (354-430) e vorrei ben vedere! Il santo di Ippona è vissuto in un periodo in cui, dopo l’editto di Teodosio (380), il cristianesimo era la religione di tutto il mondo allora conosciuto. Maometto sarebbe arrivato tre secoli dopo e lo scisma d’Oriente quasi sette. Agostino se la doveva vedere con eresie tutte interne al cristianesimo, non con fedeli di religioni completamente diverse.
Nel suo discorso, Leone XIV fa riferimento anche alle disparità economiche nel mondo, appello che per il nostro furente critico è doppiamente sbagliato in quanto posto prima di quello alla libertà religiosa e senza alcuna critica al capitalismo e alla plutocrazia. Ma non mi risulta che Gesù, deplorando l’uso egoistico della ricchezza, abbia mai criticato anche la società del tempo. Anzi, al contrario, affermava che i poveri li avremo sempre con noi. L’invito, che vale ancora oggi, alla carità ha proprio lo scopo non solo di alleviare chi è nel bisogno, ma anche di distaccarsi dai beni materiali. Se il Papa richiama la carità prima della libertà religiosa non lo fa perché ritiene l’economia più importante della fede, ma proprio perché chi è nell’estrema indigenza forse pensa più a come arrivare a fine giornata piuttosto che a porsi il problema dell’unico Dio in tre persone.
Infine il professore si scaglia contro il fatto che dopo aver parlato di legge naturale il Papa ha citato la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, ravvisando in questa un’equiparazione alla legge naturale. Se l’italiano non è un’opinione, a me il discorso pare molto chiaro: il Papa dice che la legge naturale è al di sopra di tutto e poi che la dichiarazione del 1948 può contribuire non poco a mettere la persona umana, nella sua inviolabile integralità, a fondamento della ricerca della verità, per restituire dignità a chi non si sente rispettato nel proprio intimo e nelle esigenze della propria coscienza. Cosa c’è di eretico in questo?
Naturalmente il nostro autore non commenta l’ultima parte del discorso del Papa, peraltro la più interessante, dove parla di intelligenza artificiale, forse perché non ha trovato alcun appiglio per sollevare critiche, così come è ineccepibile il ricordo di sir Thomas More, esempio plastico di politico cattolico a tutto tondo, rispettoso degli altri, caritatevole verso tutti e anche verso il suo re che l’avrebbe condannato a morte, sovrano al quale fu comunque fedele e che trattò sempre da amico anche sapendo che non lo avrebbe ascoltato.
In conclusione, non è vero, come dice il nostro commentatore, che «sotto la stola e la mozzetta niente». Al contrario, sotto quella mozzetta e quella stola c’è un pontefice che ama profondamente Cristo e la Chiesa e più lo leggo e più mi convinco che questa volta lo Spirito Santo sia stato ascoltato.
Non praevalebunt.